"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

mercoledì 27 giugno 2012

Poesia e strategia: lettera aperta ad un finanziere


di
Francesco Zanotti

Vuoi avere una analisi puntuale della situazione attuale?
Vuoi riuscire a prevedere il futuro dell’impresa che state per finanziare o comprare?
Vuoi aiutare chi hai comprato o finanziato a definire le strategie per costruire il futuro?

Allora segui l’ispirazione del poeta. Si tratta di un poeta spagnolo, Antonio Machado.
Sono versi di una sua poesia …

Viandante son le tue orme
la via, e nulla più;
viandante, non c’è via,
la via si fa con l’andare.
E con lui dirai … Imprenditore, non esistono i mercati. Esiste la società degli uomini. Un mare di potenzialità di divenire che appaiono e scompaiono. Devi prendere qualcuna di queste potenzialità e, invece di lasciarla al suo destino effimero, consolidarla in una esigenza e in un mercato che la serve.
Imprenditore, non esistono i mercati, te li devi fare! Ecco la vera strategia per il futuro: immaginate una nuova società, progettate quello che servirà in questa nuova società e che voi potreste fare. E poi fatelo, stando ben attenti a rendere evidente che le nuove “cose” che fate abbiano il sapore di questa nuova società.
Ma come fare a sapere se una “cosa” è realmente nuova? Una condizione necessaria (anche se non sufficiente) è che non abbia concorrenti.

Con l’andare si fa la via
e nel voltare indietro la vista
si vede il sentiero che mai
si tornerà a calcare.
Ecco come sarà certamente il futuro: completamente diverso dal passato. Finanziere, se guardi al passato dell’impresa vedi quello che non potrà più essere. Il sentiero che si è percorso e che mai si tornerà a percorrere. La redditività, la cassa che si sono generate e che mai più si genereranno se si continuano a fare le cose di prima. E adesso torna appassionatamente ad analizzare i bilanci, così vedrai chiaramente il sentiero che mai si tornerà a calcare.

Viandante, non c’è via
ma scie nel mare.
Vuoi capire se una impresa avrà futuro o meno? Allora guarda a quanto intensamente si guarda indietro. Tanto più lo fa tanto meno avrà futuro. E come si vede se una impresa guarda indietro? Se parla di competizione e di competitività. E non racconta più sogni.

Una postilla conclusiva: ma se guidi una portaerei allora le scie nel mare sono anche un po’ futuro: ci mettete un po’ a fermare una portaerei o a farle cambiare rotta. Allora l’impresa ha bisogno di metodologie per far girare in fretta le portaerei. Per cambiare le organizzazioni in fretta.
Quindi, se sei di fronte ad un business plan, cerca di capire se descrive cambiamenti importanti. Ma poi verifica se viene proposta una metodologia per implementare in fretta questi cambiamenti.
Altrimenti avrai, forse, comprato o finanziato una portaerei che è stata una regina dei mari. Ma che ora si sta schiantando contro un’isola di competizione perché non riesce a virare in tempo utile per evitarla.

lunedì 25 giugno 2012

Alla radice del problema


di
Francesco Zanotti

Leggo un articolo di Giuliano Amato sul Sole 24 Ore di ieri dove sostiene una tesi che non si può non condividere. Dice: è certamente un bene che l’Europa si muova verso l’unione bancaria, fiscale e politica. Ma ci vorrà tempo e dobbiamo temere un incedere colmo di incertezze perché le opinioni, le scelte, le strategie dei diversi Paesi sono tutt’altro che univoche.
Allora, conclude, dobbiamo costruire una strada di sviluppo autonoma. E la proposta è: abbattiamo il debito pubblico verso l’estero facendolo comprare agli italiani.

Ora l’analisi è così evidente da sembrare banale. Ma la proposta è perdente.
Proviamo ad andare al fondo del problema: se avessimo in Italia 50 imprese che hanno la capacità di produrre cassa della Apple non avremmo problemi. Abbatteremmo il debito pubblico (tutto), potremmo avere risorse per la solidarietà sociale, potremmo aumentare gli stipendi.

Invece cosa abbiamo? Un sistema di imprese che è distribuito in un continuum, ad un capo del quale vi sono, certamente, imprese che in piccolo sanno produrre cassa come la Apple. Ma, all’altro capo, vi sono terzisti a bassa tecnologia e monoclienti che oggi stanno assorbendo cassa e non si vede come possano un domani, che dovrebbe essere molto prossimo, per non decretarne la scomparsa, tornare a produrla.
In mezzo vi è, appunto, la terra di mezzo di imprese che stanno come sospese. Rischiamo di scivolare verso l’estremo negativo del continuum e non si sa bene come aiutarle nel brevissimo. Esiste la carta della sopravvivenza finanziaria (pagano le banche), ma oggi fornire risorse per la mera sopravvivenza finanziaria è come fornire droga: si genera un momentaneo benessere che può essere mantenuto solo con dosi sempre più alte.

Cosa fa la differenza tra le imprese che stanno al capo virtuoso del continuum rispetto a quelle che stanno al capo opposto?
L’opinione corrente è che quelle virtuose sono più competitive. Ma si tratta di una opinione troppo generica, fino a diventare retorica.
Infatti, cosa significa essere più competitive?

domenica 17 giugno 2012

Spazi di Calabi-Yau, Elinor Ostrom e leggi dell’economia


di
Francesco Zanotti


Un matematico italiano, Eugenio Calabi, nel 1954 in un Congresso ad Amsterdam, presenta quelle che verranno chiamate varietà (o spazi) di Calabi-Yau.
Sono una classe di miriadi di spazi possibili che vengono utilizzati dai fisici (all’interno della teoria delle stringhe) per studiare quali universi siano possibili. Sembra che gli universi possibili siano 10 elevato a 500. Un "uno" seguito da 500 zeri …

Completo la premessa precedente con una citazione: “Non siamo abituati al fatto che l’esistenza di cosmologi sia un fattore significativo nella valutazione delle teorie cosmologiche” (Jonh D. Barrow, Il libro degli universi, pag. 241). Anche in cosmologia (la scienza che studia la cosa più grande che ci sia: l’Universo, riconosce che l’osservatore è chiave …

Arriviamo alla economia. Essa, invece, è fatta di leggi banali piovute dall’alto. Sono, oltre che leggi banali, leggi trappola. Sono le leggi che costruiscono la crisi.
Esistono altre leggi possibili. Rimanendo al suo interno, lo dimostra la proposta di Elinor Ostrom, Premio Nobel per l’economia nel 2009 per i suoi studi sui Commons, commemorata oggi nell’inserto culturale del Sole 24 Ore da Gloria Origgi.

Se usciamo dall’economia e guardiamo ai mille e mille mondi possibili che Eugenio Calabi ha costruito, se accettiamo di diventare veramente protagonisti come anche i cosmologi dichiarano inevitabile, allora davvero possiamo costruire tutte le economie che vogliamo. Perché non si comincia?

sabato 16 giugno 2012

Imprese in difficoltà e miracoli dell’Altissimo!


di
Francesco Zanotti

Leggo sul Sole 24 Ore di oggi la “paginata” annunciata da un titolo in prima pagina “Un pacchetto di aiuti per le imprese in difficoltà”. E vado speranzoso a leggere a pag. 17 …
Si parla certamente di imprese in difficoltà. Ma gli aiuti annunciati sono sostanzialmente giuridici: cambiamento della legislazione fallimentare …
Per carità, utile, ma, sembra sottinteso, solo in presenza di un intervento salvifico dell’ “Altissimo, onnipotente, buon Signore” del Cantico delle Creature di Francesco …
Infatti, non si dice nulla su come rimuovere le cause delle crisi d’impresa, come se la loro rimozione fosse solo nella disponibilità dell’Altissimo.
La cause delle crisi d’impresa non derivano né dalla crisi finanziaria, né da una competizione troppo feroce. Esse derivano da una identità strategica (il sistema d’offerta, cioè le cose che l’impresa vende e il suo posizionamento strategico) che oramai ha perso di senso. Tanto è vero che le imprese che non sono in crisi producono e vendono cose con un alto differenziale, ad esempio, di qualità. 

Queste cause si rimuovono solo attivando una nuova progettualità strategica. Ed una nuova progettualità strategica diventa feconda se si usano le più avanzate conoscenze di strategia d’impresa.
Una intensa progettualità strategica dovrebbe essere il fondamento di ogni intervento di “salvamento”. Il risultato della progettualità strategica (il Business Plan) dovrebbe essere il focus valutativo di creditori, finanziatori e giudici. Il decreto del Governo parla di piani di ristrutturazione, ma si tratta solo di una “penalizzazione” di comportamenti infedeli o fraudolenti dei professionisti che devono curare questi piani.
Cosa manca? Non leggi, ma conoscenza e strumenti. Manca la diffusione presso imprese, istituzioni finanziarie e giudici di competenze avanzate di strategia d’impresa. Manca la disponibilità di un Rating dei Business Plan di tipo “progettuale”. Che permetta sia di valutare i business plan, che di dare indicazioni anche su come migliorarne la qualità .. progettuale appunto.
Conoscenze e strumenti sono nella disponibilità (immediata) degli uomini.

martedì 12 giugno 2012

Prima si aspettava Monti, ora si aspetta la Merkel … Stiamo aspettando Godot!


di
Francesco Zanotti

Riporto da Wikipedia …

L'opera (Aspettando Godot di Samuel Beckett) è divisa in due atti; in essi non c'è sviluppo nel tempo, poiché non sembra esistere possibilità di cambiamento. La trama è ridotta all'essenziale, è solo un'evoluzione di micro-eventi. Apparentemente sembra tutto fermo, ma a guardare bene "tutto è in movimento". Non c'è l'ambiente circostante, se non una strada desolata con un salice piangente spoglio, che nel secondo atto mostrerà alcune foglie. Il tempo sembra "immobile". Eppure scorre. I gesti che fanno i protagonisti sono essenziali, ripetitivi. Vi sono molte pause e silenzi. A volte si ride, a volte si riflette in Aspettando Godot, come se si fosse a "teatro o al circo" (dicono i personaggi).

Ragazzi/e, amici/che, fratelli/sorelle, non usciremo dai guai aspettando interventi dall’alto. Anche perché è un alto che si allontana sempre di più: prima Monti in Italia, poi la Merckel in Europa. E non aspettiamo davvero un Godot che, contrariamente a quanto accade nell’opera di Beckett sembra apparire, ma poi non è lui …

Scrive il Direttore del Sole 24 Ore che sono necessarie tre cose: garanzia unica per i debiti pubblici, accesso diretto al fondo salva stati dal parte delle banche, unificazione dei debiti pubblici europei, cosa che comporta (egli sostiene) cambiare la Costituzione di ogni Paese per realizzare una unione politica. Vi sembra che queste cose possano accadere in tempi utili per non fare fallire imprese e famiglie? E se falliscono imprese e famiglie rischiamo di fare una unione di falliti. A meno che non crediamo ancora un bel “Too big to fail” a livello di aggregati istituzionali.

Ragazzi/e, amici/che, fratelli/sorelle, tocca a noi.
Il percorso è anche semplice, perché dipende solo dalla conoscenza.
Dobbiamo avviare una riprogettazione del nostro sistema imprenditoriale perché le nostre imprese tornino a produrre cassa. E tanta. Solo così non falliranno famiglie ed imprese, solo così si annullerà la disoccupazione. Per riprogettarlo non basta la buona volontà: occorre fornire agli imprenditori le conoscenze per farlo. Queste conoscenze esistono e sono le conoscenze di strategia d’impresa. Esse permettono di individuare fino a  che punto occorre rivoluzionare e forniscono una guida per farlo.
Punto.
Complicato? Purtroppo sì! Perché dobbiamo ammettere che non arriverà nessun Godot a salvarci. E’ inutile che ci illudiamo che esiste un uomo (o donna della Provvidenza) che ci salverà. Se vediamo qualcuno all’orizzonte che non siamo noi stessi, non illudiamoci, non è Godot. L’unico Godot che possiamo attendere siamo noi stessi
Vogliamo cominciare da noi?


lunedì 11 giugno 2012

Santa Margherita 2012 … Si può dire di più …



di
Francesco Zanotti

I giornali riportano due auspici nati dentro, intorno, all’Assemblea dei Giovani di Confindustria: la necessità di un Progetto di Futuro per il nostro Sistema Paese e la necessità di una rivoluzione culturale.

Auspici alti e nobili. Ma vorrei provare ad aggiungere una qualche sostanza di più.

Un Progetto di Futuro (che faccia, immagino, da habitat per lo sviluppo di un nuovo sistema industriale) non può essere solo fatto di Riforme Istituzionali.
Dovrebbe contenere, innanzitutto, la visione specifica, italiana (dal punto di vista delle specificità del nostro Popolo e della sua Storia), della situazione del nostro Pianeta e della società umana che lo abita, nelle sue dimensioni tecnologica, economica, sociale, politica, istituzionale e culturale.
Dovrebbe, poi, contenere la specifica mission che l’Italia si vuol dare per costruire il futuro del Pianeta e della comunità umana. Questa mission dovrebbe essere specificata nelle dimensioni economica (quale industria, quali sistemi distributivi e di trasporto distribuzione, quale finanza, quali servizi etc.), sociale (quale sistema di welfare, ad esempio), politico (quale ruolo vuole avare l’Italia nel processo di “emergenza” di un nuovo necessario ordine mondiale), istituzionale (come deve essere un sistema di istituzioni per concretizzare questo nuovo ordine mondiale), culturale (a quale visione del mondo ci ispiriamo, quale contributo vogliamo dare alla costruzione di una nuova visione del mondo). E, poi, dovrebbe contenere tutte le cose da fare per realizzare la mission individuata all’interno della visione della società umana e della Natura.

Un rivoluzione culturale non può essere solo la comprensione dei trend di sviluppo delle attuali tecnologie all’interno dell’attuale visione della scienza. Ma può essere solo (come declinazione del Progetto di Futuro sopra citato) la costruzione di una nuova visione della conoscenza, della scienza, della tecnologia e della ricerca. Oggi conoscenza, scienza, tecnologia e ricerca sono parole alla ricerca di significati nuovi. Una rivoluzione culturale può essere solo una proposta per questi nuovi significati.
A valle, nel piccolo, una rivoluzione culturale deve essere anche la costruzione di una nuova cultura d’impresa che sappia leggere la complessità dell’impresa stessa, ne “veda” i processi evolutivi e ne individui le modalità di Governo. Ancora più nello specifico, deve essere la proposta di una nuova cultura strategica che guidi l’impresa a immaginare progetti imprenditoriali e non competitivi.

giovedì 7 giugno 2012

Io, Giovanni, un po’ scettico. Sto rimuginando …


di
Francesco Zanotti

Sono arrivato presto in azienda. Il mio ufficio è all’interno del capannone, sopraelevato con le pareti di vetro. Riesco a vedere contemporaneamente il Sole 24 Ore sul mio tavolo e le macchine, le materie prime, i prodotti che stanno nel capannone. E’ presto non c’è ancora la mia gente.
Guardo contemporaneamente e negli articoli “importanti” del  Sole 24 Ore non vedo quasi nulla che riguardi la mia impresa. Io sono felicissimo che si salvino le banche, che si faccia un fondo salva Stati, che il nostro Stato funzioni meglio … Si che lo Stato funzioni meglio mi interessa, se funziona male qualche guaio me lo crea …
Ma il mio problema va al di là di tutto questo. Continuerà a rimanere anche se lo Stato funzionerà benissimo e ci saranno tutte le altre bellissime cose che tanti espertoni auspicano. Tra poco arriverà la mia gente, guarderanno su verso di me e si attenderanno delle proposte per il futuro. Certo, prima di tutto la certezza che anche questo mese pagherò lo stipendio. E io dovrò andare in banca a battere cassa, perché oggi non aspetto pagamenti. Meglio: li dovrei ricevere, ma so che chi mi deve pagare non ce la farà a farlo. Dovrò andare in banca e, purtroppo, cominciare col dire che qualche fattura che mi hanno scontato verrà pagata in ritardo … E se dovessi essere proprio trasparente dovrei dire che non so se verrà pagata. Porterò qualche altra fattura che contiene sconti e allungamenti dei tempi di pagamento. Ma forse la banca non sarà troppo fiscale … e mi darà soldi per pagare gli stipendi. Forse, però, i miei fornitori non riuscirò a pagarli … Ed altri Giovanni dovranno andare dalla sua banca per colpa mia …

lunedì 4 giugno 2012

Il Caso Generali


di
Francesco Zanotti

Da quando mi occupo di finanza (oramai dalla metà degli anni ’80) il Caso Generali è sempre stato al centro dell’attenzione. E questa attenzione si è sviluppata con una logica senza tempo: sempre gli stessi discorsi. Sempre la stessa attenzione al potere. E’ che fino alla fine del secolo chi cercava di mantenere un equilibrio di potere nella finanza e nell’industria si chiamava Enrico Cuccia. Oggi ci sono gli eredi, che sono il parallelo degli eredi dei politici della prima repubblica e che giocano ancora lo stesso gioco. Il giuoco che vedevano fare dai loro capi (finanziari o politici) e che ora cercano di giocare in prima persona non avendone la statura e non essendo più quel tempo. Ed allora oggi tutto diventa tragicomico.

Non abbiamo alcun equilibrio da mantenere, abbiamo tutto da ricostruire. Non servono alchimie di potere, ma slanci etici e progettuali …

Invito il lettore a fare una prova. Greco avrà sostituito Perissinotto per gestire ovviamente in modo diverso la Compagnia. Bene andate a vedere se il Progetto d’Impresa (che si chiamerà: Piano industriale) delle Generali cambia radicalmente. Cercatelo ed andate a leggerlo. E’ probabile che troverete qualcuno degli slogan che vanno di moda: poca finanza, competitività, riduzione dei costi. E’ difficile che troviate un grande progetto come potrebbe essere la proposta di un nuovo sistema di welfare. E’ anche difficile che troviate un piano industriale scritto usando gli standard internazionali, suggeriti dalla cultura strategica. Pronto ovviamente (e felice di farlo) se fossi smentito dai fatti futuri …
Forse c’entra anche il fatto che Cuccia leggeva Kant …

venerdì 1 giugno 2012

Quello che avrei voluto sentire dire dal Governatore della Banca d’Italia


di
Francesco Zanotti


Avrei voluto sentire dire parole nuove da un nuovo Governatore.

Ad esempio …
La società industriale ha aperto un “Vaso di Pandora al contrario”. Un Vaso che sta spargendo intorno a noi immense risorse di futuro. Soprattutto potenzialità di futuro e nuove risorse cognitive.
Sono così tante, splendide e promettenti che lasciano attoniti.
Mi sarebbe, allora, piaciuto ascoltare il linguaggio della speranza.

Come si possono sfruttare le risorse di futuro? Se guardiamo al passato recente abbiamo un esempio: attraverso una intensa imprenditorialità di popolo.
Con il termine “imprenditore” non intendiamo parlare di un capitalista che cerca il profitto. Neanche di un manager che gestisce un’azienda o del proprietario che la possiede o di la eredita.
L’imprenditore è un creatore di mondi.
L’imprenditore si pone di fronte alla realtà, alla natura e alla società, in un modo tutt’affatto particolare: con la sindrome di Dio. Intendo dire: con la voglia di costruire un mondo a sua immagine e somiglianza.
Mi sarebbe piaciuto, allora, ascoltare il linguaggio della imprenditorialità.

Allora è necessario attivare una nuova e più intensa imprenditorialità di popolo. Ma come?
Gli imprenditori per immaginare nuovi mondi usano le risorse cognitive, i modelli mentali, le risorse emozionali  di cui dispongono. Le risorse e i modelli del passato non bastano più. Anche perché si sono andati affievolendo. Le nuove generazioni hanno ereditato le imprese, non lo spirito imprenditoriale. Tanto che oggi “imprenditore” è colui che possiede una impresa e non crea nuovi mondi.
Allora è necessario fornire nuove risorse cognitive, nuovi modelli mentali, nuove risorse emozionali.
Mi sarebbe piaciuto, allora, ascoltare il linguaggio della conoscenza.

Avrei voluto sentire parole nuove, ma ho sentito parole oramai note, anche se diligentemente messe in bell’ordine, come fa un diligente scolaro …