"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

venerdì 30 marzo 2012

Altrimenti ci arrabbiamo?


di
Francesco Zanotti

Oppongo, alle tesi di Carlo Bastasin sul Sole 24 Ore e di Dario Di Vico sul Corriere della Sera di oggi, altre tesi. Non me ne vogliano gli interessati per il linguaggio diretto. Ovviamente discuto le idee e non le persone. Chissà se vorranno discutere queste idee.

Il titolo (e la macrotesi) di Carlo Bastasin sul Sole è “La lezione della crisi non è stata capita”. La mia controtesi: certo, ma dagli economisti! Continuano ad imporre al sociale le conclusioni di una “scienza” (l’economia) che ha fondamenta flebilissime. Accetta il Professore un contradittorio sui fondamenti dell’economia?  

Ma siamo più concreti. Usando le “leggi dell’economia” il Professore sostiene che per salvarci occorre aumentare la produttività. Ma, prima di tutto, non conosco (magari il Professore me la indica e me ne descrive le verifiche sperimentali) una legge che lo affermi. Poi: è facile far vedere che non ha senso. Siamo in un mondo che ha bisogno di prodotti e sistemi produttivi radicalmente diversi per ragioni antropologiche e ed ambientali. Cercare di produrre una maggior quantità degli oggetti (ma anche, ad esempio, delle infrastrutture) che si producono oggi è dannoso.

La mia proposta alternativa: oggi occorre far in modo che nascano in Italia almeno 50 imprese che abbiano dimensioni e redditività della Apple. Impossibile? Sono necessari investimenti colossali? No! Basta diffondere conoscenze avanzate di strategia d’impresa e di sistemica. Non posso ovviamente dettagliare in questa sede. Ma l’ho fatto in altri luoghi di questo blog. E posso farlo in qualunque sede mi si proponga.

Ed arriviamo a Dario Di Vico.

mercoledì 28 marzo 2012

Ah ... se si disponesse delle conoscenze di strategia d’impresa


di
Francesco Zanotti

Leggo un articolo di Guido Gentili sul Sole 24 Ore di oggi, una serie di riflessioni interessanti sul vendere l’Italia o investire in Italia.
Vorrei dare un contributo a questi temi usando le conoscenze standard di “strategia d’impresa”. Si sciolgono molti dubbi, si individuano strade di sviluppo. La domanda eterna è la solita: perché non usarle?
Quando si vuole capire un bilancio, occorre imparare un po’ di cosette di contabilità, finanza etc. perché quando si parla di strategie di impresa, si fa tranquillamente a meno delle conoscenze di strategia d’impresa?

martedì 27 marzo 2012

Il rifiuto della conoscenza strategica


di
Francesco Zanotti

Post semplicissimo. Oggi tutti sono concordi che è necessario crescere. Ma per “crescere” occorre nuova conoscenza. Ma nessuno la cerca, tutti sembrano rifiutarla.
Più in dettaglio: la crescita sarà solo figlia di una rivoluzione profonda nel nostro sistema economico.  Tanto che il nome stesso “crescita” mi pare del tutto inadeguato. Parlerei di sviluppo etico ed estetico.
Ora questo sviluppo sarà possibile solo se le imprese aumentano la loro capacità progettuale e le banche acquistano la capacità di valutare i “frutti” di questa nuova e più intensa progettualità.
Ma per aumentare capacità progettuale e di valutazione sono necessarie nuove conoscenze e metodologie di un’area di una “disciplina” che si chiama strategia d’impresa …
Nessuno, però, è interessato a imparare le nuove conoscenze e metodologie che la cultura strategica internazionale mette a disposizione.
Detto diversamente: servono nuovi strumenti progettuali e nuovi occhiali valutativi, ma nessuno vuole usarli.
Allora continueremo quel gioco al massacro di ricercare sempre e solo una efficienza del tutto teorica che ha come obiettivo ridurre continuamente costi e persone … Quale è l’ideale? Una impresa fantasma che produce senza persone cose inutili, ma le fa pagare pochissimo?



giovedì 22 marzo 2012

L’articolo 18: Giovanni, Francesco, Alì ..


Parlano dell’articolo 18 e io guardo in faccia a quello che chiamano “padrone”. Ma per me si chiama Giovanni ed abbiamo fatto le scuole elementari insieme, abbiamo conosciuto lo sbocciare dell’adolescenza, la follia della giovinezza, la forza della maturità … ed ora guardiamo i nostri capelli bianchi. Sì, lui è più ricco di me, ma è sempre Giovanni. E io per lui sono Francesco. Io ho confidato in lui e lui ha garantito la serenità di una vita, ma non perché c’era l’articolo 18. Perché io e mia moglie siamo suoi amici. Perchè sa che può confidare in me. Perchè quando lasciava l’azienda sapeva che io la curavo come se fosse la mia. E insieme a me anche Carlo, Giorgio, Walter (che oggi purtroppo non c’è più).
Ora, ci sono tanti Alì insieme ai Giovanni, ai Francesco, e a tutti gli altri. Ma dopo un primo disorientamento abbiamo capito che anche tutti gli Alì avevano bisogno di ... pane, amore e fantasia.
Ora ci guadiamo tutti i capelli bianchi e riviviamo la storia dell’esserci guardati negli occhi per una vita. Anche gli Alì hanno cominciato a guardarci negli occhi …
E tutti insieme guardiamo con sgomento al futuro. Ascoltiamo le battaglie intorno all’articolo 18 e non capiamo. “Giovanni, sappiamo che prima di licenziarci ti toglieresti il pane di bocca, ma come farai ora che quello che produciamo non interessa più a nessuno? Tu non hai più soldi oramai. Eri forse diverso, ma ora sei come noi. Le banche non ti danno più credito, a noi non l’hanno mai dato … cosa faremo?”
La soluzione la conosciamo. Forse ci costerà fatica, ma dobbiamo tornare a quel muretto dove la sera guardavamo i campi come se fossero il verde del nostro futuro. Dobbiamo tornare a quel muretto e ricominciare a sognare. Sarà la somma dei sogni di tutti i Giovanni, i Franceschi e gli Alì di queste nostre contrade che costruirà un nuovo mondo.
Sperando che tutti coloro che oggi dicono di difenderci, che ci chiedono di rinunciare al nostro “particulare” per un interesse generale che a noi sembra solo il loro “particolare” travestito, ci lascino il respiro necessario per avere sogni. Se non lo faranno ci ribelleremo perché non possiamo rinunciare al diritto di sederci su di un muretto che guarda campi di futuro … Anche se per noi è oramai tramonto …

lunedì 19 marzo 2012

Progettare una nuova società: cosa ci insegna la nostra storia recente


di
Cesare Sacerdoti
Al convegno Cambia Italia di Confindustria, il direttore del Centro Studi, Paolazzi, aveva esordito da trascinatore, mostrando le indimenticate immagini di Robin Williams in piedi sulla scrivania che incita “osate cambiare, cercate nuove strade”. “Crescita come cambiamento” diceva Paolazzi, “bisogna cambiare punti di vista”… Ma poi, chi deve cambiare è lo Stato; l’unico motore del cambiamento sono le riforme (“con le riforme la crescita triplica”). Non un solo stimolo a cambiamenti di noi imprenditori, che, sembrerebbe, dobbiamo solo attendere le riforme, magari ricercando l’aiuto delle banche… Non un progetto da parte della classe imprenditoriale per prendersi sulle spalle il Paese e portarlo fuori dalla crisi (che Paolazzi stesso definisce, per l’Italia, peggiore di quella del ‘29). Non una visione a medio-lungo termine… Forse che non sia compito di Confindustria e dei suoi associati?

giovedì 15 marzo 2012

Nuovo credito per nuove idee: il Rating Progettuale dei business plan

di
Francesco Zanotti


Le imprese, soprattutto le PMI, stanno chiedendo più credito alle banche. Ma cosa è necessario che le banche chiedano e le imprese diano in cambio?
La risposta è semplice: innovazione profonda.
Tanto più l’innovazione perseguita dalle imprese è profonda, tanto più merita credito. Ed anche capitale.
Proviamo a fare un “rating” dell’innovazione.
Al livello più basso stanno le ristrutturazioni organizzative alla ricerca di riduzioni di costo. Sono palliativi ai quali i concorrenti risponderanno con riduzioni ancora più decise fino a che tutti si incarteranno nell’essere costretti a vendere sotto costo. Non si può chiedere alle banche di seguire le imprese in questa via. Le banche non devono spingere le imprese lungo questa via.
Appena un po’ più su vi è l’aumento degli sforzi commerciali (in questa categoria ci metto anche quelli supportati dal web … fosse anche  1000.0). Se non si cambia quello che si vende, però, si può urlare quanto si vuole, ma se non interessa, non interessa. Certo si può provare ad urlare più forte dei concorrenti, ma si innesca una competizione dell’urlo che ha effetti molto simili alla competizione di prezzo. Le banche e le imprese come non si devono imbarcare in una competizione di prezzo, così non si devono imbarcare nella competizione dell’urlo.
Si può allora provare con l’innovazione tecnologica. Ma occorre distinguere. Se si tratta di una innovazione nell’efficacia e nell’efficienza dei processi produttivi, allora abbiamo solo trovato una nuova area nella quale innescare una diversa (nell’ambito, ma non nei risultati) escalation competitiva.
L’innovazione di prodotto può portare ad un aumento delle prestazioni del prodotto (o del servizio, ovviamente). Ma occorre accertarsi che sia solo una innovazione autoriferita. Ad esempio, per seguire qualche moda tecnologica o qualche sfizio modaiolo effimerissimo.
Cercando innovazione di prodotto si trova la strada per costruire una innovazione veramente rilevante. Che merita sia credito che capitale. Sto parlando della innovazione di significato. Una innovazione che cambia la vita delle persone, della società. Faccio un solo esempio: la 500.

martedì 13 marzo 2012

Competitività, ovvero l'incapacità di immaginare un futuro diverso

L'ultimo numero di Harvard Business Review è focalizzato sulla "malattia di inizio millennio": la competitività.
A onor del vero il titolo dell'edizione originale è molto più fecondo, Reinventing America, laddove quello dell'edizione italiana "scade" subito sul dunque, Obiettivo Competitività. Ma la sostanza poi delle due edizioni, anche considerando le rubriche locali di quella italiana, non cambia.
Ma cosa è la competitività?
Porter, in un articolo del numero, prova a darne una definizione, ma è "ricorsiva", fa riferimento a se stessa: un luogo (Nell'articolo sono gli Stati Uniti) "è competitivo nella misura in cui le aziende che vi operano sono capaci di competere con successo nell'economia globale e allo stesso tempo sostengono l'elevato e crescente standard di vita per il cittadino medio".
Dunque competere significa continuare ostinatamente a fare le stesse cose di sempre, in un quadro immobile di riferimento, cercandole di fare, visto che quelle stesse cose sono visibili a tutti, meglio degli altri. Innovazioni, regole, investimenti, risorse devono essere indirizzate a questo unico scopo, come danno ampie indicazioni gli esperti chiamati dal direttore della edizione italiana nell'editoriale.
Cosa si potrebbe fare altrimenti di diverso?

giovedì 8 marzo 2012

S&P: serve a qualcosa o serve qualcuno?


Avevo già scritto il 7 Febbraio della emissione obbligazionaria di Enel.
Debiti per rinnovare debiti (parole dell'A.D. Conti nel suo video di presentazione ai risparmiatori), nessun piano industriale, o meglio quello che c'è è reso obsoleto dall'annuncio del nuovo che, guarda caso, sarà reso disponibile dopo la chiusura dell'operazione (sempre informazioni di Conti rilasciate nel su citato video).
Adesso si aggiunge un altro elemento di riflessione sulla vicenda. Questa volta da parte di un "titolato" terzo: Standard  and Poor's.
Sul Sole24ore dell' 8 Marzo viene annunciata l'intenzione della prestigiosa agenzia di declassare il rating dell'azienda da A- alla classe sottostante. 
E' una informazione importante, lo scopo di queste agenzie è proprio quello di fornire agli investitori, che vogliono prendere decisioni d'investimento con maggiori informazioni, dati di "market intelligence" nella forma di rating di credito, indici, ricerche di investimento, valutazioni di rischio e soluzioni. (dal sito S&P ).
La domanda è: perchè questa informazione salta fuori proprio adesso che si è chiusa l'offerta obbligazionaria?

lunedì 5 marzo 2012

Le banche, il servizio pubblico, il solipsismo cognitivo


di
Cesare Sacerdoti

Io credo che il problema di fondo sia il solipsismo “cognitivo” dei banchieri. 
Un problema immediatamente risolubile …

Sul Corriere di ieri è pubblicata l’intervista a Mussari, Presidente di ABI, che sostiene che “le banche non sono un servizio pubblico” e che sia necessario “un dibattito pubblico che chiarisca cosa sono e cosa debbono fare le banche” (anche se poi sembra che il dibattito debba essere solo interno “ È stato convocato consiglio e comitato esecutivo Abi e collegialmente valuteremo il da farsi. Il mio auspicio è che si apra un dibattito sulla natura delle banche italiane, che venga fuori chiaramente quale è la nostra natura e quale deve essere il nostro ruolo”).
L’intervento di Mussari si inserisce in quel dibattito in corso da alcuni mesi, che vede le banche sul banco degli imputati perché non aiutano a sufficienza le imprese (in particolare le PMI): effettivamente nei  nostri giorni si tende a cercare il capro espiatorio di ogni situazione, così come sono stati i giovani  “bamboccioni”, i dipendenti pubblici “fannulloni”, eccetera.
In un momento storico in cui i valori tradizionali sono quanto meno appannati, e in cui non ci sono più i nemici storici, a fare da collante per l’opinione pubblica sono classi di persone o imprese che si ritiene  non operino a sufficienza per il bene pubblico. Al di là dei moralismi e degli allarmi che queste nostre attitudini possono provocare, ritengo che questa crisi possa essere superata solo se tutti, ma proprio tutti, cerchiamo di andare al di là degli interessi strettamente personali o di categoria. E quindi, ben venga che il sistema bancario si apra ad un pubblico dibattito sul loro ruolo nella società.

Ma dovrebbero uscire dal loro solipsismo cognitivo.

venerdì 2 marzo 2012

Bombassei o Squinzi e il ruolo di Confindustria


di
Cesare Sacerdoti

In questi giorni mi sento spesso chiedere da colleghi di varie istituzioni, chi sceglierei tra Bombassei e Squinzi alla guida di Confindustria.  Come spesso capita, infatti, il momento elettorale si limita alla scelta di campo tra persone e poco ci si chiede sui programmi e sulla vision che queste persone hanno del ruolo dell’Istituzione che andranno a guidare. A volte sembra che siamo rimasti alla diatriba da bar tra Bartali e Coppi o tra Motta e Gimondi.
Provo allora ad andare a leggere le posizioni dei due contendenti e leggo, navigando in Internet.

1. Semplificazione normativo-burocratica per snellire gli investimenti
2. Politica fiscale non oppressiva in linea con l’Europa
3. Politica energetica per ridurre il divario con l’Unione europea
4. Più credito alle Pmi
5. Tempi più rapidi nei pagamenti dal parte della P.a.
6. Più investimenti in infrastrutture (anche immateriali come scuola e formazione).

“Il 2012 sarà "un anno di recessione" e "oggi è urgente uscire da questa situazione e riguadagnare prospettive di crescita". Per Bombassei le "leve" su cui agire sono quattro: "il credito, gli investimenti infrastrutturali, l'innovazione e la ricerca, l'apertura di nuovi mercati". 
Sul fronte del credito, il patron della Brembo ritiene "urgente" avviare subito un tavolo con l'Abi per "chiarire tutti i punti di contrasto", scongiurando la stretta creditizia. Per le infrastrutture, poi, occorre puntare sugli investimenti e "creare un quadro normativo - scrive Bombassei - che favorisca una rapida realizzazione delle opere". Quanto all'innovazione e alla ricerca, bisogna "dare priorità allo sviluppo dell'economia digitale" e, poi, "tutte le imprese devono essere raggiunte da una rete a larga banda". Infine il capitolo internazionalizzazione: "La Confindustria dovrà favorire l'apertura dei nuovi mercati per le imprese associate"”.

Entrambe lo posizioni non mi soddisfano completamente e quindi vado a leggere lo statuto di Confindustria