"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

giovedì 18 ottobre 2012

Fare strategia è pensare…


di
Samira Tasso
s.tasso@cse-crescendo.com

Questo post è il primo di una serie che pubblicheremo regolarmente e che descriverà le principali scuole del pensiero strategico ed organizzativo. Ogni post sarà accompagnato da un documento di dettaglio e di completamento che sarà scaricabile dal blog. Questi documenti diverranno parte di un libro che non solo presenterà lo stato dell’arte a livello internazionale del pensiero strategico e organizzativo, ma descriverà un nostro approccio che intende esserne un decisivo di superamento, fondato su di una nuova sistemica.


"…Cosa c'è dietro questo?  Andiamo, abbiamo sensi grezzi. Capirsi l’un l’altro? Dovremmo romperci a vicenda il cranio e tirare fuori i pensieri dalle fibre dei  nostri cervelli"


Con queste parole Georg Biichner drammatizza ciò che è riconosciuta come la scena primordiale della disperazione ermeneutica.
Avete mai pensato che fare strategia, in qualche modo, riguarda Il pensare?
La psicologia cognitiva offre spunti interessanti per comprendere le dinamiche “cognitive” che guidano il fare strategia.

D’altra parte, dove, se non nel cervello dell’uomo, si formano le strategie?
E il pensare dell’uomo non è un processo così limpidamente cartesiano…
In questo post proporrò alcune suggestioni che derivano da quella che viene definita “Scuola cognitiva”. Un discorso più ampio sarà disponibile nel documento “Fare strategia e dinamiche del pensiero: il contributo della scuola cognitiva al fare strategia” che riprende, completa e fornisce un nostro contributo a questa scuola di pensiero.
Il primo contributo della psicologia cognitiva è un invito a superare il concetto di razionalità assoluta.
Le informazioni che il cervello di un manager o di un imprenditore (ma anche di tutti noi) riceve vengono elaborate da una sorta di “magica scatola nera”. Essa è certamente costituita dalle risorse cognitive (schemi mentali e mappe cognitive) di cui dispone una persona, ma queste non sono accessibili e non si sa bene come elaborino le informazioni che ricevono. Sta di fatto che, dagli stessi input, persone diverse ricavano diversi output. Quindi, le conclusioni a cui un manager o un imprenditore perviene, i progetti che elabora, le decisioni che prende recano il “segno” del patrimonio di risorse cognitive di cui dispone. Cioè non sono output “oggettivi ed assoluti”, ma del tutto misteriosi, diversi per ciascun individuo e soggetti ad una serie di “effetti distortivi”.
Un semplice esempio: un manager o un imprenditore ragiona per analogie. Bene, il pensiero analogico fornisce un potente meccanismo di rappresentazione, ma nello stesso tempo condiziona pesantemente il pensiero. Se si percepiscono le persone come ingranaggi di una macchina, si entra immediatamente nell’ottica del funzionamento e del controllo. L’illusione del controllo porta a costruire gigantesche sovrastrutture per monitorarne l’efficacia, sottraendo energie al core business e generando un senso diffuso di frustrazione.

Lo stesso vale per la sintesi. Se si ragiona per sintesi, si cerca di descrivere, attraverso pochi indicatori essenziali, la complessità dell’ambiente che circonda l’impresa o l’andamento di un’organizzazione. Ma, in realtà, come sono costruiti questi indicatori? Attraverso un processo di progressiva distillazione della complessità della realtà che sale lungo la scala gerarchica dell’organigramma.
Per quello che abbiamo detto prima, però, questo distillare è ben lontano dall’essere oggettivo. Il risultato è che arrivano al vertice informazioni che sono tutt’altro che una sintetica rappresentazione della realtà. Chi non ricorda il gioco del telefono senza fili? Chi non ne ricorda i risultati costantemente ridicoli?
Cercando di essere più seri, si può, forse, dire che un processo di distillazione organizzativa porti non ad una sintesi di una qualche realtà (interna o esterna all’impresa), ma ad una sorta di fotografia finale del sistema cognitivo dell’organizzazione.
Il risultato finale è una grande illusione: con in mano questo “potentissimo” distillato si crede di poter guidare un’impresa nell’ambiente, di tirare le redini della sua organizzazione. Ma, nel frattempo, ambiente ed organizzazione prendono strade del tutto sconosciute al manager o all’imprenditore.

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