"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

martedì 31 luglio 2012

Solo ricerca industriale?


di
Francesco Zanotti

Oggi sul Sole 24 Ore Renato Ugo ripropone una tesi oramai condivisa, anche se non praticata: sostenere la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica. La ripropone appunto perché non praticata.
Ora, al di là di qualche obiezione che si può fare a questa tesi (ad esempio: generica. A quale tipo di ricerca scientifica fa riferimento?), mi sembra che sarebbe importantissimo sostenere che sarebbe importante almeno un altro tipo di ricerca: la ricerca organizzativa.
Tutti riconoscono che una impresa non è una macchina di Turing che “calcola” in maniera univoca l’output in funzione dell’input. Ma è (almeno) un sistema socio-tecnico. Oppure, usando un’altra espressione è fatta da una parte formale (Turing Like,) e da una parte informale.
Ora questa dimensione informale ha un impatto rilevante sull’efficienza dei processi e la qualità dei prodotti. Quindi, usando il linguaggio corrente, ha un importante ruolo competitivo. Ma di questa dimensione sappiamo pochissimo: non esiste una “teoria” condivisa né da cosa sia fatta, né da come si sviluppo, né da come si governa.
Ci culliamo tutti dietro la tesi, ovviamente scioccherella, che tutto è stranoto. E quello che è stranoto è costituito dal così detto “sistema Toyota”. Ma è uno stranoto ... strabanale. Che sta facendo danni rilevanti soprattutto alla nostra FIAT: le sta creando conflitti e distruggendo competitività.
Aggiungiamo allora alla ricerca scientifica la ricerca organizzativa che serve, dopo tutto, a dare senso alla ricerca scientifica e tecnologica.

venerdì 27 luglio 2012

Non snobbiamo i segni del tempo futuro


di
Francesco Zanotti


Al Cantagiro del 1966 è arrivata seconda una canzone che è diventata il simbolo ingenuo di una passione per il futuro, altrettanto ingenua, di tutta una generazione: Ma che colpa abbiamo noi dei Rokes.
Al settimo posto si è classificata una canzone molto più amara, con accenti catastrofici: Noi non ci saremo dei Nomadi.
A proposito, quel Cantagiro fu vinto dall’Equipe 84 con Io ho in mente te
Cantavano, auspicavano, i Rokes “Sarà una bella società fondata sulla libertà” … Poi la speranza di quella bella società non si è mai concretizzata in una società vera. Anzi, si è spenta nella violenza del terrorismo …
Non ce l’hanno (abbiamo) fatta, hanno (abbiamo) tutta la colpa dell’insuccesso, ma avevano ragione a crederci. La speranza di una bella società futura era giustificata da quelli che Papa Giovanni definiva nella sua famosa Enciclica Pacem in terris “i segni dei tempi”: l’ascesa delle classi lavoratrici, l’ingresso della donna nella vita pubblica, una configurazione sociale-politica della famiglia umana che si stava incamminando verso l’eliminazione della differenza tra popoli dominatori e dominati. Aggiungo io: grandi avventure collettive come la conquista della luna; eventi culturali epocali come il Concilio Vaticano II; uomini che oggi vivono nella Storia: dallo stesso Papa Giovanni ai Kennedy, a Martin Luther King.
E oggi? Ai tempi di una crisi che nessuno sembra riuscire a domare?
Sembra paradossale dirlo, ma oggi viviamo immersi in segni del tempo futuro ancora più intensi, espliciti, concreti di quei tempi. Oggi non è un tempo di crisi, è il tempo in cui ce la possiamo (dobbiamo) davvero fare a costruire una “bella società, fondata sulla libertà”.
Ce la possiamo fare perché siamo “accerchiati” da abbondantissimi segni del tempo futuro: potenzialità di futuro, nuovi attori protagonisti e nuove risorse cognitive.
Tutti questi segni del tempo futuro aprono davanti a noi mille possibili sentieri verso una nuova economia ed una nuova società e ci invitano a percorrerli …
Come se in tanti angoli del mondo si ricominciasse a suonare quella musica dei Rokes …
Provo a raccontare qualcuna delle potenzialità del futuro usando come ordine di esposizione il parametro della concretezza …
Parto, cioè, dalla economia. Ma non mi soffermerò sulle tecnologie di cui si parla anche troppo (e forse banalmente). Parlerò, invece, della scienza.

Le persone nelle società occidentali cominciano a stufarsi (quasi affetti da una noia da abbondanza) dei prodotti e servizi che propongono le imprese che in questa società sono nate e prosperano. Il caso archetipale è quello dell’auto che dovrà subire non solo una evoluzione tecnologica, ma anche un cambiamento radicale della sua funzione d’uso: le esigenze di trasporto individuale non potranno più a lungo essere soddisfatte da questo tipo di tecnologie.
Le persone delle società in via di sviluppo non sono ancora affette da noia da abbondanza, ma sta diventano evidente che i loro bisogni igienici, per mille ragioni, non potranno essere soddisfatti attraverso i prodotti e servizi tipici della società industriale. Tra queste ragioni ve ne sono anche di molto “hard”. Ad esempio: la carenza delle materie prime e delle immense quantità di energia necessarie a produrre i manufatti tipici della società industriale per i miliardi di persone che ancora non ne usufruiscono. Ma ve ne sono anche di più profonde. Infatti le persone delle società in via di sviluppo desiderano certamente anch’esse soddisfare i loro bisogni fondamentali. Ma, sempre più, percepiscono una sensazione di estraneità verso un tipo di prodotti e servizi che nascono da una cultura che, al di là di ubriacature iniziali, sentono come estranea.

Conseguentemente, cominciano ad apparire nuovi prodotti (e servizi, ma di quelli non parlerò) che non solo necessitano di meno energia e meno materie prime, ma che nascono da sensibilità diverse e prefigurano “fisicità” diverse.
In molti angoli del mondo si sta cominciando a costruire prodotti “morbidi”. Innanzitutto, polifunzione. E, poi, componibili a desiderio dell’utilizzatore e quasi dolci al tatto. Immaginiamo il camminare in questa direzione. Prendere in mano uno dei prodotti della società industriale è come prendere in mano un oggetto eterogeneo al tocco: freddo, spigoloso duro. Immaginate di prendere in mano, invece, oggetti caldi, senza spigoli e morbidi. Il prenderli in mano diventa molto simile allo stringere la mano di un uomo o della natura per compiere insieme passi nella Storia.

Parallelamente ai primi vagiti dei nuovi prodotti, e non a caso, stanno nascendo nuove modalità per produrli e per generare l’energia che serve ai processi produttivi.
Innanzitutto, sistemi di fabbricazione “locale”, al limite “casalinghi”. Si pensi solo alle stampanti 3D che, in qualche modo, permettono a tutti una artigianalità spinta. Fatta soprattutto di fantasia, inventiva passione perché la competenza manuale è affidata agli stessi sistemi di fabbricazione locali che contengono anche la necessaria intelligenza ingegneristica.
Ovviamente rimarranno anche strutture centralizzate di produzione per i manufatti più grandi e complessi. Ma il ruolo dei lavoratori cambierà radicalmente: dal lavoratore esecutivo al lavoratore progettuale.
Poi si sta espandendo il desiderio (e le tecnologie necessarie per realizzarlo) di altrettanto locali capacità di produrre energia.
Il sogno contemporaneamente ancora lieve, ma già intenso, di capacità di produrre cose ed energia insieme, localmente.

Credo che non sia necessario dettagliare quali nuovi materiali e quali nuove tecnologie perché se ne sta parlando diffusamente. Forse è il caso di dire che queste nuove tecnologie e questi nuovi materiali permettono davvero di immaginare le tipologie di manufatti e le modalità di produzione che ho provato a descrivere.

Anche le infrastrutture di trasporto e telecomunicazione dovranno trasformarsi radicalmente. La via è tracciata: dalle grandi infrastrutture della società industriale ad un sistema di infrastrutture meno invasive, costose. Magari infrastrutture intelligenti e capaci di auto-manutenzione. Parimenti le città dovranno diventare altro. Stiamo assistendo alla riscoperta dei borghi, all’affermarsi di modelli come le smart cities.
Il tutto alla ricerca di un nuovo trasporto e di un nuovo abitare.

Se percorrete il pezzo di autostrada che da Milano va a Bergamo potete avere una percezione “fisica” della estrema eterogeneità tra la natura artificiale costruita dalla società industriale e la Natura. E’ una eterogeneità che non ci piace: cerchiamo la Natura “vera” appena possiamo. E’ anche una eterogeneità che non è più sostenibile: la natura artificiale sta diventando così invasiva che sta distruggendo il tessuto stesso (l’ecologia) della Natura.
Il vecchio patto tra l’uomo (uomo solo Faber) e la Natura vera (l’uomo costruisce una natura artificiale, usando la Natura come materia prima e deposito rifiuti) sta diventando distruttivamente predatorio.
E’ necessario, allora, costruirne un nuovo patto (tutto da immaginare) tra Uomo e Natura. Che non può essere il banale costruire una società artificiale “sostenibile”, ma che deve costruire un cammino di co-evoluzione tra Uomo e Natura.

A percorrere i sentieri del futuro vi saranno nuovi attori protagonisti economici, sociali, politici ed istituzionali.
Non è il luogo per darne un resoconto dettagliato. Voglio solo proporre due esempi.

Il modello della monolitica impresa industriale orientata all’efficienza ed al profitto sta lasciando il posto a nuovi soggetti e a nuove logiche: dal no profit, alle imprese reti. Anche la logica profonda dell’impresa si allontana sempre più dallo stereotipo (generato da vecchie e banali ideologie) dell’imprenditore “rapace” che bada solo al profitto. O dell’azionista ossessionato dal breve termine. Sta emergendo un’impresa, dove il lavoratore non è più solo un esecutore, ma deve diventare quello che abbiamo già definito “Lavoratore progettuale” che costruisce l’organizzazione e il mercato insieme all’imprenditore ed al management.

I tradizionali attori politici, monopolisti del gioco democratico, stanno lasciando il posto a galassie evolutive di movimento nelle quali maturano nuovi desideri e proposte “locali” (in ambiti specifici) che, però, sembrano davvero gli ologrammi della bella società futura. Nuovi movimenti che possono diventare alleati preziosi nel costruire una nuova economia.

Dal Vaso di Pandora al contrario stanno uscendo anche gli strumenti fondamentali per far “precipitare” le potenzialità di futuro in un nuovo futuro reale.
Esse sono costituite da un vero e proprio patrimonio di nuove risorse cognitive: modelli e metafore per costruire una nuova visione del mondo.
In particolare, sta emergendo una nuova scienza che propone una visione del mondo completamente diversa da quella della scienza classica. Una visione del mondo costruttiva, comunitaria, dal sapore molto più umano e profondo. Una nuova scienza capace di rompere quel dualismo con le scienze umane che ha caratterizzato la scienza classica. Fatta di tutti i modelli e le metafore che hanno “scoperto” sia le scienze naturali (fisica quantistica in testa) che le scienze umane (un esempio per tutti: l’approccio relazionale in psicoanalisi). Una scienza che costruisce conoscenza come opera d’arte e lascia immaginare nuovi percorsi di creazione della conoscenza e della realtà che permettano di costruire la nuova società prossima ventura come una vera e propria opera d’arte sociale.

Nuovi Rokes stanno tornando tra noi. Stanno diffondendosi, emergendo, nuove spinte verso empatia e solidarietà. Jeremy Rifkin è il teorico dell’empatia come risorsa fondamentale per costruire e vivere nel mondo futuro.
Empatia e solidarietà sono le risorse con le quali gli uomini si relazionano: coraggiosamente o vigliaccamente. Sono la passione e la responsabilità verso il futuro.
Il modello della società industriale sembrava ignorarle in nome di un funzionalismo ( le cose, gli uomini e la Natura, valgono per l’uso che se ne può fare) che, però, pur senza consapevolezza, ha liberato tanti popoli da quel bisogno che impediva loro di essere pienamente uomini.
In Italia questa empatia si declina anche come socialità profonda. Nel desiderio di giustizia e servizio sociale.


lunedì 23 luglio 2012

Il "senso" dei Business Plan...


...il gusto, l'orgoglio di vedere la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare gli impianti, abbellire le sedi, costituiscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno.


…la cultura dell’impresa, ossia quella dell’ imprenditore- sia esso individuale famigliare o manageriale- che si comporta come classe dirigente,che lavora come se il destino del mondo dipendesse dal suo agire e così facendo sceglie di lavorare nell’ impresa perché vive l’ impresa come libertà dei moderni.


Come comunicato da queste pagine virtuali, una nostra ricerca sul “Rating dei Business Plan” delle aziende dell’indice FTSE MIB della Borsa di Milano, è stato pubblicato sulla rivista “Il Mondo” qualche settimana fa.
L’attività, condotta sui documenti ufficiali e pubblicamente disponibili sui siti web aziendali, ci ha consentito di classificare, censire, valutare ogni singola affermazione contenuta nei piani. Conseguentemente ci siamo formati un giudizio complessivo, sui valori che esprime e sulla mentalità e cultura che li hanno ispirati.
Giudizio non esaltante...

sabato 21 luglio 2012

Sofferenze bancarie prossime venture


di
Francesco Zanotti

Tutti sanno che una parte significativa (20-30 % .. oltre?) dell’attuale sistema industriale non riesce a, come si dice, a “stare sul mercato”.
Questo significa, innanzitutto, che le sofferenze sono destinate a breve ad aumentare ben al di là di quanto permetterebbe il patrimonio delle banche.
I concetti tradizionali di valutazione del rischio sono inutili. Il problema non è come evitare rischi. Il problema è come fronteggiare la crisi di coloro ai quali i crediti sono già stati concessi.
La soluzione esiste ed è possibile. Le banche devono dotarsi di strumenti di valutazione dei Progetti d’impresa. Questi stessi strumenti devono, contemporaneamente, essere capaci di stimolare una nuova progettualità d’impresa.
Noi abbiamo costruito un Rating Progettuale dei Business Plan che permette di raggiungere ambedue questi obiettivi.
Non è un Rating qualunque. Nasce da un progetto di ricerca che è andato ad esplorare tutte la cultura strategica mondiale costruendone una nuova sintesi.

martedì 17 luglio 2012

Il circolo vizioso della ristrutturazione del debito


di
Francesco Zanotti

I processi di ristrutturazione del debito stanno diventando sempre più frequenti e problematici. Ogni ristrutturazione del debito sembra poter essere solo l’anticamera di una successiva, ulteriore e più pesante ristrutturazione del debito, in un crescendo rossiniano che porta al grido finale di insolvenza.
La necessità di ristrutturare il debito nasce dal guardare il mondo con gli occhi della competizione e si cerca di gestire questa operazione usando, sia da parte delle banche che delle imprese la stessa logica competitiva. Ma è proprio così che si crea il crescendo rossiniano di guai di cui dicevo.
Infatti le imprese, a causa del crescere (auto costruito) della competizione e del ridursi della loro capacità di produrre valore (patrimoniale, economico e finanziario) sono costrette a chiedere alle banche di ristrutturare il debito. Le banche rispondono che serve un piano industriale che spieghi quali cambiamenti farà l’impresa, in modo da poter onorare le nuove scadenze del debito. Ma che tipo di cambiamenti chiedono? Chiedono, sostanzialmente, la riduzione dei costi e delle persone in nome della competitività. Pensando che, spendendo meno, si riescano a pagare i debiti. Siccome poi questo non accade, perché dopo le riduzioni fatte le imprese non sono in grado lo stesso di pagare i debiti (chiedete alla banche quanti piani di ristrutturazione hanno avuto successo), allora si cerca di ridurre sempre più duramente e risolutamente. Il rigore è il valore di fondo. Ma, continuando a premere l’acceleratore del rigore si uccidono le imprese.
Il problema è che anche le imprese ritengono legittima la via della riduzione di costi e persone perché, anch’esse, pensano in termini competitivi.
Si crea così una vera alleanza tra banche ed imprese, ma orientata al declino, non allo sviluppo.
In barba a tutti i segni del tempo futuro che stanno traboccando da ogni parte.

venerdì 13 luglio 2012

Un nuovo ruolo sociale per le banche


di
Cesare Sacerdoti

All’Assemblea dell’ABI dell'11 Luglio, il Governatore della Banca d’Italia Visco ha sottolineato che “le banche sono chiamate a decisioni difficili: non far mancare finanza alle imprese solide, evitare di prolungare il sostegno a quelle senza prospettive” e il Presidente dell’ABI, ha ricordato che  “Lo scorso 28 febbraio è stata firmata dall’ABI e dalle altre rappresentanze di impresa  una nuova intesa al fine di “assicurare la disponibilità di adeguate risorse finanziarie per le imprese che pur registrando tensioni presentano comunque prospettive economiche positive”.

Ora, al di là delle implicazioni politiche, sociali ed economiche che tali affermazioni comportano, ci chiediamo con quali criteri e con quali metodologie le banche riconoscano le “imprese solide”  e quelle “con prospettive economiche positive”.

Sono “solide” solamente le aziende già sufficientemente sviluppate e con track record positivo? Siamo certi che quelle che hanno fatto bene nel passato saranno in grado di fare bene (banalmente, di generare cassa) nel futuro?

E le nuove iniziative, le nuove idee imprenditoriali, come potranno mai svilupparsi e diventare “solide”?

E, ci chiediamo, “quelle senza prospettive” vanno abbandonate a se stesse e, quindi, fatte morire o, peggio, le si incentiva a ricorrere a forme di finanziamento illecite?

Le banche allora si assumono un ruolo politico e sociale molto delicato: quali strumenti hanno per adempiere a tale ruolo?

Ci si risponderà che le banche analizzano i business plan delle aziende, hanno sistemi di rating conformi a Basilea 2 e hanno accesso a vaste banche dati settoriali con cui confrontare lo stato di salute di ogni singola azienda, ecc. Ma sono tutti strumenti che analizzano il passato delle imprese e che suppongono una continuità nel futuro, una continuità che a sua volta presuppone una stabilità dei contesti mondiali. Una stabilità che viene assicurata dalla capacità di porre rimedi a eventuali malfunzionamenti anche sistemici (il ricorso alle riforme). Ma l’attuale crisi ci ricorda che il mondo, i sistemi umani sono sistemi complessi per i quali non valgono le regole meccanistiche lineari.

Un recente articolo de Il Mondo (6 Luglio 2012) poneva in evidenza come la maggior parte dei piani strategici delle principali aziende italiane quotate in borsa siano scarsamente progettuali e che non prevedono una governance condivisa del business plan.  Ne deriva che i piani strategici attuali non possono fornire serie indicazioni sul futuro delle società.

Se le banche si dotassero di strumenti più adeguati (noi proponiamo un sistema di rating dei business plan), non solo potrebbero riconoscere con maggior affidabilità le aziende che hanno “prospettive economiche positive” (siano esse aziende già consolidate o di nuova costituzione), ma potrebbero aiutare le altre aziende a meglio progettare il loro futuro: assumerebbero cioè un ruolo sociale positivo e propositivo.
Si nota da più parti come l’export italiano sia in crescita anche in questo difficile contesto economico; e questo perché molte aziende italiane sanno progettare futuri positivi, sanno creare sistemi di prodotto-mercato innovativi: allora il problema di base non è “fare le riforme”, ma aumentare il numero di società capaci di creare mondi nuovi, capaci di affrontare i mercati con idee innovative. Ecco il nuovo ruolo sociale per le banche: fornire conoscenze per creare un movimento di nuova imprenditorialità. Un’imprenditorialità più sofisticata di quella del boom economico degli anni 60: “un’imprenditorialità aumentata”.

martedì 10 luglio 2012

Recessione e imprenditorialità aumentata


di
Francesco Zanotti


Alla fine, tutte le misure che si stanno prendendo per risolvere la crisi saranno feconde solo se all’attuale recessione seguirà un nuovo periodo di crescita generalizzata, soprattutto del nostro sistema industriale.

Questa speranza, però, non può realizzarsi. Vi è certamente una parte del nostro sistema industriale che tornerà a crescere (forse non ha mai smesso di farlo, se non nei momenti psicologicamente più impattanti della crisi), ma vi sarà una parte significativa che non potrà farlo. Si tratta di quelle imprese che hanno perso senso strategico. Ad esempio, i tantissimi spin-off produttivi creati da operai che si sono messi in proprio ma continuando a lavorare quasi esclusivamente per il vecchio datore di lavoro. Certo si sono poi evoluti ma, in troppi casi, solo attraverso una continua contrazione dei prezzi oramai insostenibile.

La somma di crescita di alcuni e decrescita inevitabile di altri sarà negativa: vi sarà una ulteriore decrescita complessiva che vanificherà riforme che ci stanno mettendo del loro nel costruire recessione.

Tutto questo a “società e natura costanti”. Intendo dire: immaginando che esigenze, valori, speranze rimangano quelli di sempre. E che la natura non sia significativamente intaccata dal sistema industriale.

Ma la società si guarda bene dal rimanere costante. Sta diventando sempre più evidente una veloce e profonda evoluzione di esigenze, valori e speranze, che sta rendendo, e renderà, sempre meno interessanti i prodotti dell’attuale sistema industriale.
E la Natura non sopporta più questo stesso sistema industriale.

Tutto questo significa che non vi potrà essere crescita dell’attuale sistema industriale. Ma vi dovrà essere lo sviluppo di un nuovo sistema industriale che coinvolgerà anche le imprese che oggi sembrano vincenti in profondi cambiamenti di visione, mission e struttura strategica.
Abbiamo preparato una proposta per attivare lo sviluppo di un nuovo sistema industriale che parte dal basso, dalla singola impresa. La nostra proposta è descritta nel documento "Lo sguardo, la passione e la concretezza. Nuove risorse cognitive, emozionali e metodologiche per attivare una nuova imprenditorialità aumentata” che è liberamente scaricabile.

Il documento è strutturato in due capitoli: la scoperta e la proposta.

La scoperta.
Se non riusciamo ad uscire da una crisi che sembra sempre più invasiva, le alternative sono due. La prima è che si sa cosa bisognerebbe fare per uscirne, ma non lo si fa perché qualche “cattivone” incompetente lo impedisce. Se così è, allora, la soluzione è: dalli all’untore.
Esiste un intero “capitolo” della sociologia che studia la “teoria del complotto”.
E’ questa l’alternativa più accreditata, ma a me sembra ingenua e pericolosa. Ingenua perché, qualche volta, le soluzioni che vengono proposte vengono pur messe in pratica, ma non producono i risultati attesi. Pericolosa perché può innescare catene inestricabili di conflitti.

Quello che abbiamo scoperto è la causa profonda della crisi. Non è generata da macro fenomeni incontrollabili, ma dalle risorse cognitive con cui guardiamo il mondo.

La proposta.
La proposta è banalmente conseguente alla scoperta: forniamo alle classi dirigenti nuove risorse cognitive.

Un inciso (non è mica tanto un inciso) conclusivo: costruire questo tipo di sviluppo rendere del tutto superflue le attuali misure di austerità. Anzi ne rivela la profonda natura recessiva. Soprattutto ne rivela la cultura burocratica e imprenditorialmente rinunciataria che le anima.

lunedì 9 luglio 2012

Nessun dorma


di
Francesco Zanotti

... sui pregiudizi insensati! Accidenti sembra che i pregiudizi servano come strumento di autorealizzazione di una classe dirigente che ha paura di costruire nuovi giudizi.
A cosa mi riferisco? Al mito della nostra competitività calante.
Se leggete l’articolo pubblicato oggi su Corriere Economia su di uno studio della Fondazione Edison sull’Export di Germania e Italia capirete.
Vi riporto solo qualche opinione di Marco Fortis, Presidente della Fondazione Edison.
“… dire che le nostre imprese perdono di competitività con i tedeschi è completamente sbagliato”.
“le imprese che esportano la competitività ce l’hanno”
“la crescita (la non crescita) non c’entra niente con la competitività”. Infatti a generare la non crescita sono le imprese che lavorano per il mercato italiano. E non è colpa loro. Le imprese che operano nell’edilizia non possono crescere se lo Stato non investe. Le imprese che non vengono pagate dallo Stato non muoiono certo per colpa loro.

Ed allora .. nessun dorma … Sia nostra l’invocazione “Dilegua, o notte!... Tramontate, stelle!...
All'alba vincerò!” … Se sapremo buttare i pregiudizi e costruire nuovi giudizi.

venerdì 6 luglio 2012

Caravaggio, Marsilio Ficino e la crisi


di
Francesco Zanotti


Sono state trovate al Castello Sforzesco di Milano un centinaio di opere attribuite al Caravaggio. Forse sono sue, forse non lo sono. Ma supponiamo che lo siano. Valore? 700 milioni!
Facciamo dieci Caravaggio … fanno 7 miliardi!
Conclusione: far emergere tanti Caravaggio in una società è la pratica più efficace per uscire dalla crisi … Ma è possibile?
Allora viene in mente, ad esempio, Marsilio Ficino. Egli ha creato, l’Accademia Platonica … E vengono in mente molti altri che, in quei tempi, sono andati a riscoprire la cultura classica. Non aveva certo previsto che sarebbe venuto Caravaggio, né che Michelangelo avrebbe affrescato la Cappella Sistina. Ma hanno diffuso nella società di allora le risorse (la cultura classica) che ha permesso l’emergere di Caravaggio, Michelangelo. E chi più ne ha più ne metta. E sono tantissimi … altro che 7 miliardi.
Oggi esistono nuove risorse generative, cioè capaci di avviare la costruzione di una nuova società. Sono costituite dai mille modelli, metafore e linguaggi che sono stati sviluppati nelle nuove scienze. Sono costituite da arte, filosofia e religioni. Buttiamo queste risorse generative nella società di oggi, invece di lasciarle relegate (e, quindi, povere di senso) all’interno di club specialistici ed un po’presuntuosi. Vedrete sorgere un nuovo popolo di santi, poeti e navigatori. Noi abbiamo sviluppato un progetto per innescare questo nuovo Rinascimento. L’abbiamo chiamato Expo della Conoscenza. 

martedì 3 luglio 2012

Come creare ricchezza... dal basso

Il numero del 6 luglio della rivista "Il Mondo" ci ha dedicato la storia di copertina.
Di che si tratta? 
Della ricerca, "Rating dei Business Plan", eseguita sulle aziende dell'indice FTSE MIB: le principali società quotate in Borsa a Milano.
Non lasciatevi ingannare dal titolo "scandalistico" del giornale, nè dal nome della ricerca che ha un retrogusto un po' burocratico. La faccenda è molto seria e ha riscontri molto più pratici di quanto si possa immaginare: le aziende in questione sono i più grandi assorbitori di risparmio pubblico.
Come lo useranno? 
Quali sono i loro "piani di futuro" (le sorti dei nostri denari)?
E, prima ancora, sono in grado di progettare un futuro o si limitano a seguire quello creato da altri?

lunedì 2 luglio 2012

Il caso Alitalia


di
Francesco Zanotti


Leggo su Affari & Finanza la descrizione di una crisi grave di Alitalia-CAI alla quale non si vede via d’uscita a firma di Paola Jadeluca.
Ricordo i tempi in cui CAI ha comprato Alitalia. Avevo intravisto il documento che spiegava/giustificava l’operazione Alitalia: era definito “Information memorandum” … Sì, lo so che è l’espressione che si usa nel mondo della finanza … Ma “nomina sunt consequentia rerum” … Definire in questo modo un progetto di acquisizione dichiara, implicitamente, che si considera principalmente l’aspetto finanziario dell’operazione. E si ha la netta sensazione che la dimensione strategico organizzativa dell’operazione passi in secondo piano.
Ad ogni modo, noi abbiamo sviluppato un Rating Progettuale dei Business Plan con il quale abbiamo esaminato i Business Plan, i Piani Industriali delle imprese del FTSE MIB della Borsa di Milano. I risultati sono stati pubblicati sul Mondo in edicola da venerdì scorso. Sarebbe interessante usare questa metodologia di Rating sull’Information Memorandum che ha guidato l’operazione di acquisizione di CAI di Alitalia, prima e, poi, di Airone. Forse si capirebbero le radici di un insuccesso annunciato …