"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

lunedì 4 aprile 2011

Il circolo vizioso del sistema bancario: il risparmio che diventa capannone … vuoto


di
Francesco Zanotti

Io credo che per avere una immagine più realistica della situazione del sistema bancario occorre guardare alla situazione dei clienti delle banche. Se si guarda da questo punto di vista, il sistema bancario italiano appare assorbito in un drammatico circolo vizioso.

La situazione “media” del sistema delle imprese è descritta da un titolo di un articolo a tutta pagina (apre le sezione “Economia e imprese”) del Sole 24 ore di Giovedì 31 marzo 2011: “Allarme margini per le PMI”.
In sostanza l’articolo dice che, mediamente, stanno calando i margini delle imprese perché non si riescono a scaricare i costi sui clienti. A me sembra una attesa perdente quella di scaricare i costi: è necessario far sì che i clienti riconoscano il valore di quello che si vende loro. E’ necessario arricchire, trasformare il sistema d’offerta in modo che acquisti maggior (possibilmente unico) valore rispetto ai clienti. Ma riprenderò dopo queste “quisquiglie”.


Ora faccio un ragionamento sugli effetti di questo calo dei margini. Se calano i margini cala anche la produzione di cassa. E cala più che proporzionalmente perché le imprese, per non essere costrette ad eccessive riduzioni di prezzo, avranno giocato anche su quella riduzione meno visibile del prezzo che è l’allungamento dei tempi di pagamento. Ovviamente questo allungamento è in parte ribaltato sui fornitori, così si innesca un bel circolo vizioso.

Se cala strutturalmente la produzione di cassa, il problema è molto più grave del “credit crunch”. La conseguenza diretta ed inevitabile sarà un aumento delle sofferenze che i patrimoni della banche non riusciranno a sopportare.
Io credo che gli attivi delle banche siano strutturalmente molto peggiori di quello che oggi comunemente si crede. Se cala la produzione di cassa troppe, tra le operazioni di ristrutturazione del debito, risulteranno insostenibili. E credo che le banche abbiano percezione di questa realtà, ma la possano ancora tenere nascosta perché i sistemi di controllo del merito del credito non riescono ad avere sguardo sul futuro. Così banche ed imprese si possono inventare qualunque futuro possa giustificare una ristrutturazione del debito.

Detto diversamente,  piano piano diventa evidente che  gli impieghi delle banche si sono andati via via sempre più immobilizzando in immobilizzazioni che non rendono più. Il risparmio affidato alle banche è diventato “circolante bloccato”, macchinari ed immobili che non riescono più a produrre cassa. La predilezione del debito da parte delle imprese e la strategia delle garanzie da parte delle banche ha aumentato a dismisura il processo di immobilizzazione del risparmio.

Credo che i risparmiatori farebbero bene a cominciare a girare per i nostri territori industrializzati e chiedersi: in che capannone sono finiti i miei risparmi? Questo capannone è pieno di vita o sta andando in pezzi?

Se tutto questo è vero, allora il problema, la sfida, non è tanto quella di decidere, selezionare tra le imprese esistenti quelle alle quali affidare nuove risorse, ma fare qualcosa per recuperare le risorse immobilizzate. E, contemporaneamente, supportare la nascita di nuove imprese.
Se le banche non riusciranno a far rendere di nuovo le risorse investite, l’impossibilità di far fronte alle perdite da sofferenze con il patrimonio metterà in crisi il sistema del risparmio che si dimostrerà essere virtuale, invece che sicuro. Ed allora saranno guai grossi perché non sarà più possibile l’intervento dello Stato che, in ultima analisi, utilizza proprio il patrimonio accumulato dai risparmiatori che, però, svanisce se le banche lo sperperano.

Oggi si considera praticabile la via del recupero forzoso, ma è una via sempre meno praticabile a mano a mano che cala la capacità di produrre cassa delle imprese. Paradossalmente penalizza proprio le imprese che potrebbero più facilmente recuperare redditività. Infatti si ottiene il “rientro” dalle imprese che mantengono una loro redditività strutturale. Lo sforzo di rientro ne penalizza gli investimenti e deprime la loro futura capacità di produrre cassa.

Tutto questo significa che le banche non potranno più fare solo i giudici (e farlo meglio del passato), ma devono diventare veri e propri attori catalizzatori di una rinascita imprenditoriale. Cioè devono occuparsi delle “quisquiglie”. Di cui dicevo prima: aiutare le imprese clienti ad arricchirsi, trasformare il loro sistema d’offerta in modo da sfuggire alla trappola della competizione di prezzo.

Come fare ad interpretare questo nuovo ruolo? Ovviamente non basta la volontà. Ma la volontà è un prerequisito fondamentale. Noi abbiamo sviluppato una proposta precisa per supportare la banche nel diventare catalizzatori di un nuovo sviluppo. Ma è davvero inutile avanzare questa proposta se non esiste un terreno che la possa accogliere. Prima di proporre idee, metodi e conoscenze nuove, deve esistere come presupposto inevitabile la volontà delle banche e delle imprese di attivare un nuovo e diverso dialogo orientato a costruire un nuovo sviluppo. Altrimenti idee, metodi e conoscenze vengono triturate nel tritacarne di mille resistenze al cambiamento.



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