"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

venerdì 27 luglio 2012

Non snobbiamo i segni del tempo futuro


di
Francesco Zanotti


Al Cantagiro del 1966 è arrivata seconda una canzone che è diventata il simbolo ingenuo di una passione per il futuro, altrettanto ingenua, di tutta una generazione: Ma che colpa abbiamo noi dei Rokes.
Al settimo posto si è classificata una canzone molto più amara, con accenti catastrofici: Noi non ci saremo dei Nomadi.
A proposito, quel Cantagiro fu vinto dall’Equipe 84 con Io ho in mente te
Cantavano, auspicavano, i Rokes “Sarà una bella società fondata sulla libertà” … Poi la speranza di quella bella società non si è mai concretizzata in una società vera. Anzi, si è spenta nella violenza del terrorismo …
Non ce l’hanno (abbiamo) fatta, hanno (abbiamo) tutta la colpa dell’insuccesso, ma avevano ragione a crederci. La speranza di una bella società futura era giustificata da quelli che Papa Giovanni definiva nella sua famosa Enciclica Pacem in terris “i segni dei tempi”: l’ascesa delle classi lavoratrici, l’ingresso della donna nella vita pubblica, una configurazione sociale-politica della famiglia umana che si stava incamminando verso l’eliminazione della differenza tra popoli dominatori e dominati. Aggiungo io: grandi avventure collettive come la conquista della luna; eventi culturali epocali come il Concilio Vaticano II; uomini che oggi vivono nella Storia: dallo stesso Papa Giovanni ai Kennedy, a Martin Luther King.
E oggi? Ai tempi di una crisi che nessuno sembra riuscire a domare?
Sembra paradossale dirlo, ma oggi viviamo immersi in segni del tempo futuro ancora più intensi, espliciti, concreti di quei tempi. Oggi non è un tempo di crisi, è il tempo in cui ce la possiamo (dobbiamo) davvero fare a costruire una “bella società, fondata sulla libertà”.
Ce la possiamo fare perché siamo “accerchiati” da abbondantissimi segni del tempo futuro: potenzialità di futuro, nuovi attori protagonisti e nuove risorse cognitive.
Tutti questi segni del tempo futuro aprono davanti a noi mille possibili sentieri verso una nuova economia ed una nuova società e ci invitano a percorrerli …
Come se in tanti angoli del mondo si ricominciasse a suonare quella musica dei Rokes …
Provo a raccontare qualcuna delle potenzialità del futuro usando come ordine di esposizione il parametro della concretezza …
Parto, cioè, dalla economia. Ma non mi soffermerò sulle tecnologie di cui si parla anche troppo (e forse banalmente). Parlerò, invece, della scienza.

Le persone nelle società occidentali cominciano a stufarsi (quasi affetti da una noia da abbondanza) dei prodotti e servizi che propongono le imprese che in questa società sono nate e prosperano. Il caso archetipale è quello dell’auto che dovrà subire non solo una evoluzione tecnologica, ma anche un cambiamento radicale della sua funzione d’uso: le esigenze di trasporto individuale non potranno più a lungo essere soddisfatte da questo tipo di tecnologie.
Le persone delle società in via di sviluppo non sono ancora affette da noia da abbondanza, ma sta diventano evidente che i loro bisogni igienici, per mille ragioni, non potranno essere soddisfatti attraverso i prodotti e servizi tipici della società industriale. Tra queste ragioni ve ne sono anche di molto “hard”. Ad esempio: la carenza delle materie prime e delle immense quantità di energia necessarie a produrre i manufatti tipici della società industriale per i miliardi di persone che ancora non ne usufruiscono. Ma ve ne sono anche di più profonde. Infatti le persone delle società in via di sviluppo desiderano certamente anch’esse soddisfare i loro bisogni fondamentali. Ma, sempre più, percepiscono una sensazione di estraneità verso un tipo di prodotti e servizi che nascono da una cultura che, al di là di ubriacature iniziali, sentono come estranea.

Conseguentemente, cominciano ad apparire nuovi prodotti (e servizi, ma di quelli non parlerò) che non solo necessitano di meno energia e meno materie prime, ma che nascono da sensibilità diverse e prefigurano “fisicità” diverse.
In molti angoli del mondo si sta cominciando a costruire prodotti “morbidi”. Innanzitutto, polifunzione. E, poi, componibili a desiderio dell’utilizzatore e quasi dolci al tatto. Immaginiamo il camminare in questa direzione. Prendere in mano uno dei prodotti della società industriale è come prendere in mano un oggetto eterogeneo al tocco: freddo, spigoloso duro. Immaginate di prendere in mano, invece, oggetti caldi, senza spigoli e morbidi. Il prenderli in mano diventa molto simile allo stringere la mano di un uomo o della natura per compiere insieme passi nella Storia.

Parallelamente ai primi vagiti dei nuovi prodotti, e non a caso, stanno nascendo nuove modalità per produrli e per generare l’energia che serve ai processi produttivi.
Innanzitutto, sistemi di fabbricazione “locale”, al limite “casalinghi”. Si pensi solo alle stampanti 3D che, in qualche modo, permettono a tutti una artigianalità spinta. Fatta soprattutto di fantasia, inventiva passione perché la competenza manuale è affidata agli stessi sistemi di fabbricazione locali che contengono anche la necessaria intelligenza ingegneristica.
Ovviamente rimarranno anche strutture centralizzate di produzione per i manufatti più grandi e complessi. Ma il ruolo dei lavoratori cambierà radicalmente: dal lavoratore esecutivo al lavoratore progettuale.
Poi si sta espandendo il desiderio (e le tecnologie necessarie per realizzarlo) di altrettanto locali capacità di produrre energia.
Il sogno contemporaneamente ancora lieve, ma già intenso, di capacità di produrre cose ed energia insieme, localmente.

Credo che non sia necessario dettagliare quali nuovi materiali e quali nuove tecnologie perché se ne sta parlando diffusamente. Forse è il caso di dire che queste nuove tecnologie e questi nuovi materiali permettono davvero di immaginare le tipologie di manufatti e le modalità di produzione che ho provato a descrivere.

Anche le infrastrutture di trasporto e telecomunicazione dovranno trasformarsi radicalmente. La via è tracciata: dalle grandi infrastrutture della società industriale ad un sistema di infrastrutture meno invasive, costose. Magari infrastrutture intelligenti e capaci di auto-manutenzione. Parimenti le città dovranno diventare altro. Stiamo assistendo alla riscoperta dei borghi, all’affermarsi di modelli come le smart cities.
Il tutto alla ricerca di un nuovo trasporto e di un nuovo abitare.

Se percorrete il pezzo di autostrada che da Milano va a Bergamo potete avere una percezione “fisica” della estrema eterogeneità tra la natura artificiale costruita dalla società industriale e la Natura. E’ una eterogeneità che non ci piace: cerchiamo la Natura “vera” appena possiamo. E’ anche una eterogeneità che non è più sostenibile: la natura artificiale sta diventando così invasiva che sta distruggendo il tessuto stesso (l’ecologia) della Natura.
Il vecchio patto tra l’uomo (uomo solo Faber) e la Natura vera (l’uomo costruisce una natura artificiale, usando la Natura come materia prima e deposito rifiuti) sta diventando distruttivamente predatorio.
E’ necessario, allora, costruirne un nuovo patto (tutto da immaginare) tra Uomo e Natura. Che non può essere il banale costruire una società artificiale “sostenibile”, ma che deve costruire un cammino di co-evoluzione tra Uomo e Natura.

A percorrere i sentieri del futuro vi saranno nuovi attori protagonisti economici, sociali, politici ed istituzionali.
Non è il luogo per darne un resoconto dettagliato. Voglio solo proporre due esempi.

Il modello della monolitica impresa industriale orientata all’efficienza ed al profitto sta lasciando il posto a nuovi soggetti e a nuove logiche: dal no profit, alle imprese reti. Anche la logica profonda dell’impresa si allontana sempre più dallo stereotipo (generato da vecchie e banali ideologie) dell’imprenditore “rapace” che bada solo al profitto. O dell’azionista ossessionato dal breve termine. Sta emergendo un’impresa, dove il lavoratore non è più solo un esecutore, ma deve diventare quello che abbiamo già definito “Lavoratore progettuale” che costruisce l’organizzazione e il mercato insieme all’imprenditore ed al management.

I tradizionali attori politici, monopolisti del gioco democratico, stanno lasciando il posto a galassie evolutive di movimento nelle quali maturano nuovi desideri e proposte “locali” (in ambiti specifici) che, però, sembrano davvero gli ologrammi della bella società futura. Nuovi movimenti che possono diventare alleati preziosi nel costruire una nuova economia.

Dal Vaso di Pandora al contrario stanno uscendo anche gli strumenti fondamentali per far “precipitare” le potenzialità di futuro in un nuovo futuro reale.
Esse sono costituite da un vero e proprio patrimonio di nuove risorse cognitive: modelli e metafore per costruire una nuova visione del mondo.
In particolare, sta emergendo una nuova scienza che propone una visione del mondo completamente diversa da quella della scienza classica. Una visione del mondo costruttiva, comunitaria, dal sapore molto più umano e profondo. Una nuova scienza capace di rompere quel dualismo con le scienze umane che ha caratterizzato la scienza classica. Fatta di tutti i modelli e le metafore che hanno “scoperto” sia le scienze naturali (fisica quantistica in testa) che le scienze umane (un esempio per tutti: l’approccio relazionale in psicoanalisi). Una scienza che costruisce conoscenza come opera d’arte e lascia immaginare nuovi percorsi di creazione della conoscenza e della realtà che permettano di costruire la nuova società prossima ventura come una vera e propria opera d’arte sociale.

Nuovi Rokes stanno tornando tra noi. Stanno diffondendosi, emergendo, nuove spinte verso empatia e solidarietà. Jeremy Rifkin è il teorico dell’empatia come risorsa fondamentale per costruire e vivere nel mondo futuro.
Empatia e solidarietà sono le risorse con le quali gli uomini si relazionano: coraggiosamente o vigliaccamente. Sono la passione e la responsabilità verso il futuro.
Il modello della società industriale sembrava ignorarle in nome di un funzionalismo ( le cose, gli uomini e la Natura, valgono per l’uso che se ne può fare) che, però, pur senza consapevolezza, ha liberato tanti popoli da quel bisogno che impediva loro di essere pienamente uomini.
In Italia questa empatia si declina anche come socialità profonda. Nel desiderio di giustizia e servizio sociale.


Nessun commento:

Posta un commento