"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

giovedì 24 gennaio 2013

Ma la conoscenza è importante o no?




Intervista a Eliano Lodesani
di Luciano Martinoli e Francesco Zanotti

Allarghiamo il pubblico degli interlocutori sul tema della conoscenza, questa volta (le interviste relative al tema dell’organizzazione sono disponibile sul blog Ettardi) più focalizzato su quella di strategia d’impresa, al mondo delle banche, uno dei più importanti stakeholder del sistema industriale. Lo facciamo con un interlocutore importante sia per la sua posizione nell’azienda, Intesa Sanpaolo, sia per la sua presenza sul territorio: il Dott. Eliano Lodesani, direttore regionale Veneto, Friuli, Trentino-Alto Adige.

Martinoli
Dottor Lodesani cosa ne pensa dell’uso parziale e “sbocconcellato” delle conoscenze di strategia d’impresa, linguaggio che dovrebbe essere chiave nella relazione banca-impresa, e della mappa che abbiamo costruito per identificarle e posizionarle tra di loro?

Lodesani
Penso che l’imprenditore a volte tema la possibilità di esplicitare il suo pensiero in termini strategici. Proprio recentemente ho avuto l’occasione di incontrare due di loro. Il primo alla mia domanda di come vedeva la sua azienda da qui a tre anni mi ha risposto che il suo obiettivo era quello di farla sopravvivere senza di lui. Nessun accenno alla crescita o ad altri parametri economici. Il secondo mi ha raccontato l’azienda come “sogno”. Riferimenti alle conseguenze reali di questo manco a parlarne. Di fronte a questo ritengo che la “dichiarazione strategica” sia una delle risorse che più manca nel mondo finanziario e industriale.

Zanotti
Vorrei chiarire quello che mi sembra un equivoco molto diffuso. Si parla di strategia tout court. Ma occorre essere più precisi. Esiste il “fare strategia” che si concretizza in un business plan. Ed esiste quel corpo di conoscenze che viene definito “strategia d’impresa” che costituiscono gli “strumenti” per fare strategia.
Abbiamo condotto una ricerca sullo stato dell’arte delle conoscenze e delle metodologie di strategia d’impresa e le abbiamo ordinate in una mappa. Ragionando su questa mappa, innanzitutto abbiamo verificato che solo una piccola parte di esse viene usata nella prassi corrente del fare strategia. Non solo dagli imprenditori delle nostre PMI, ma anche dalle aziende più grandi, come dimostra una nostra ricerca sui Business Plan delle società del FTESE MIB 40 della Borsa italiana. E poi abbiamo verificato che le conoscenze e le metodologie di strategia d’impresa oggi disponibili sono necessarie, ma non sufficienti. Abbiamo allora cercato di colmare questo gap tra il necessario e il disponibile ed abbiamo sviluppato un modello ideale di Business Plan ed una metodologia di processo per utilizzarlo.

Lodesani
Quello che mi presentate è qualcosa di più articolato e con maggiore significato di ciò che comunemente si intende per “business plan”. Io lo chiamerei “piano strategico”.

Zanotti
Sono d’accordo, anche se ciò non toglie che questo tipo di strumento sia fondamentale per consentire all’imprenditore di esprimere la sua volontà strategica che troppo spesso, proprio per mancanza di linguaggio, non riesce ad esplicitare.

Lodesani
Certamente. Ma, credo, anche se forse questa mia convinzione le potrà sembrare paradossale, che le banche siano l’interlocutore meno adatto a recepire la vostra proposta che è un vero e proprio nuovo sistema di rating. Non perché non sia utile, ma perché la banca deve essere anche attenta alle indicazioni di Organi di Controllo e Vigilanza che la portano a ragionare su diversi assi, tra cui il capitale assorbito e di rischio. Credo che la vostra proposta dovrebbe essere presentata direttamente alle imprese. Più concretamente a Confindustria. So che sta lavorando ad un progetto simile di “rating d’impresa” da integrare a quello bancario per trovare una “mediazione” tra i due.

Martinoli
Non pensa però che il problema del dialogo con l’impresa sia legato più che a differenza di strumenti, a differenze nella visione del mondo? A me sembra che, mediamente, le banche abbiano una visione “classica” del mondo: il mondo esiste e ci si deve adattare. E l’imprenditore ne abbia, invece, una visione “quantistica”: il mondo è da costruire?


Lodesani
Sono d’accordo con lei sulla necessità di “costruire il mondo”: basta parlare di crisi, bisogna iniziare a costruire un nuovo sviluppo. E per costruire un nuovo sviluppo sono necessari nuovi paradigmi. Mi permetta di ricordare una mia esperienza passata nella quale a noi giovani bancari con l’ambizione di diventare banchieri venivano presentati proprio tutti quei nuovi paradigmi che hanno messo in discussione la visione classica del mondo. Solo per citarne uno: la teoria dei sistemi autopoietici di Maturana e Varela.

Martinoli
Un problema di cultura allora.

Lodesani
Penso proprio di sì ed è proprio questo però che fa la differenza, nelle aziende, tra un bravo manager e un grande manager. E in questo frangente penso che abbiamo bisogno soprattutto di questi ultimi.



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