"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

lunedì 25 marzo 2013

Marco Croci, un commento profondo sulla cultura cinese


Abbiamo ricevuto dal Dott. Marco Croci, che ringraziamo profondamente, un commento che per intensità, spunti di riflessione e approfondimento abbiamo deciso di pubblicare come post.

Il Dott. Marco Croci ha pubblicato nel 2011  il libro I Cinesi sono differenti nel quale racconta le esperienze vissute nei due anni trascorsi in Cina al fianco della compianta moglie, Maria Weber, che dal 2006 al 2008 è stata Direttore dell'Istituto Italiano di Cultura a Pechino.


Caro Cesare,
ho apprezzato molto il tuo articolo, lucido e sintetico come era logico aspettarsi da te. Grazie innanzitutto di avere portato alla mia conoscenza questi due libri (la mia ignoranza non ha limiti). Per quanto riguarda i temi evidenziati, condivido per intero l'analisi di Luttwack, anche se onestamente non sono all’altezza di poter valutare se le sue conclusioni sono corrette, e se le cose andranno a finire come lui sembra immaginare.

C’è una frase nel tuo articolo che rappresenta molto bene il fatto che la cultura cinese può essere interpretata in due modi opposti: <Se per Zhang Weiwei i mille stati in un’unica nazione (quelli da cui ha origine la Cina) sono un punto di forza su cui si basa la stabilità della Cina in quanto “presenta diversità culturali e etniche superiori a quelle della gran parte delle altre nazioni”, Luttwak sostiene che in realtà tutti quegli stati erano “operanti all'interno della stessa cornice di norme culturali, con obiettivi, priorità e valori simili: le relazioni erano intraculturali, facilitate e legate dall'uso di un'unica lingua, da una mentalità comune e da presupposti culturali condivisi”.>.  Avendo approfondito in molti modi la cultura cinese e avendo vissuto per due anni in Cina, concordo pienamente con Luttwack nel giudicare quelle relazioni come “intraculturali” e non come “interculturali”, vista la obiettiva scarsità di differenze culturali rilevanti e la mancanza di una significativa dialettica tra le parti.

Dissento dall’opinione espressa da Zhang Weiwei, che però non mi stupisce: gli intellettuali cinesi, anche i più colti e globalizzati, tendono ad essere culturalmente “miopi”. Considerano le culture altrui come discutibili varianti di una cultura “oggettivamente efficace” che naturalmente è quella cinese. Delle altre culture si dedicano a capire solo gli aspetti interpretabili in base ai parametri culturali cinesi tradizionali, mentre ne ignorano e ne fraintendendo gli aspetti che non capiscono, che sono spesso i più rilevanti.

Non avendo avuto sufficiente esperienza di "vere diversità culturali" e di "discontinuità storiche" (nè nelle vicende collettive degli ultimi 4000 anni, né nelle vicende personali dei singoli individui), gli intellettuali cinesi non riescono a capire che possano esistere culture realmente diverse dalla loro. Nel corso della sua storia, la Cina non ha sperimentato il manifestarsi di mutazioni culturali comparabili a quelle che hanno portato l'Occidente dalla cultura greca alla cultura romana, al Cristianesimo, al monachesimo medioevale e al Rinascimento. (Tra parentesi, quando penso al monachesimo Shaolin e persino alla maggior parte delle scuole Chan e Zen, mi viene da ridere per l’inconsistenza delle condizioni di base per un possibile confronto!). E poi, né Riforma né Controriforma, né Illuminismo né Encyclopedie, né scoperte scientifiche, né invenzioni industriali, né Rivoluzione Americana, né Rivoluzione Francese, né ... né ... e neppure le dimissioni di Papa Benedetto XVI, clamoroso esempio di “meta-apprendimento”.

L'etnia e la cultura Han hanno costruito il loro predominio in Asia sulla conquista e sulla eliminazione di tutte le altre etnie e le culture con cui gli Han sono venuti progressivamente in contatto nei millenni. Le hanno "assorbite" tramite una sistematica distruzione e ora i Cinesi sono Han al 92%, come se in Italia fossimo tutti Piemontesi al 92%, o Calabresi al 92%, o Umbri al 92%, e le altre culture locali fossero (come sono nella Cina attuale) degli episodi di folklore da vendere ai turisti gonzi.

Il tratto distintivo degli intellettuali cinesi è il loro essere nazionalisti, spesso in modo supponente. Che questo sia indizio di una reale auto-stima o che sia una reazione al sentirsi inferiori ad altre culture, non mi è dato capirlo. Ho notato che, nello sforzo di non dover ammettere l’esistenza di culture paragonabili alla cultura cinese, utilizzano il criterio della “durata nel tempo” per misurare la validità di una cultura: più antica è una cultura, più è valida, perché deve aver saputo superare le difficoltà restando se stessa. E così vincono sempre loro. Nella Cina attuale, la ricerca di siti archeologici sempre più antichi, per poter pre-datare il più possibile la nascita delle cultura cinese, è una vera e propria ossessione. Sperano di scavalcare gli Egizi.

Ti chiederai a questo punto (come me lo sono chiesto io) da che cosa deriva questo atteggiamento nei confronti del Tempo, questa ossessione della durata. 

La concezione del Tempo, in ogni cultura, è indissolubilmente legata alla particolare concezione della morte in quella cultura (e alla corrispondente concezione della vita, naturalmente). La mia opinione è che il punto profondissimo in cui le radici culturali dell'Occidente e della Cina non si toccano e sono addirittura antitetiche sta nella diversa concezione della morte. In Cina, quando nasci, sei nato; quando muori, sei morto. Il pensiero Cinese tradizionale tende a ignorare la questione di come l’Universo è comparso e di come scomparirà, o più in generale della sua finalità. L'Energia dell'Universo (il Qi) prima ti mette al mondo, poi ti macina e non lascia nulla di te: al massimo, resta il ricordo di te come di un antenato le cui azioni sono state socialmente utili alla comunità. In questa ottica, che una persona si dia da fare per esplorare molteplici diversità e le loro innumerevoli potenzialità è un’avventura intellettuale inutile, insensatamente individualista. La vera Via è una sola: sottomettersi al Qi (ovvero al pater familias, agli insegnanti, alla collettività, al governo, .........). Altro che assumersi la responsabilità di dare retta al Verbo ........ !

L'Occidente Cristiano è escatologico, concepisce una finalità della Storia e una fine del Tempo. Anche chi non crede in una finalità trascendente (penso ai neo-darwiniani) crede però almeno in una forza evolutiva, a partire da una "prima cellula" o addirittura da un "big bang". C’è sempre un punto fermo, nelle profondità del nostro pattern culturale Occidentale: può essere il termine ultimo della Storia, o invece il suo inizio, ma c’è. Un punto di riferimento che sembra non esistere (o non avere peso) nelle filosofie di vita dei cinesi.

Per concludere: ritengo che idee come quelle di Zhang Weiwei non siano in realtà il frutto di complesse elaborazioni intellettuali da adulti. Credo che derivino direttamente dal condizionamento esercitato dalle forme di socializzazione primaria in vigore nella cultura cinese, che determinano (come peraltro accade in ogni cultura) la "forma mentis" degli esseri umani fin dai primi anni di vita. La forma mentis coltivata nei bambini cinesi è autoreferenziale, infantilmente e cinicamente nazionalista (un po’ come negli Stati Uniti d’America), il che la predispone a diventare stereotipata e presuntuosa in età adulta. Credo proprio che l'imprinting culturale primario sia la forza più importante che agisce nella storia di ogni individuo – Konrad Lorenz ha molto da insegnarci ........

Marco Croci

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