"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

lunedì 14 febbraio 2011

Una nuova imprenditorialità aumentata

                                                                                di
Francesco Zanotti

Il Censis, nel suo Rapporto 2009 (quello del 2010 non dice molto), tentando una descrizione di sintesi della nostra società, dice che essa è caratterizzata da implosione istituzionale e vitalità molecolare effimera. Sono d’accordo, ma occorre fare un passo avanti. E dire che questa implosione e questa vitalità effimera sono la conseguenza del crescere di una inerzia imprenditoriale (intendendo la parola “imprenditorialità” nel senso specificato nel romanzo della società industriale) profonda.Essa banalizza l’etica perché la riduce a realizzare l’equità possibile oggi. E non a diventare lo stimolo fondamentale per costruire un futuro non solo più equo, ma dove la qualità complessiva della vita di tutti continuamente migliora. Trascura l’estetica giudicandola un riferimento ludico e non un criterio di verifica di concretezza ed eticità.

I figli (non solo naturali, ma anche spirituali) che hanno ereditato i ruoli dirigenziali nella nostra società non hanno ricordo delle prassi imprenditoriali che l’hanno generata. E l’educazione che hanno ricevuto è stata di stretta osservanza “galileiana”. Il risultato è che in loro si è confermata l’dea che questa società è il migliore dei mondi possibili di Leibneziana memoria. E che è loro compito gestirla così come è.
Certo al formarsi di questa convinzione non sono estranee considerazioni di convenienza, desiderio di mantenere i privilegi ereditati.
In ogni caso il risultato finale è che della imprenditorialità creatrice si sono perse le tracce.

Se così stanno le cose, allora per costruire una nuova società, da specificare in una nuova economia, in un nuovo stato sociale, in nuove istituzioni, la soluzione è quella di riattivare una nuova stagione di imprenditorialità.

Ma non basta la vecchia imprenditorialità, volitiva e spontanea, che ha generato il nostro sistema economico e la nostra società. E’ necessaria quella che ho definito come imprenditorialità aumentata.

Con questa espressione, che parafrasa quella più nota di “realtà aumentata”, intendo significare che la nuova imprenditorialità deve essere molto più “potente” di quanto non lo sia stata anche quella del passato più recente.

Più in dettaglio.
Innanzitutto, non basterà più padroneggiare una qualche tecnologia appresa da esperienze di lavoro precedente, farsi attrarre dalla volontà di utilizzare questa esperienza in proprio e farsi guidare dall’imitazione di stili di vita di un qualche paese guida.

Non basterà neanche incrementare il numero delle piccole innovazioni tecnologiche che oramai una miriade di incubatori stanno stimolando e seguendo.

Né basterà neanche attivare qualche nuova esperienza produttiva o commerciale (qualche esperienza di produzione, commercio o consumo equo e solidale, ad esempio) che nasce più come rifiuto della società attuale che come frattale di una nuova società

I nuovi imprenditori economici, sociali, politici dovranno  partire da quella immensità di risorse, sia conservative che generative, rese disponibili dalla società industriale, dalla nuova voglia di identità e di una nuova qualità della vita delle persone, dalle esperienze  di nuova economia e nuova finanza, dai nuovi protagonisti economici, sociali, politici, istituzionali ed attivare un gran processo di progettazione complessiva di una nuova società.

Dovranno partire da queste potenzialità ed attivare una nuova progettualità che non si disperda in mille rivoli che, poi, si inaridiscono in mille esperienze che non riescono a trovare un significato insieme. Una nuova progettualità che riesca a produrre, contemporaneamente, tutti i dettagli e il disegno complessivo della nuova società prossima ventura.

Questa nuova imprenditorialità aumentata, questi nuovi processi di creazione sociale difficilmente potranno emergere spontaneamente proprio a causa della intensità dei processi di “degenerazione” della competenza imprenditoriale complessiva che sta affliggendo la nostra società. Non potrà neanche essere generata da esortazioni retoriche, quindi, non potrà nascere e svilupparsi spontaneamente.
Questa nuova imprenditorialità aumentata dovrà essere attivata consapevolmente e, quando comincerà ad esprimersi, dovrà essere sostenuta, “coccolata”. Ma come?

Per capire come fare, proviamo ad esplorare il “segreto” di quel grande processo di creazione  “imprenditoriale” che fu il Rinascimento. Che cosa ha generato quella grande esplosione di scienziati, poeti, santi a navigatori, di arte e di scienza (mi si permette di dire, arte e scienza “aumentate” rispetto a quelle del Medioevo?) sulla quale tuttora noi si campa? Ci campiamo in senso letterale: in ossequio ad una strategia di conservazione, (che, a questo punto, dovrebbe sembrare davvero ridicola), consideriamo, ad esempio, l’arte una cosa che il passato ci ha regalato e che ora possiamo solo ammirare ed usare. Ma non ci sogniamo di voler costruire altre opere d’arte così diffuse ed imponenti come accadde nel Rinascimento.

Allora quale è stato il segreto di questa esplosione?
La risposta è grande e banale. Si è buttato nella società medioevale una visione del mondo e dell’uomo nuova rispetto a quella medioevale: quella sviluppata, artisticamente e filosoficamente, dal mondo “classico”.
Una nuova visione del mondo raccontata. E, poi, il racconto ha scatenato un nuovo raccontare ed un nuovo fare che si sono spontaneamente condensati nel Rinascimento. Detto diversamente, la costruzione di ogni Rinascimento nasce da una innovazione epistemologica che diventa botteghe ed opere d’arte, città e vie di comunicazione, banche ed istituzioni.
Il primo passo per attivare una nuova imprenditorialità è, allora, quello di buttare una nuova visione del mondo all’interno, in tutti gli interstizi della nostra società una nuova visione del mondo.
In particolare è importante “buttare” nel mondo imprenditoriale una nuova cultura strategica che faccia da “carburante” ad una nuova stagione di imprenditorialità aumentata.


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