"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

lunedì 30 gennaio 2012

Banche, sviluppo e conoscenze di strategia d’impresa


di
Francesco Zanotti

L’occasione di questo post è un articolo apparso sul Corriere della Sera di domenica 29 gennaio 2012 a firma di Dario Di Vico. Il dott. Di Vico sostiene la tesi del Credit Crunch. A lui rispondono oggi, sullo stesso Corriere, un gruppo di Banchieri (Alessandro Azzi, Carlo Fratta Pasini, Giuseppe Mussari, Antonio Pattuelli, Camillo Venesio) contestando questa tesi e ribardendo il loro impegno a non far mancare credito per sostenere la “crescita”.
Chi ha ragione? Purtroppo tutte e due le parti. Dico purtroppo perché il problema è che la coperta è troppo stretta e si restringerà ancora di più.
Un solo esempio: le operazioni di ristrutturazione del debito. Esse sono state e sono ancora lo strumento fondamentale per aiutare le imprese che stanno perdendo la loro capacità di produrre cassa. Ah … alle banche interessa la capacità delle imprese di produrre cassa, ovviamente. L’ipotesi che sta al fondo di ogni operazione di ristrutturazione del debito è che nel futuro le imprese recupereranno questa loro capacità di produrre cassa. E ne produrranno molto più che nel passato perché ogni “sana” operazione di ristrutturazione del debito aumenta l’ammontare complessivo del debito stesso, anche se ne sposta il rimborso nel tempo. Per dimostrare che aumenterà nel futuro la loro capacità di produrre cassa le imprese presentano Piani Industriali, Business Plan. Ora sta accadendo, sempre più spesso, che questi piani (che si usi l’italiano o l’inglese per definirli) non vengono rispettati. E ad una ristrutturazione ne segue a breve un’altra. Questo rincorrersi di ristrutturazioni che non funzionano avrà un unico risultato: la chiusura di molte imprese e l’aumento delle sofferenze. Cioè un restringimento ulteriore della coperta che ne generà altri a catena a causa dell’impatto sul reddito delle famiglie
Cosa fare? La mia risposta è non convenzionale. Ma, come asseriscono i banchieri nella loro lettera al Direttore del Corriere, essi sono disposti ad ascoltare e mettere in atto azioni non convenzionali. Ecco la mia risposta non convenzionale.

giovedì 26 gennaio 2012

C’era una volta e ora non c’è più …



di
Cesare Sacerdoti
c.sacerdoti@cse-crescendo.com
Il 23 gennaio 2012, a palazzo Clerici a Milano si è tenuto un dibaditto in ISPI organizzato in occasione della pubblicazione di un volume dedicato - a 5 anni dalla sua scomparsa - a Leopoldo Pirelli (1925-2007), che dell’ISPI e delle prospettive internazionali della cultura e delle imprese italiane è sempre stato appassionato sostenitore.
Nel corso dell’incontro è stato presentato un servizio televisivo del 1963 in cui il padre di Leopoldo, Alberto, ricordava le origini della Pirelli ed in particolare mostrava la foto dei 10 laureati in ingegneria nel 1870 al Politecnico di Milano.
E’ impressionante leggerne i nomi: G.B. Pirelli: “Nel 1872 sottopose ad un gruppo di benestanti meneghini un progetto industriale, basato sullo sviluppo della gomma, che convinse un gruppo di banche cittadine a sovvenzionare la nascita della "G.B.Pirelli & C.", embrione della futura Pirelli” (da Wikipedia).

martedì 24 gennaio 2012

Edipower: ma che ne sanno avvocati e banchieri...


di
Francesco Zanotti

Leggo sul Sole 24 Ore di oggi (prima pagina Finanza e Mercati), un articolo di Simone Filippetti sul caso Edipower dal titolo “Ora il mercato chiede coesione”.
L’Autore sostiene che “avvocati e banchieri stavano limando i dettagli dell’agognato accordo su Edipower”. Ma accordo su cosa? Ma un accordo sulla Governance, perbacco …
Purtroppo si parla di una Governance che riguarda la distribuzione del potere. Come se Edipower fosse una eterna burocrazia, il cui unico problema è a chi si lascia il potere di dominarci sopra.
La sfida dovrebbe essere, invece, quella di inaugurare una nuova stagione di progettualità strategica. Sarebbe tempo che non si badasse al potere, ma a costruire progetti importanti d’impresa. Sarebbe importante che processi di ristrutturazione societaria fossero solo la modalità di dare miglior veste giuridica a una impresa dotata di un progetto capace di stravolgere il mercato dell’energia.
Sarebbe importante, ma … fino a che guidano la danza banchieri ed avvocati che non sanno nulla delle conoscenze e delle metodologie di strategia d’impresa scambieremo la forma giuridica con la sostanza. Incuranti del fatto che al nostro sistema economico serve davvero una rivoluzione nel mercato dell’energia.

lunedì 23 gennaio 2012

Comunismo societario, Progetto di Impresa, Rating e sviluppo economico


di
Francesco Zanotti


Domenica 22 gennaio 2012 è apparso sul Sole 24 ore di un articolo di Luigi Zingales dal titolo “Fonsai e il dirigismo all’italiana”.
L’autore riscrive la storia di Fondiaria e la sua successiva ricollocazione dalla Montedison di Schimberni (che l’aveva soffiata a Carlo Bonomi) alla Ferfin di Gardini ed al suo successivo al defenestramento fino a Ligresti. Il tutto ad opera di Mediobanca. L’autore sostiene che questo processo è frutto di quello che definisce “comunismo societario”. In sostanza, le scelte economiche vengono fatte secondo logiche di potere e le conseguenze economiche ricadono sulle società. Per evitare questo comunismo societario l’autore chiede nuovi meccanismi di selezione della classe dirigente che non usino più come criterio di selezione l’ “amicizia”.
Sono stato protagonista professionale (non manageriale) di un pezzo importante di questa sequela di passaggi.

mercoledì 18 gennaio 2012

I nostri più sinceri auguri. Di cuore.



di
Francesco Zanotti e Riccardo Profumo
f.zanotti@cse-crescendo.com ; r.profumo@cse-crescendo.com

Lunedì 16 Gennaio ho seguito “L’Infedele”, il programma di approfondimento di Gad Lerner. E’ stata una puntata interessante. Il titolo era inequivocabile: “Draghi: la situazione è gravissima”. Nel corso della puntata sono intervenuti politici, economisti, giornalisti, imprenditori e rappresentanti sindacali. Insieme a loro il ministro Fabrizio Barca (Ministro per la Coesione Territoriale) e più tardi il Sindaco Pisapia.
Si è parlato di politica economica e di come “vivere senza rating”, il Ministro ha introdotto interessanti spunti per lo sviluppo imprenditoriale. Ma l’argomento centrale, quello su cui mi voglio soffermare in questo post, è stato il fenomeno dell’occupazione delle fabbriche, la reazione
dei lavoratori alla chiusura dell’impresa, la costituzione di cooperative e la autogestione.

Di cosa si tratta?

giovedì 12 gennaio 2012

Fonsai-Unipol: dov’è il Progetto di Impresa?


di
Francesco Zanotti

Un Attore economico giustifica e costruisce la sua esistenza attraverso il suo Progetto d’impresa. In una società e in un sistema economico che cambia velocemente … no! E’ l’espressione sbagliata. Occorre recuperare il senso della responsabilità economica e sociale e dire… Poiché dobbiamo cambiare la società attuale ed il suo sistema economico, allora, anche un obiettivo apparentemente di corto respiro come la sopravvivenza può essere garantito solo da un Progetto di impresa alto e forte dal quale si capisca, che sia un ologramma, della società e del sistema economico che l’Attore economico prefigura. Progetto d'impresa mi sembra una espressione meno burocratica rispetto a "Business Plan" o, peggio, "Piano industriale".
Nel caso di una PMI un Progetto d’impresa si sviluppa in un ambito limitato, legato alla innovazione di prodotto e servizio. Nel caso di un costituendo grande raggruppamento di Compagnie di Assicurazione il Progetto di impresa ha un rilevante impatto economico e sociale. Ad esempio (ma è solo un esempio) esso propone, inevitabilmente, un suo modello di Welfare. Infatti le compagnie di assicurazione vendono prodotti di tipo previdenziale e sanitario che sono ispirati, consapevolmente o meno, ad una specifica visione del futuro Stato sociale.

Nello scrivere, mi accorgo che ho fatto un passo avanti: anche se non lo si esplicita, anche se non se ne è consapevoli, ogni Attore Economico persegue un proprio Progetto d’impresa. Cioè una propria visione del sistema economico e della società desiderabili.

Ora nel caso della fusione Fonsai-Unipol quale è il Progetto d’impresa perseguito? Un progetto di ristrutturazione finanziaria e societaria non è un Progetto d’impresa.

mercoledì 11 gennaio 2012

Il ruolo del sistema bancario nello sviluppo del nostro Sistema Paese


Parte prima:
Sopravvivere solo penalizzando i clienti?
Seconda puntata

di
Francesco Zanotti


La restrizione del credito alle imprese ed alle famiglie è resa quasi obbligatoria anche da un altro fenomeno: la difficoltà delle banche a reperire liquidità. Sui mercati interbancari internazionali a causa del costo e della mancanza di fiducia tra le banche, attraverso i depositanti perché gli individui e le famiglie non riescono più a risparmiare, anzi hanno iniziato a vivere di debito, come diremo più avanti.
Sarà anche un’ultima ratio obbligata, ma è pure un evidente tirarsi la zappa sui piedi perché questa restrizione peggiorerà ulteriormente la qualità degli attivi.

La prima ragione è che ...

venerdì 6 gennaio 2012

Sotto la punta dell’iceberg


di
Riccardo Profumo

Sul Secolo XIX del 4 gennaio, in prima pagina, si parla di taxi e farmacie, del blitz sulle liberalizzazioni. Poi al Tg si parla di un altro blitz, quello della Finanza a Cortina e poi della polemica sulla Casta. Sono i contenuti della fase 2 che accendono il dibattito e raccolgono tanti consensi sul decreto Cresci-Italia.
Ma con queste misure dove andiamo? L’Italia tornerà a crescere grazie alle liberalizzazioni di edicole e parafarmacie? Cinquemila taxisti in più spazzeranno via il problema della disoccupazione?
Mi si dirà che si tratta solo della punta di un iceberg. Perché le liberalizzazioni allo studio potranno riguardare anche altri settori, dalla benzina alle poste, fino ai servizi locali. E poi non ci sono solo le misure che favoriscono la concorrenza, ma anche la riforma del lavoro e gli ammortizzatori sociali e le infrastrutture. Bene, ma questo è l’iceberg che ci salverà?  Troveremo lo sviluppo grazie alla riforma degli ordini professionali? Creeremo nuova occupazione tramite la riforma degli ammortizzatori sociali?

giovedì 5 gennaio 2012

Il ruolo del sistema bancario nello sviluppo del nostro Sistema Paese


Parte prima:
Sopravvivere solo penalizzando i clienti?
Prima puntata

di
Francesco Zanotti

Abbiamo deciso di avviare una ricerca progettuale per capire quale sarà il ruolo del sistema bancario nello sviluppo del nostro sistema paese.
Ricerca progettuale perché non cerchiamo di capire come è la situazione attuale (il compito delle ricerche normali). Ma perché cerchiamo di provocare un salto di progettualità: come dovrà cambiare il sistema bancario per diventare il catalizzatore di un nuovo sviluppo economico e sociale del nostro sistema paese? Ovviamente,  in tempi brevi ..
La progettualità di oggi è molto conservatrice: i piani industriali delle banche tendono a consolidare il modo tradizionale di fare banca. Ma questo modo di fare banca … porta a sopravvivere solo a spese dei clienti ….

Leggendo le opinioni degli esperti, quelle dei banchieri e, francamente, leggendo anche i piani strategici o i piani industriali delle banche, sembra che queste ultime possano salvarsi solo danneggiando i loro clienti.
Ovviamente si tratta di una salvezza effimera ottenuta rinunciando alla funzione propria delle banche, alla loro ragion d’essere. Una salvezza che somiglia ad una eutanasia.

Il fenomeno scatenante è costituito dal progressivo deteriorarsi della qualità degli attivi.
Il processo è stato avviato dalla crisi dei titoli derivati che non è certamente superata. Oggi continua e si aggrava con la crisi dei debiti sovrani.

Di fonte a questo progressivo deteriorarsi degli attivi le Autorità di controllo hanno richiesto e stanno richiedendo un crescente rafforzamento patrimoniale delle banche.

Questo rafforzamento potrebbe derivare, in modo naturale, dall’immissione di nuovo capitale nelle banche. Si tratta, però, di una via difficile da percorrere, sia perché è rilevante l’ammontare delle somme necessarie sia per la poca appetibilità di banche i cui attivi si stanno deteriorando. E’ difficile da percorrere anche per ragioni “politiche” costituite dalla conseguente inevitabile ristrutturazione degli assetti azionari che nessuno realmente desidera.

Rimane, allora, la via della riduzione degli attivi. Così anche un capitale, che oggi sembra scarso, diventa sufficiente per rispondere alle richieste dei controllori.

Mi sia concessa una parentesi “linguistica”: il nome “attivi”, imposto dalla contabilità, suona quasi beffardo. Siamo costretti ad usare un nome dal suono positivo, come “attivi”, per definire poste che si stanno rilevando misteri di valore e che, tendenzialmente, quando si toglie il velo del mistero, disvelano valori di molto inferiori al nominale.
Per supplire alla perdita di valore degli “attivi” occorre immettere capitale che viene considerato una passività: dalla beffa al non sense.
Domanda: ma chi si occupa di business si è mai posto il problema del ruolo del linguaggio nella costruzione della realtà? La risposta è ovviamente: no! E, altrettanto ovviamente, si tratta della risposta sbagliata. Infatti, credo che sarebbe di grande utilità riuscire a capire che i linguaggi (il bilancio), che hanno come obiettivo la “quadratura”, cioè dare informazioni sulle condizioni di equilibrio di una impresa, sono i peggiori linguaggi per descrivere processi di sviluppo.

Tornando al discorso principale, la riduzione degli asset può avvenire, innanzitutto, attraverso la loro vendita. Ma si tratta di una vendita problematica.

E’ problematica la vendita dei derivati, come lo è, ancora prima, la loro valutazione. Infatti, una loro vendita a prezzi svalutati, ammesso che si trovino compratori, potrebbe costringere le banche ad evidenziare minus valenze che potrebbero generare esigenze di rafforzamento patrimoniale addirittura superiori a quelle, giudicate oggi troppo onerose, avanzate dagli organi di controllo.

La vendita dei titoli di Stato (soprattutto quelli dei Paesi in cui hanno sede le banche) è altrettanto, se non più problematica, stante il crescente fabbisogno di liquidità degli stessi Stati che, in mille modi, costringono le banche a comprarli.

L’ultima ratio, allora, è la restrizione del credito alle imprese ed alle famiglie … (segue) 

lunedì 2 gennaio 2012

Per un nuovo sviluppo etico ed estetico

Credo che il modo migliore per inziare un nuovo anno di proposta e dialogo con tutti coloro che seguono i nostri blog sia quello di proporre il Manifesto dell'Associazione per l'Expo della Conoscenza. Questa Associazione è una ONLUS che ha l'obiettivo di realizzare l'Expo della Conoscenza a Milano. Il Manifesto  inizia con una analisi diversa della situazione attuale e, poi, indica una precisa strada per costruire  un nuovo sviluppo etico ed estetico che è, appunto, quella di organizzare un Expo della Conoscenza.

Una analisi trasgressiva e mobilitante di una crisi complessiva
La visione oggi dominante della crisi complessiva che ci sovrasta è di tipo conservativo, lineare, quindi specialistico: i problemi attuali sarebbero generati da malfunzionamenti dei diversi attori che costituiscono una società (imprese, organizzazioni, istituzioni, mercati etc.).

Se i malfunzionamenti sono specifici e locali, allora sono necessarie strategie di “riparazione” locali e specialistiche dei “guasti”. Per “riparare” si intende: riformare le istituzioni, ristrutturare, per rendere più competitive, le organizzazioni, regolamentare i mercati finanziari.

E’ una visione che viene perseguita con tenacia, ma non sta riuscendo a trasformare la crisi in sviluppo. Anche quando i singoli interventi “locali” ottengono un qualche successo, si tratta di un successo effimero che crea le basi per problemi ancora più gravi.

Gli autori di questo manifesto propongono una visione radicalmente diversa della situazione che stiamo vivendo.

La comunità umana è immersa in un’intera ecologia di crisi che, da un lato, si stanno sostenendo le une le altre con intrecci multipli e non certo monodimensionali. E, dall’altro, sono tutte manifestazioni diverse di una stessa crisi complessiva: una progressiva perdita di senso della nostra società attuale e della cultura che la sostiene.
  
Una rivoluzione progettuale
Se una società ed una cultura stanno perdendo di senso, allora le strategie “di riparazione” (ristrutturazione, regolamentazione, ricerca della competitività etc.) sono strategie controproducenti perché confermano, consolidano il modello sociale attuale e della sua cultura di riferimento. E, così facendo, invece di risolvere l’ecologia di crisi che ci minaccia, la nutrono, l’accelerano.

Se una società ed una cultura stanno perdendo di senso, è necessario adottare strategie completamente diverse: invece di ristrutturare è, allora, necessario “rivoluzionare”.

Per togliere ogni sapore “retro” al verbo “rivoluzionare” specifichiamo che diamo a questa parola una valenza “costruttiva”: non si tratta di distruggere il passato ed attendere che emerga, dalle macerie, un nuovo futuro. Si tratta di progettare, consapevolmente, una nuova cultura ed una nuova società.