"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

venerdì 27 aprile 2012

Professionisti o conoscenze?


di
Francesco Zanotti

Leggo sul Sole un articolo di Marcella Accorinti che descrive come le banche abbiano bisogno di nuove professionalità. Considerando l’area di business del Corporate banking, nuove professionalità capaci ad esempio di misurare il rischio d’imprese, di comprendere specifici settori industriali, di suggerire strategia di internazionalizzazione o comprendere i processi di ristrutturazione strategica necessari per dare senso alle operazioni di ristrutturazione del debito.
Io credo che, invece di nuovi professionisti, servano nuove conoscenze.  Ma che differenza c’è tra le due alternative? Scegliendo professionisti si scelgono conoscenze in atto. Anzi: non è meglio scegliere professionisti dotati di conoscenze pratiche che di conoscenze teoriche?
Ecco io penso di no. E le ragioni sono le seguenti.
I professionisti oggi disponibili sono o manager di lungo corso o finanzieri.


I manager di lungo corso hanno esperienza di settori specifici e non di altri. Ed hanno esperienza del passato di questi settori, ma non sanno nulla del loro futuro. Anche perché il futuro dei settori industriali non è da indagare, ma è da creare.
Si rischia di guidare le imprese verso strategie omologanti, invece che verso strategie differenzianti. Tipico è proprio il vaso dell’internazionalizzazione produttiva: esso è diventato un mito omologante che ha aumentato la drammaticità della competizione annacquando i fattori realmente differenzianti.
In parole più semplici: tutti a produrre in paesi che permettono costi produttivi più bassi, scatenando una battaglia di prezzo che non ha mai vincitori ed eliminando quel differenziale di “competenza produttiva” che la nostra tradizione aveva da sempre garantito e sviluppato. Risultato: costosi (anche in termini di credibilità strategica) ritorni a casa dopo costose fughe all’estero.
I finanzieri hanno competenze che riguardano l’acquisizione e la gestione delle risorse finanziarie, ma non di processi di sviluppo strategico. Così oggi rischiano di intruppare le imprese che devono ristrutturare il debito in strategie di riduzione (costi, persone etc.) che non riescono certo a costruire sviluppo, ma innescano percorsi dai risultati devastanti di riduzione continua.
Il problema è che entrambe le figure non dispongono delle conoscenze necessarie a valutare e stimolare processi di sviluppo imprenditoriale. Mi riferisco alle conoscenze e ai modelli di strategia d’impresa: non ne dispongono al punto di non conoscere neppure l’esistenza di un’area di conoscenza che si chiama “strategia d’impresa”.
Se questa è la situazione, allora è necessario formare una nuova generazione di professionisti in strategia d’impresa che abbiano a disposizione le conoscenze e i modelli più avanzati di questa disciplina. Solo creando questa nuova generazione di professionisti sarà possibile costruire una feconda alleanza di sviluppo tra banche ed imprese.


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