"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

mercoledì 13 febbraio 2013

Quanto è strategico il “Piano Strategico per lo sviluppo del Turismo in Italia”?


di 
Cesare Sacerdoti
c.sacerdoti@cse-crescendo.com

Questa è la settimana del BIT (Borsa Internazionale del Turismo), tradizionale vetrina del prodotto Italia e delle destinazioni turistiche internazionali, ma anche momento di confronto dei player del settore. Leggendo il palinsesto degli eventi, la sensazione è che si voglia pensare al futuro e che ci sia un forte orientamento a riportare il turismo al centro del dibattito politico, come fattore di sviluppo e di crescita del Paese. Non a caso verrà presentato agli operatori del settore il Piano Strategico per lo sviluppo del turismo, Italia 2020, presentato il 18 gennaio scorso da Piero Gnudi, Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport.
Sono positivamente sorpreso dall'esistenza di un tale Piano Strategico: lo stesso Ministro, nelle premesse, sostiene che “Condizione indispensabile per un rilancio del settore è un radicale cambiamento nell’approccio ai problemi del turismo, che nessun Governo ha mai messo al centro della propria agenda” e che “Il turismo non è mai stato considerato come un investimento su cui puntare per lo sviluppo del Paese”. Inoltre, il Piano Strategico, redatto da una delle grandi società di consulenza internazionali - The Boston Consulting - promette di proporre “un’innovazione di metodo attraverso l’individuazione di una direzione chiara nella quale muoversi mediante un approccio coordinato tra tutti gli attori coinvolti”.
L’ottimismo con cui leggo il Piano Strategico, però lascia ben presto spazio a una serie di osservazioni: ne sintetizzo solo tre.


Innanzitutto l’oggetto del Piano Strategico: non si tratta della definizione di un modello di turismo innovativo, o almeno della definizione di un metodo per delineare le nuove prospettive del turismo in Italia. Non c’è un sogno. Non si vedono le basi per far diventare l’Italia una delle grandi mete del tempo libero di stranieri e di italiani (e già parlare di tempo libero anziché di turismo potrebbe costituire un cambio di ottica importante). E non ci si dovrebbe limitare al tempo libero: una volta conobbi un dentista nato in estremo oriente che decise di esercitare la propria professione in una nota località ligure per la bellezza del posto e per la qualità della vita. Allora forse il “turismo” potrebbe essere declinato anche in altre forme, quali, ad esempio, il periodo della terza età, o il periodo della formazione e dello studio, o altro ancora.
Invece il Piano Strategico proposto si limita a proporre una serie di azioni (61 raggruppate in 7 linee guida) per recuperare “competitività”. E, tra l’altro, una competitività nei confronti dei Paesi limitrofi, dimenticando che i flussi turistici del futuro potranno indirizzarsi (anche) verso altre aree geografiche e trascurando gli sforzi in corso in vari ambiti per affermare l’attrattività di macro-regioni (quali il Mediterraneo, l’Adriatico ecc.). Personalmente credo che, addirittura, si dovrebbe immaginare il turismo (progettarlo e proporlo) come momento di riscoperta di quella ecologia di civiltà che è il Mediterraneo, valorizzando il ruolo dell’Italia come polo aggregatore.
E poi il metodo: sia in termini di contenuto che di processo.
In termini di contenuto: mancano i pilastri fondamentali di un Piano Strategico. Solo per fare due esempi: manca la individuazione della struttura strategica del settore del turismo e manca la individuazione del posizionamento strategico. Sorprende che proprio il BCG che, per primo, ha immaginato il concetto di posizionamento strategico, differenziandolo da quello di posizionamento competitivo se ne sia dimenticato. E’ una dimenticanza grande perché a partire dal posizionamento competitivo non si può dedurre nulla sugli economics futuri che il settore produrrà. Per farlo, è necessario parlare di posizionamento strategico di ognuna delle “unità di business” che costituiscono la struttura strategica del settore.
In termini di processo: il Piano Strategico appare essere dirigistico e come tale inapplicabile. Basti pensare che una delle prime azioni proposte (la No 4) è quella della (ennesima) revisione dell’Art V della Costituzione “per ridare allo Stato il ruolo di propulsore del settore”, ponendo immediatamente le basi per una conflittualità verso le Regioni (che infatti, in un loro stringato documento del dicembre scorso, hanno, garbatamente ma lapidariamente, sostenuto l'inopportunità di rivedere l'attuale assetto delle competenze in materia). Quindi, contrariamente alle premesse di coinvolgere tutti gli attori del settore, il Piano Strategico viene realizzato dimenticando l’apporto delle Regioni. Ma è anche velleitario programmare che nascano spontaneamente “1 o 2 nuovi Grandi Poli Turistici nel Mezzogiorno” (No 31) perché “L’Italia non lancia un nuovo grande prodotto nel Turismo da 50 anni, al contrario di quanto hanno fatto o stanno facendo i competitor principali”.
E infine i risultati attesi: “Implementare le azioni permetterà di recuperare quota di mercato, portando il contributo del Turismo al PIL dai € 134 Miliardi del 2010 ai € 164 Miliardi nel 2020 e potrà creare ~500.000 nuovi posti di lavoro, identificati in termini prudenziali”. E’ anche questo un approccio tipico dei piani strategici delle aziende: parametri apparentemente logici, perché basati sull’esperienza del passato (è scritto nel Piano Strategico che si prevedono “16.000 posti di lavoro per ogni miliardo di Euro di PIL prodotto, in linea con i valori 2010” p.38). Ovviamente si parte dal presupposto che gli altri Paesi non reagiranno, non si doteranno di analoghe azioni per attirare i medesimi 30 miliardi di extra PIL ecc.
In sintesi quindi, a mio parere, il documento proposto dal Ministero (e realizzato dalle solite multinazionali della consulenza) non è un Piano Strategico: è un elenco di azioni, più o meno condivisibili, più o meno efficaci, ma destinato a dare frutti molto marginali. Un Piano Strategico, invece, dovrebbe generare un nuovo sogno seguendo il quale l’imprenditore italiano o l’investitore straniero generi nuove idee imprenditoriali. A quel punto, compito del Governo sarà quello di facilitare e di indirizzare le varie iniziative in un contesto coerente.
E’ anche questo uno dei motivi per cui in campagna elettorale non se ne parla? C’era chi diceva che il focus dell’agone politica avrebbe dovuto essere il lavoro e la creazione di nuovi posti di lavoro: ma se il turismo potenzialmente potrebbe creare 500 mila nuovi posti, perché nessuno ne parla?

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