"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

lunedì 19 marzo 2012

Progettare una nuova società: cosa ci insegna la nostra storia recente


di
Cesare Sacerdoti
Al convegno Cambia Italia di Confindustria, il direttore del Centro Studi, Paolazzi, aveva esordito da trascinatore, mostrando le indimenticate immagini di Robin Williams in piedi sulla scrivania che incita “osate cambiare, cercate nuove strade”. “Crescita come cambiamento” diceva Paolazzi, “bisogna cambiare punti di vista”… Ma poi, chi deve cambiare è lo Stato; l’unico motore del cambiamento sono le riforme (“con le riforme la crescita triplica”). Non un solo stimolo a cambiamenti di noi imprenditori, che, sembrerebbe, dobbiamo solo attendere le riforme, magari ricercando l’aiuto delle banche… Non un progetto da parte della classe imprenditoriale per prendersi sulle spalle il Paese e portarlo fuori dalla crisi (che Paolazzi stesso definisce, per l’Italia, peggiore di quella del ‘29). Non una visione a medio-lungo termine… Forse che non sia compito di Confindustria e dei suoi associati?


Eppure è già accaduto:  già prima della caduta di Mussolini il 25 luglio del '43. In quella delicata fase storica del nostro Paese, anche a seguito del richiamo del Papa (nel messaggio radiofonico in occasione del Natale ‘42) a una “crociata sociale”, veniva elaborato  da esponenti delle forze cattoliche (imprenditori, manager di stato, politici, e alcune di quelle persone che guidarono l’Italia nella seconda metà del 900) il cosiddetto codice di  Camaldoli che costituì la base, con i successivi approfondimenti  in casa di Sergio Paronetto,  di una  “profonda riflessione sul sistema capitalistico e sulla società nel suo complesso da riformarsi in profondità” (Pasquale Saraceno Commis d’état di Giuliana Arena). Analogamente all’Università Cattolica di Milano padre Gemelli chiamava tutti i docenti “di fronte al compito della ricostruzione sociale” alla “determinazione di alcuni principi politici, economici e sociali”. E questi principi furono poi ripresi e integrati  anche nei  lavori della Commissione Economica per la Costituente (CEC).
In un momento in cui l’Italia doveva fronteggiare l’emergenza di una ricostruzione “fisica” (case, fabbriche, trasporti, ecc) questi (e altri) gruppi di persone si  ponevano l’obiettivo di costruire una nuova società, ponendo le basi per le successive scelte politiche e interrogandosi sui temi che sono stati oggetto di dibattito per tutta la seconda metà del 900.
Si dibatteva per esempio sul ruolo dello Stato (“Fine dello Stato è la promozione del bene comune, cioè a cui possono partecipare tutti i cittadini in rispondenza alle loro attitudini e condizioni; bene che i singoli e le famiglie non sono in grado di attuare, giacché lo Stato non deve sostituirsi ai singoli e alle famiglie” da Cod. Camaldoli); o sul ruolo dei lavoratori in azienda con il dibattito tra coloro che li volevano partecipi alla gestione e agli utili dell’azienda e coloro che puntavano alla istruzione del lavoratore e dei suoi figli come strumento per raggiungere “vere posizioni chiave della moderna organizzazione produttiva” (P.Saraceno).
Si discuteva di liberismo economico (considerato “sinonimo di democrazia, mentre l’intervento dello Stato nell’economia richiamava il fascismo” G.Arena)  e di funzione pianificatoria dello Stato al fine di stabilire obiettivi specifici verso i quali orientare l’attività economica pubblica.
Si affrontava con forza il problema del Mezzogiorno non mediante “il trapianto di unità isolate o una vegetazione forzata di iniziative”, ma favorendo “un complesso di attività trasformatrici caratterizzate da vitalità naturale e vigore creativo” (R.Morandi in Democrazie diretta)
Il tutto attraverso il coinvolgimento di persone che giudicavano il servizio allo Stato come “adempimento massimo del proprio essere cittadini” (G.Arena).

Confindustria partecipava attivamente al dibattito di coloro che si impegnavano  a immaginare una nuova società: con un “ruolo di supplenza che la tecnostruttura confindustriale garantiva, date le inefficienze della burocrazia statale. Basti ricordare il ruolo giocato dagli uffici confederali, a partire dall’ottobre 1944, quando le autorità italiane furono chiamate a collaborare alla redazione di piani di rifornimento e alla distribuzione degli  aiuti statunitensi, nella redazione del Piano di primo aiuto e del Piano di transizione,…. In questo contesto, importante fu l’intervento dei tecnici esperti confederali, attuato attraverso un organismo – la Commissione degli esperti  industriali – creato nel giugno 1944 …, Sulla base del lavoro della Cei fu poi redatto il Piano di primo aiuto e non a caso il presidente della Cei ..venne chiamato a dirigere la Deltec a Washington” (Ranieri per Scuola Superiore PA) in attuazione del piano Marshall.
La persona che diresse la CEI e successivamente la Deltec, era mio nonno, l’ing. Cesare Sacerdoti.
Oggi, crediamo, siamo davanti a una svolta meno drammatica ma altrettanto urgente …
Allora raccolgo il testimone di mio nonno per proporre che Confindustria riprenda quel ruolo attivo nello sviluppo della società, stimolando negli imprenditori la voglia di ri-costruzione, di generazione di nuove imprese, di nuovi e visionari progetti industriali, attivando nei giovani quella pulsione all’imprenditorialità che ha generato il boom economico degli anni '60, creando le basi per un rinnovato patto di alleanza con i lavoratori che divengano partecipi alla progettazione della strategia e dell’organizzazione dell’impresa.

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