"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

domenica 30 giugno 2013

La nostra manifattura è in affanno esistenziale

di
Francesco Zanotti

La tesi che voglio illustrare è che l’attuale sistema delle imprese è in affanno esistenziale. Sta perdendo inesorabilmente la sua funzione, sia esistenziale che funzionale. Le alternative sono: mantenerlo vivo artificialmente o attivare un processo di trasformazione profonda. Purtroppo oggi tutte le politiche che si stanno immaginando (ma non attuando) mirano a mantenerlo vivo artificialmente.
Ecco la tesi … prossimamente proverò a indicare cosa si può fare subito ed efficacemente sul breve.

Innanzitutto, nelle società avanzate, sta emergendo una nuova antropologia (il desiderio di una modalità di vita e di socialità diverse) che sta, sempre di più,  facendo perdere di significato, sia esistenziale che funzionale, ai prodotti attuali delle imprese manifatturiere. Il prototipo di questa perdita di significato e funzionalità è costituito proprio dall'autoNell'immaginario soprattutto delle nuove generazioni, non è certo lo strumento di auto-realizzazione (significato esistenziale) che aveva la 500 per la mia generazione. Di più: il tipo di auto che si produce ha ancora struttura e prestazioni (significato funzionale) che non sono adatte alle densità attuale di veicoli, alla struttura delle città, alle condizioni complessive del traffico. L’auto rimane mito, forse, nelle generazioni adulte, ma questo non basta a frenarne la perdita complessiva di significato e funzionalità.
La perdita di significato esistenziale e funzionale dell’auto si riproduce nella stessa perdita di significato di molti altri oggetti costruiti dalle attuali imprese manifatturiere.

mercoledì 26 giugno 2013

Saipem: ci voleva poco a prevederlo

di
Luciano Martinoli


Il 24 Aprile 2013 Saipem rilascia il suo piano strategico. Pochi giorni fa, ovvero dopo soli due mesi, all'annuncio del secondo profit warning, gli investitori fuggono dal titolo facendolo crollare del 29%.
Tra i due eventi il nostro Rating del business plan dell'azienda che evidenziava fin dall'inizio insufficiente descrizione del Posizionamento Strategico, dell'Algoritmo di previsione e conseguente poca fondatezza delle Previsioni Economico Finanziarie, giusto per citare le aree più carenti del piano. Nessuna critica di merito dunque, nè vanto di capacità divinatorie, semplicemente una evidenza di omissione di informazioni e/o loro livello qualitativo povero. Il Wall street Journal titola "la fiducia degli investitori non tornerà finchè non ci sarà la prova che il peggio è passato". Ma la prova che un "peggio" poteva accadere era nelle varie omissioni su temi chiavi di business. Sarebbe bastato osservare il nostro rating, disponibile su http://www.osservatoriobusinessplan.it/ per sentire puzza di bruciato e chiedere conto da subito del perchè di quelle omissioni, stimolare un dibattito sulle logiche poco rigorose, provocare una reazione costruttiva dell' l'azienda.

Noi continueremo a fornire stimoli e indicazioni in tal senso col il nostro Rating, giudicando in modo ancora più severo la scarsa completezza dei piani. Perchè riteniamo che il fornire questo stimolo sia un aiuto critico essenziale per lo sviluppo della singola azienda, quotata o meno, grande o piccola che sia, ma, ancor di più, l'unica strada per un nuovo sviluppo del nostro sistema industriale.  

giovedì 20 giugno 2013

"One Plan", altro che "One Report"!

di
Luciano Martinoli

E' disponibile in rete un articolo dal titolo "One Report. Obiettivo "Unico Bilancio" che narri e combini le informazioni finanziarie con quelle non finanziarie". E' una recensione del libro di Eccles e Krzus sulla necessità di dare una vista unica dell'azienda, allargata rispetto alle consuete informazioni economiche e finanziarie e non spezzettate in vari documenti, tipicamente bilancio e rapporto sulla sostenibilità. 
La strada per creare questo mitico One Report, a mio giudizio, non è quella di combinare ciò che è economico con quello che non lo è, come suggerisce l'autore. La via maestra è quella di includere tutte le dimensioni non economiche nella strategia dell'impresa utilizzando un linguaggio progettuale che ne consenta l'adeguata rappresentazione e trattamento, come abbiamo fatto nel modello che usiamo, tra l'altro, per effettuare il Rating del Business Plan.
Si tratta insomma di superare un artificiale spezzettamento nato in USA per meglio rappresentare la grande impresa industriale dell'epoca, anni '60, in un periodo dove era prevalente l'attenzione sulle dimensioni economico-finanziarie.
Come fare?

lunedì 17 giugno 2013

Un commento sui "presidenti" di Assolombarda

Riceviamo dal Dott. Stefano Pollini, e con piacere pubblichiamo, un commento al post Il nuovo presidente Assolombarda... dell' universo parallelo.

Dire che il mio voto andrebbe all'universo parallelo è scontato.
Anche scontato è dire che il voto sarebbe finalmente pienamente convinto.

Quello che mi chiedo è perché nessuno, nessuno dei politici, industriali, sindacalisti o altri... in nessuna trasmissione faccia mai una riflessione del genere che è quasi ovvia (senza nulla togliere alla vostra profondità di pensiero).
Ovvio in particolare il tema della crescita e della società industriale che non può crescere in modo infinito (in mondo di risorse finite).
La crescita è una metafora presa a prestito dal mondo naturale e non c'è nulla che cresca di continuo. Le piante e gli animali crescono velocemente all'inizio e poi si stabilizzano cercando un nuovo ordine. Guai se crescessero di continuo.
Questo fatto banale però non viene mai affrontato. Come mai? Quali sono le buone ragioni del presidente di Assolombarda reale?
Qui faccio fatica a rispondere. Forse è troppo duro questo salto? Forse è questione di paura?  
Di abbandonare tutto quello che si è fatto fino adesso?
A me sembra che la questione profonda - o una delle questioni - sia legata al senso del lavoro. Io partirei da qui.
La riflessione sull'Ilva mi ha lasciato sconcertato per esempio. Finalmente dopo anni di inattività si fa qualcosa e si critica quello che si è fatto? Ma i temi ambientali, il futuro, sono problemi solo a parole? Si dice che bisogna  riscoprire l'etica e la passione del lavoro: e anche questa è etica.
Si dice che bisogna valorizzare il rispetto delle regole e poi si dice che le regole barocche sono le vere nemiche della legalità. Le regole non si possono rispettare sono quando fanno piacere. Uno può lavorare per cambiarle ma fino a che ci sono le rispetto (Socrate docet).
Anche in questo breve brano ci sono quindi una serie di contraddizioni stridenti (in quello Assolombarda reale).
Imbarazzante anche il fatto che prima si dice che si parte da noi e poi si indicano le cose che devono fare gli altri.

Per fortuna poi ci sono tante aziende reali che invece lavorano davvero bene, innovano, riflettono, si aggiornano, investono in conoscenza e nonostante la crisi e il governo funzionano bene e assumono. Questo mi fa per fortuna avere un minimo di speranza nel futuro.

Oltre al fatto che ci sono anche tante persone come voi che riflettono su questi temi e magari qualcosa si riesca a cambiare.


Un abbraccio e buon lavoro

venerdì 14 giugno 2013

Il nuovo presidente Assolombarda... dell' universo parallelo

di
Luciano Martinoli



Esiste un universo parallelo!
Ha geografie, tempi, luoghi analoghi ai nostri. I suoi abitanti però hanno deciso di percorrere direzioni diverse, totalmente nuove rispetto alle nostre. Possibili ispiratori di nostri cammini originali? Forse.
Nel frattempo sono entrato in contatto con un corrispondente di questo universo il quale mi ha messo al corrente che anche nella loro Lombardia esiste l'Assolombarda. Anche loro hanno eletto di recente, come noi, il loro presidente il quale, come il nostro, ha fatto un discorso.
Eccolo

martedì 11 giugno 2013

Macchinari, Rating Business Plan e conoscenza

di
Francesco Zanotti

Leggo sul Sole di oggi a firma di Carmine Fotina un articolo che descrive le proposte del Ministro Zanonato. E il titolo completo è: Macchinari, infrastrutture e credito.
Ora non dico che sono cose che non servono. Ma …
Seguite il ragionamento… Siamo di fronte a una crisi epocale dalla quale si esce sono riprogettando imprese e società. Non usciremo dalla crisi facendo funzionare meglio queste imprese e questa società.
Se questo è vero, allora le misure proposte dal Ministro Zanonato sono forse utili, ma per conservare imprese e società esistenti.
Servirebbe un grande salto progettuale, autonomo delle imprese.
Bene, ma come siamo a progettualità? Abbiamo provato ad esaminare la qualità della progettualità strategica delle società quotate in borsa (indici FTSE MIB e STAR) e costruito  un Rating dei Business Plan.
I risultati sono stati i seguenti. Delle 40 Società dell’indice FTSE MIB solo 26 hanno reso disponibile un business Plan. In una scala da 1 a 100, il Rating medio è stato di 56. Delle 69 società dell’indice STAR solo 9 hanno presentato un Business Plan. E, sulla stessa scala da 1 a 100, il voto medio è stato 47.
A progettualità strategica andiamo … ecco decida il lettore.
Presenteremo il nostro Rapporto 2013 sul Rating dei Business Plan delle società degli indici FTSE MIB e STAR il 19 Giugno al Palazzo dei Giureconsulti a Milano (vedere anche il nostro osservatorio permanente  http://www.osservatoriobusinessplan.it/ e le anticipazioni su "Milano Finanza").
Ma che c’entra la conoscenza? C’entra perché è il motore della progettualità. Le Società (le imprese) hanno scarsa progettualità perché usano conoscenze di progettazione strategica limitate. Fornite loro conoscenze strategiche avanzate e la loro progettualità strategica farà immediatamente un rilevante salto di qualità.
Poi parleremo di macchinari, infrastrutture e credito.
Ma saranno probabilmente molto diversi da quelli a cui pensiamo oggi.

sabato 8 giugno 2013

Giovani imprenditori che dicono le stesse cose dei vecchi …

di
Francesco Zanotti



Ho letto dell’intervento di Jacopo Morelli a Santa Margherita. Giovane brillante, ma che dice le stesse cose dei vecchi: tocca al Governo. Slogan altrettanto brillante “scateniamoci”, ma le cose su cui ci si deve scatenare sono sostanzialmente cercare di svegliare la politica.
Se leggete la sintesi che fa il Sole nel box “I Punti programmatici” trovate: Governo, fisco, legge elettorale.
Le stesse cose che ripete una classe dirigente oramai bolsa.
Oggi su Milano Finanza è uscito un articolo (pag. 24) Ma la strategia dov'è? a firma Stefania Peveraro su un nostro Rapporto dove sono presentati i Rating che abbiamo assegnato ai Business Plan delle Società degli indici FTSE e STAR della borsa italiana. Questi Rating sono la vera misura dello scatenarsi. E il risultato è uno scatenarsi … povero. Soprattutto sembra povero lo scatenarsi delle STAR. Poco più del 10% di esse rende disponibile un Business Plan.
Si tratta di cattiva volontà, di scarsa imprenditorialità? No! Io credo che la voglia di scatenarsi sia in tutti. Ma se non si cambiano gli occhiali ed i linguaggi con i quali si guarda e si parla del mondo, lo scatenarsi sarà solo un velleitario chiedere aiuto sempre più forte allo Stato. Minacciando anche il possibile accadere di una rivoluzione sociale.
Invece di paventare una rivoluziona sociale, attuiamo una rivoluzione della conoscenza.
Io sono certo che, se alle Società che hanno presentano Business Plan poveri o non ne hanno presentato alcuno, si fornissero conoscenze e metodologie avanzate di strategia d’impresa vi sarebbe uno scatenarsi progettuale. E non uno scatenarsi che finisce in un piagnisteo.


mercoledì 5 giugno 2013

Valorizzare le risorse umane e meritocrazia: che c’è oltre a retorica stantia?

di
Francesco Zanotti



Sul Corriere di qualche giorno fa ho letto un articolo di Roger Abravanel dal titolo Il fattore umano vitale per l’impresa.
Titolo incontestabile, ma guardando dentro l’articolo, non si può non osservare che …
Innanzitutto la stessa espressione: “Valorizzare le risorse umane”. Ma cosa significa operativamente?
Per quanto ne so, esplorando lo spettro delle scienze naturali (dalla fisica alle neuroscienze che, oggi, sembrano collegatissime), umane (psicologia in tutte le sue espressioni), e sociali (esempio, la teoria di Luhmann che è erede della visione complessiva della società di Parsons), non si trova nessun contributo alla precisazione operativa di questa espressione.
Credo che l’alternativa sia secca: o spieghiamo in un modo scientificamente accettabile cosa significa o la piantiamo di usarla.
Poi, la via della meritocrazia. E’ una delle illusioni (o imbrogli) più terribili. La ricerca che cita Abravanel a supporto dell’esigenza di aumentare la meritocrazia è scientificamente risibile (forse pubblicitaria?). Che cosa volete che significhi che qualcuno dichiari che non viene valorizzato dall'impresa? Chi non conosce che le ragioni possono essere mille? E che il concetto stesso di “essere valorizzato” non è univoco?
Al di là della “imprecisione” della ricerca citata, è il tema stesso del valutare il merito che non ha nessun senso scientifico. Non posso certo esplicitare qui da dove origino questa convinzione, perché sono troppe le evidenze scientifiche che stanno a suo supporto. Accetto ovviamente una “sfida” a voler rendere ragione in pubblico di queste mie convinzioni in un contraddittorio (che mi sembrerebbe doveroso) con tutti coloro che auspicano la “valorizzazione delle risorse umane” e la meritocrazia. Mi sembra doveroso per un giusto rispetto alla scienza e alla conoscenza. Non credo che snobbando quasi tutta la conoscenza esistente si possa costruire lo sviluppo di questo Paese.
Certo non voglio dire che le risorse umane non siano importanti. Lo sono perché svolgono un ruolo progettuale, fino ad oggi non riconosciuto. Cosa vuol dire questo? Lo abbiamo spiegato alla noia in questo blog.
Concludo, anche l’ultimo passaggio del discorso di Abravanel non mi convince. Intendo la sparata contro le imprese familiari. Primo perché c’entra poco con valorizzazione delle risorse umane e la meritocrazia. E, poi, perché rappresenta il cavallo di battaglia di una cultura strategica arci superata. Basta leggere frequentemente lo Strategic Management Journal per accorgersene.

domenica 2 giugno 2013

Tra sessantatre anni …

di
Francesco Zanotti

La CGIL ha presentato uno studio che dovrebbe far pensare tutti in mille direzioni.
E’ uno studio del tipo “wath if”. E’ una simulazione, non una previsione.
Lascio perdere i dettagli che possono anche essere criticati. Lascio perdere la dimensione “apologetica” un po’ povera perché serve a “vendere” il Piano lavoro della CGIL.
Ma mi tengo quello che secondo me è il messaggio fondamentale: se vengono attuate le cose che oggi si ritengono importanti, se si ottengono i risultati che si pensa si possano ottenere … La conclusione è che ci metteremo 63 anni ad uscire dalla crisi.
Due dettagli.
 “Se si intercettasse quella ripresa prevista per il 2014 ci vorrebbero 13 anni per tornare al PIL del 2007 e ben 63 anni per recuperare l’occupazione persa in questi anni …”.
Bene, allora non si può non concludere una cosa: il problema non è di riuscire a fare le cose che oggi non si riescono a fare. Il problema è che le cose che si vogliono fare non servono a niente.
Occorre guardare da un’altra parte … Propongo al lettore di andare a dare una occhiata ai miei commenti alle “Considerazioni finali” del Governatore Visco. http://balbettantipoietici.blogspot.it/

Sostengo che le parole del Governatore siano una sintesi (anche abbastanza superficiale) delle cose che si ritengono importanti oggi.  Provo ad indicare una via diversa (anche da quella proposta dalla CGIL): Mente e Natura.