"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

lunedì 10 gennaio 2011

Vecchie parole da non usare più. Nuove parole per costruire sviluppo.

di
Francesco Zanotti

Cominciamo a fare l’elenco …

Le parole da non usare più (hanno generato la crisi attuale) sono: capitalismo, socialismo, economia di mercato e competitività. Esse hanno generato la crisi attuale e ne stanno impedendo la soluzione.
Le parole da usare: imprenditorialità aumentata, conoscenza e metodo. Sarà attraverso di esse che si potrà tornare a costruire sviluppo.

Le righe seguenti evidenzieranno l’esigenza di una nuova imprenditorialità aumentata, indicheranno un percorso per praticarla ed, alla fina, sia pur brevemente, indicheranno alcuni strumenti già disponibili per chi si fosse stufato di una competitività che distrugge imprese, persone e socialità.

L’imprenditore come demiurgo di una nuova società
L’imprenditore non è un “proprietario” che investe e possiede i mezzi di produzione. Non è neanche un manager che pianifica e “maneggia”. E’ un demiurgo di nuove società.
L’imprenditore si pone di fronte alla realtà, alla natura e alla società, in un modo tutt’ affatto particolare: con la sindrome di Dio. Intendo dire: con la voglia di costruire un mondo a sua immagine e somiglianza.
Ponendosi in questo modo di fronte alla realtà esterna, e, proprio solo perché si pone in questo modo di fronte ad essa, l’imprenditore scopre che  è ricca di potenzialità di divenire. Cioè: ricca di esigenze immature, incerte, embrionali che possono concretizzarsi in mille modi e, quindi, di mondi diversi e, spesso, mutuamente escludentesi.
E, poi, scopre che è straricca, sempre più ricca, di tecnologie dalle mille prestazioni possibili, che sembrano fatte apposta per trasformare le potenzialità di divenire della società in concreti nuovi mondi.

L’azione imprenditoriale: un processo di creazione sociale
L’imprenditore, novello demiurgo, di fronte all’universo di potenzialità che può potenzialmente cogliere, sceglie quelle che considera più vivide, che vede più chiaramente, che lo emozionano di più.
Forse nel passato era meno vero, ma oggi lo è di certo: il limite dell’azione imprenditoriale non sta nelle potenzialità di divenire che emergono dalla società, che sono praticamente infinite. Forse un po’ sta negli strumenti progettuali (la cultura d’impresa) oggi disponibili per attualizzare queste potenzialità. Ma, soprattutto, sta nello sguardo dell’imprenditore, nella sua vastità, profondità ed audacia.
Ad ogni modo, nei limiti permessi dal suo sguardo egli immagina una sua proposta di prodotto o servizio usando alcune delle prestazioni potenziali delle tecnologie che riesce a vedere e comprendere.
La sua proposta è inevitabilmente incompiuta, ma, se riesce ad essere emozionante, mobilitante, allora attiva un dialogo tra il mondo interno (l’organizzazione che l’imprenditore ha creato intorno a sé) ed il mondo esterno all’impresa.
E’ questo dialogo  che fa “maturare”, concretizzare, precisare le mille esigenze potenziali in esigenze definite, le mille potenzialità delle tecnologie in un prodotto che soddisfa queste esigenze e le mille potenzialità organizzative  in una organizzazione specifica capace di costruire con efficienza e vendere quel prodotto.
In sintesi, credo si possa dire che l’azione imprenditoriale è un processo di creazione sociale. Ma di cosa?

Il risultato: un nuovo mondo
E’ stupefacente il risultato che produce un processo imprenditoriale. Esso non attiva solo un nuovo scambio economico (definito in termini di prestazioni, costo e prezzo del prodotto fornito), ma crea un vero e proprio nuovo “universo antropologico”, caratterizzato da una sua specifica visione della società, che si manifesta attraverso quello scambio economico.
Detto diversamente, la proposta di un imprenditore  è una proposta di futuro, un ologramma per una nuova società. Si tratta di tutto il contrario di una proposta necessitata, della scoperta della via di evoluzione della società scelta dal destino e della rinuncia alle altre vie che, anche se immaginabili, sono illusorie.

Se e quando l’imprenditore ha successo scatena un circolo virtuoso. Arrivano gli imitatori che, almeno all’inizio, lo aiutano ad aumentare la qualità e la quantità dell’offerta. L’apparire degli imitatori è, dunque, sia un segno di successo che un fattore di sviluppo perché aiuta ad allargare il mercato che l’impresa ha creato. E’ solo questa alleanza informale tra imprese potenzialmente concorrenti che genera lo sviluppo di nuovi settori industriali.
Tentando una sintesi “astratta”, un imprenditore attiva e porta a compimento processi di creazione sociale di nuovi mondi che, proprio grazie al processo sociale attraverso il quale sono generati, vengono giudicati, socialmente, eticamente giusti ed esteticamente emozionanti. Come si vede il suo metodo di management, di governo è radicalmente diverso da quello “previsto” dalla società industriale. E’ radicalmente diverso dal management dei testi di management e dei corsi di formazione manageriale.

La conferma dal passato

Il processo imprenditoriale che ho precedentemente descritto è quello che ha dato origine al nostro sistema industriale.
Esso ha dato origine ad un sistema di piccole e medie imprese che prima non esisteva e che ha permesso un incremento rilevante della qualità della vita in tutti i territori del nostro Paese.
Esso ha dato origine anche ad imprese-sistema come la Fiat che è stata l’azienda simbolo e sintesi di un processo di sviluppo che è stato industriale e “car centered”. Ed ha funto da catalizzatore di tante energie imprenditoriali a monte, a valle ed a lato del prodotto auto e da uno sviluppo sociale complessivo: dal sistema delle infrastrutture, ai flussi migratori, allo sviluppo della città di Torino.

Ma non ci sono stati solo gli imprenditori economici. A questa imprenditoria economica si è associata sinergicamente, sempre nel dopoguerra, una imprenditoria sociale, politica, istituzionale e culturale che ha avviato un processo partecipato, responsabilizzante, progettuale ed emotivo, dello stesso tipo di quello avviato e gestito dagli imprenditori economici, che ha creato una nuova società ed un nuovo Stato.

Questo processo di imprenditorialità complessiva, che propongo di definire “imprenditorialità di popolo”, ha prodotto etica ed estetica. Non l’etica e l’estetica perfetta che certamente non esistono. Ma una società certamente più giusta e più bella di quella dalla quale si era partiti. Tanto etica e bella da riuscire ad essere scontenta di se stessa. E fornire immediatamente stimoli per costruire una società più giusta e più bella.

E’ sempre stato così!
Il processo di creazione della società industriale non è stato un unicum. Tutti i processi di creazione di società, imperi e rinascimenti si sono sviluppati secondo questa stessa dinamica.


La visione degli imprenditori come demiurghi di nuove società porta a capire perché le parole di cui ho detto all’inizio non vanno più usate. E perché il loro utilizzo ha generato la crisi.

Una nuova imprenditorialità aumentata

Se così stanno le cose, allora per costruire una nuova società, da specificare in una nuova economia, in un nuovo stato sociale, in nuove istituzioni, la soluzione è quella di riattivare una nuova stagione di imprenditorialità.

Ma non basta la vecchia imprenditorialità, volitiva e spontanea, che ha generato il nostro sistema economico e la nostra società. E’ necessaria quella che ho definito come imprenditorialità aumentata.

Con questa espressione, che parafrasa quella più nota di “realtà aumentata”, intendo significare che la nuova imprenditorialità deve essere molto più “potente” di quanto non lo sia stata anche quella del passato più recente.

Più in dettaglio.
Innanzitutto, non basterà più padroneggiare una qualche tecnologia appresa da esperienze di lavoro precedenti, farsi attrarre dalla volontà di utilizzare questa esperienza in proprio e farsi guidare dall’imitazione di stili di vita di un qualche paese guida.

Non basterà neanche incrementare il numero delle piccole innovazioni tecnologiche che oramai una miriade di incubatori stanno stimolando e seguendo.

Né basterà neanche attivare qualche nuova esperienza produttiva o commerciale (qualche esperienza di produzione, commercio o consumo equo e solidale, ad esempio) che nasce più come rifiuto della società attuale che come frattale di una nuova società

I nuovi imprenditori economici, sociali, politici dovranno partire da quella immensità di risorse, sia conservative che generative, rese disponibili dalla società industriale, dalla nuova voglia di identità e di una nuova qualità della vita delle persone, dalle esperienze  di nuova economia e nuova finanza, dai nuovi protagonisti economici, sociali, politici, istituzionali ed attivare un gran processo di progettazione complessiva di una nuova società.

Dovranno partire da queste potenzialità ed attivare una nuova progettualità che non si disperda in mille rivoli che, poi, si inaridiscono in mille esperienze che non riescono a trovare un significato insieme. Una nuova progettualità che riesca a produrre, contemporaneamente, tutti i dettagli e il disegno complessivo della nuova società prossima ventura.

Usando un’espressione che ho introdotto parlando del romanzo della società industriale, possiamo dire che occorre attivare nuovi e più intensi processi di creazione sociale di una nuova conoscenza e di una nuova società.

Questa nuova imprenditorialità aumentata, questi nuovi processi di creazione sociale difficilmente potranno emergere spontaneamente proprio a causa della intensità dei processi di “degenerazione” della competenza imprenditoriale complessiva che sta affliggendo la nostra società. Non potrà neanche essere generata da esortazioni retoriche, quindi, non potrà nascere e svilupparsi spontaneamente.
Questa nuova imprenditorialità aumentata dovrà essere attivata consapevolmente e, quando comincerà ad esprimersi, dovrà essere sostenuta, “coccolata”. Ma come?

Per capire come fare, proviamo ad esplorare il “segreto” di quel grande processo di creazione  “imprenditoriale” che fu il Rinascimento. Che cosa ha generato quella grande esplosione di scienziati, poeti, santi a navigatori, di arte e di scienza (mi si permette di dire, arte e scienza “aumentate” rispetto a quelle del Medioevo?) sulla quale tuttora noi si campa? Ci campiamo in senso letterale: in ossequio ad una strategia di conservazione, (che, a questo punto, dovrebbe sembrare davvero ridicola), consideriamo, ad esempio, l’arte una cosa che il passato ci ha regalato e che ora possiamo solo ammirare ed usare. Ma non ci sogniamo di voler costruire altre opere d’arte così diffuse ed imponenti come accadde nel Rinascimento.

Allora quale è stato il segreto di questa esplosione?
La risposta è grande e banale. Si è buttato nella società medioevale una visione del mondo e dell’uomo nuova rispetto a quella medioevale: quella sviluppata, artisticamente e filosoficamente, dal mondo “classico”.
Una nuova visione del mondo raccontata. E, poi, il racconto ha scatenato un nuovo raccontare ed un nuovo fare che si sono spontaneamente condensati nel Rinascimento. Detto diversamente, la costruzione di ogni Rinascimento nasce da una innovazione epistemologica che diventa botteghe ed opere d’arte, città e vie di comunicazione, banche ed istituzioni.

Come scatenare oggi una nuova imprenditorialità aumentata per avviare un nuovo Rinascimento?
Buttando nella società risorse finanziarie e nuove cognitive. Per attivare una nuova ricerca e sviluppo capace non solo di costruire giocattoli tecnologici, ma di generare una nuova Società, una nuova Natura ed una nuova Umanità.

Noi abbiamo avviato un progetto di ricerca che ha l’obiettivo di rendere disponibile un sistema di conoscenze e di metodologie capaci di abilitare persone, imprese, attori sociali, politici, istituzionali e culturali a praticare una nuova imprenditorialità aumentata  a livello personale, organizzativo, sociale, politico, istituzionale, culturale.

Il testo del Progetto di Ricerca che proponiamo è scaricabile dal blog.

Chiediamo a tutti di partecipare a questo progetto di ricerca per iniziare a produrre mille stille di un nuovo Rinascimento.

Qualche risultato l’abbiamo già attenuto.
Proporremo non una descrizione, ma solo la citazione dei risultati.
Abbiamo scoperto come la competizione non sia una caratteristica del mercato libero, ma sia una costruzione degli stessi imprenditori che, prima, avevano creato quel mercato.
Abbiamo scoperto che il competere genera un circolo vizioso che porta alla perdita della capacità di produrre valore dell’impresa. Ed è possibile aiutare l’impresa ad auto misurare a che punto è arrivata lungo questo circolo vizioso. Abbiamo costruito una metodologie per aiutare l’impresa d auto a costruire una via di fuga da questo circolo vizioso. La somma di questa due metodologie permette di praticare imprenditorialità aumentata.
La “somma” di queste due metodologie permette di costruire un  nuovo dialogo tra banca ed impresa. Permette di affrontare in modo radicalmente diverso al costruzione di reti d’impresa. Permette di affrontare in termini imprenditoriali e non solo societari o fiscali i processi di ristrutturazione, di fusione ed acquisizione.









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