"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

lunedì 14 marzo 2011

Telecom, ripresa, globalizzazione: a chi conviene l'ignoranza "strategica"?

di
Francesco Zanotti


Non si può non tornare sul tema della strategia d’impresa. Sul problema dei guai che vengono generati dalla ignoranza (in senso “tecnico”: il non sapere) di tutte quelle conoscenze che servono a progettare strategia.

E’ stato trovato un accordo sul Vertice Telecom. E giustamente Massimo Giannini su Affari e Finanza (14 marzo 2011) si chiede che cosa farà il nuovo vertice: continuerà nel solco delle strategie passate o le cambierà? E conclude: nessuno lo capisce.
Io credo che il problema della “strategia” non sia passato neanche per l’anticamera del cervello di coloro che hanno costruito il nuovo equilibrio in Telecom. Telecom viene considerata come una istituzione a cui non servono mission e strategie. La sua funzione è immutabile come quella di tutte le Istituzioni. In una istituzione il problema è solo quello di scegliere chi la occupa.
Peccato che Telecom sia una impresa e che necessiti di profondi cambiamenti di mission e strategie …


Sullo stesso numero di Affari e Finanza si affronta il problema della Globalizzazione 2.0. Si sta scoprendo che una delocalizzazione produttiva per ridurre i costi funziona per un tempo così breve che spesso non ripaga dell’investimento necessario per delocalizzare. Ed alla moda della delocalizzazione si sta sostituendo la moda del ritorno a casa.
Peccato che la “brutalità” e, quindi, l’ insensatezza strategica, di una delocalizzazione spinta da strategie di prezzo poteva essere tranquillamente conosciuta prima …

I dati dell’Istat sulla produzione industriale dovrebbero iniziare a suggerirci che non vi sarà il tipo di ripresa che tutti attendono: il tornate tutto come prima. Riprenderanno tutte quelle imprese che si saranno costruite una nuova identità …

Ho citato tre casi dalla cronaca che dovrebbero convincere dell’ importanza di usare le conoscenze di strategia d’impresa. Cioè quei modelli, quei linguaggi che permettono di progettare l’identità delle imprese e le loro relazioni con l’ambiente in cui vivono.

Più in dettaglio, innanzitutto, permettono di prevedere cosa accadrà se attendiamo una ripresa che non ci sarà. Infatti, permettono di prevedere il costo della conservazione. Ancora più concretamente, permettono di prevedere i flussi di cassa futuri che l’impresa (anche una grande come Telecom) potrà generare se continua a fare le stesse cose che fa oggi, se migliora  la qualità, se migliora l’efficienza.
E poi permettono di progettare una nuova identità dell’impresa e di prevedere quali saranno i flussi di cassa che potrà generare.

La domanda nasce spontanea: perché non usare conoscenze di questo tipo? Be’, non le si usano perché non le si conoscono. Allora la domanda vera è perché non le si imparano?
La risposta può oscillare tra due poli. Il primo è che nessuno comunica che esistono e le rende disponibili. Il secondo polo è che le nostre classi dirigenti considerano l’apprendere nuove conoscenze come una “diminutio”, un distogliersi dal loro ruolo più importante che è costituito, per le grandi imprese, dalle battaglie di potere e, per le piccole imprese, dal prendere finalmente il posto di papà, senza chieresi come papà ha costruiti quello che ha costruito.

Vale la prima o la seconda risposta? Ai posteri l’ardua sentenza. Noi (sì, anche noi) chiniam la fronte al Massimo Fattor e ci dichiariamo umilmente pronti a rendere disponibili le più avanzate conoscenze di strategia d’impresa a chi volesse conoscerle ed usarle.

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