"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

martedì 9 agosto 2011

Ma come si costruisce un nuovo sviluppo?


Una mattina di domenica (11 ottobre 2009) sul Sole 24 ore …

Ma perché riprendere un vecchio testo? Per dimostrare che, purtroppo, nel progettare un nuovo mondo non abbiamo fatto alcun passo avanti … E per provare a riproporre visioni, passi possibili.
Torniamo a quella mattina, a quel testo. Lasciate stare l’autore: ha importanza la sua tesi, non il suo nome. Mettendo il nome si rischierebbe di non poter discutere della tesi. Che è profondamente “conservatrice”. Quindi: costruttrice di crisi. Ad essa vorrei contrapporre una contro tesi da lasciare alla riflessione ed al dibattito (è pubblicata anche sul nostro sito) di coloro che hanno voglia di compromettersi per costruire sviluppo.
                                                        
TESI
Le contingenze attuali non lasciano grandi speranze dal lato della domanda: non crescerà molto né in Italia né all’estero (dove pure siamo deboli). Allora occorre agire dal lato dell’offerta. Ma come? E’ evidente: abbassando i costi. E come abbassare i costi? Anche questo è evidente: abbassando le tasse. Ad esempio, eliminando le tasse che paga anche chi è in perdita: l’IRAP. Oppure aumentando la deducibilità degli oneri fiscali …

CONTRO TESI
Ma proprio contro …
Oggi viviamo un passaggio di civiltà. Sta cambiando l’uomo: i suoi desideri, le sue ambizioni, il suo concetto di qualità della vita, i concetti di salute e benessere. Questo significa che i prodotti, i servizi, i sistemi produttivi, le infrastrutture, le case, città devono cambiare radicalmente. Stanno già facendolo: basta leggere i giornali tutti i giorni. E si trovano proposte di nuovi prodotti, di nuovi modi di vivere, di nuovi modi di costruire case, città, infrastrutture …
Allora se vogliamo lavorare dalla parte dell’offerta, non dobbiamo ragionare sui costi, dobbiamo ragionare sulle cose che facciamo  e vendiamo. Dobbiamo scatenate una nuova stagione di progettualità profonda che ci porti ad immaginare radicalmente nuovi prodotti, nuovi servizi e tutto il resto.
Non basta l’innovazione tecnologica. Se si parla solo di innovazione tecnologica, si pensa solo a come migliorare prodotti e sistemi produttivi esistenti. Qui si tratta di guardare alla scienza ed alla tecnologia come fonte di ispirazione per venire incontro alle nuove esigenze ed aspirazioni dell’uomo.
Chi fornisce risorse finanziarie alle imprese non può solo gingillarsi nel valutare se finanziare o meno il capitale circolante, il capannone o le macchine. Non può fermarsi a valutare il posizionamento competitivo (ma quante banche lo fanno? Quanti Fondi di Private Equity lo fanno usando metodologie non arcaiche?) delle nostre imprese che è, per troppe di esse, troppo debole per essere sostenuto. Deve, proattivamente, stimolare e finanziare le progettualità profonde, quelle che cercano i prodotti e i servizi di una nuova società. Se non tutte le nostre imprese (purtroppo poche) hanno chances di competere sull’esistente, quasi tutte hanno chances di progettare un nuovo futuro. Quasi tutte, infatti, possono contare  su risorse umane eccellenti che, finalmente, si ritroverebbero ad essere riscoperte come persone, capaci di progettualità e non come risorse da usare per fare prodotti o erogare servizi che non interessano più a nessuno. E si interromperebbe il circolo vizioso: faccio cose banali, quindi non mi servono persone che le facciano.
Stimolando progettualità profonda si ricostruirebbe il significato del fare impresa che noi tutti difendiamo: è l’impresa che produce risorse per la collettività. Non è la collettività che deve mantenere l’impresa.

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