"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

martedì 30 luglio 2013

Ho già dato, adesso lasciatemi lavorare!

di
Luciano Martinoli


Sono sempre più frequenti gli annunci di pubblicazione dei bilanci di sostenibilità da parte delle grandi aziende.
Recentemente quello di A2A, qualche mese fa Terna.
Tutto bene, bravi, ma...
E' sorprendente che tali piani siano sempre rilasciati in momenti, e temo anche interlocutori, diversi da quelli economici. E viceversa.
Chi assiste a tali presentazioni sui bilanci di sostenibilità è invitato, e assiste (o si interessa), ai risultati economici dell'azienda? Si preoccupa di conoscere con quali soldi tale sostenibilità sarà "sostenuta" (o se tale sostenibilità produrrà risultati economici)? 
Qualcuno di questi signori è interessato, nel caso di A2A, che gli investimenti di 1,2 miliardi di euro, pur comunicati anche nel piano economico finanziario, produrranno ritorni economici?

E gli investitori istituzionali, o anche i semplici stakeholder, obbligazionisti e tutti coloro interessati alle attività economiche dell'azienda, presenziano tali eventi sul bilancio della sostenibilità? Sono interessati a come i loro soldi vengono impiegati? In che modo "sostenibile" producono, o non producono per colpa della "sostenibilità", quelle prestazioni economiche che si aspettano?

venerdì 26 luglio 2013

L’Inter e nuovi modelli di impresa

di
Cesare Sacerdoti


Da interista convinto leggo l’articolo di Mario Sconcerti sul Corriere della Sera di oggi Ma chi compra conquisterà gli interisti? dice Sconcerti: “il calcio è una religione l’Inter una grande fede [… ] Una religione non è un marchio, è un esercito sconfinato di persone fedeli a quell’idea, comunque vada. E un popolo che pretende un dialogo continuo, quasi fisico con il suo imprenditore. Vuole contare. […]”.
Sconcerti sostiene che “[…] Nessun’altra industria al mondo ha questa esigenza, questa <<scomodità>>.”. Ma forse è proprio questa la ragione per cui le nostre grandi imprese (e non intendo solamente quelle italiane, ma le grandi imprese del nostro tempo) stanno perdendo in significato e sono costrette a ricorrere alla religione della “competitività”. Quale grande impresa oggi si accorge che i consumatori, i dipendenti, i fornitori ecc. sono persone o aggregati di persone (sistemi umani) con i propri specifici sentimenti, con le proprie fedi, con le proprie specifiche risorse cognitive, con il proprio specifico passato.

Forse allora l’Inter e le grandi società di calcio (ma anche di altri sport) hanno qualcosa da insegnare all'industria e alla grande impresa? Forse allora quella che Sconcerti sottolinea come “la possibilità – degli interisti - di essere tifosi e non solo clienti, partecipanti e non solo ascoltatori” può divenire il modello di una nuova imprenditorialità?

giovedì 25 luglio 2013

Manifesto degli economisti sgomenti. Ovvero: la conoscenza non conta nulla

di
Francesco Zanotti

E’ uscito in Francia nel 2010. E’ stato firmato da più di settecento economisti.
Sostengono che:
non è vero che i mercati finanziari sono efficienti
 non è vero che i mercati finanziari favoriscono la crescita economica
non è vero che valutano correttamente la solvibilità degli Stati
non è vero che l’aumento del debito pubblico è frutto di una spesa eccessiva
non è vero che è necessario tagliare la spesa pubblica per ridurre il debito
non è vero che il debito pubblico scarica il peso dei nostri eccessi sui nostri nipoti
non è vero che bisogna rassicurare i mercati finanziari per finanziare il debito pubblico
non è vero che l’Unione Europea difende il modello sociale europeo  
non è vero che l’euro è uno scudo contro la crisi
non è vero che la crisi greca ha portato a un più forte governo dell’economia europea

Naturalmente, oltre alle critiche, il manifesto contiene anche proposte.
Ora non è detto che occorra prendere per oro colato quello che dicono. Ma certamente è scandaloso che di queste tesi neanche se ne parli. Da Draghi a Letta, a Saccomanni, a tutti coloro che appoggiano l’attuale Governo fondano, tranquillamente, anzi con enfasi ed afflati etici, la loro azione sul considerare vere le cose che questi settecento “sgomenti” sostengono essere false.

Come si fa a non chiedersi: cui prodest?

lunedì 22 luglio 2013

Detroit e Patrizia Toia

di
Francesco Zanotti


Ho davanti agli occhi la descrizione della situazione di Detroit che Massimo Gaggi fa sul Corriere del 20 Luglio. Come vedere un futuro disastroso, ma possibile, crescere intorno a noi.
Come evitarlo?
Andiamo a leggere l’articolo, per altro pieno di passione, di Patrizia Toia sul Sole 24Ore dello stesso giorno: ci si rende conto di quando siamo lontano dal fare qualcosa per evitare lo spettro di Detroit.
Voglio dire: la Nostra propone tutte le idee più di moda … Ed è questo che preoccupa: sono idee certamente utili, ma non colgono in nessun modo la sfida fondamentale.
In sintesi non è sfida tecnologica, finanziaria o normativa. E’ una sfida cognitiva che nessuno vuole anche solo riconoscere. Se non si vince la sfida cognitiva, è come se … mi si permetta di farlo con una storiella.

Un romanzo breve di fantascienza, del quale non ricordo l’Autore, racconta di una tribù umana, non si capisce bene se di un lontano passato o di un altrettanto lontano futuro, che si trova a combattere contro l’avanzata dei ghiacci.  La loro strategia è la fuga verso sud. Appena sulle montagne che chiudono a nord le valli in cui di anno in anno provvisoriamente vivono appaiono i ghiacci che le copriranno inesorabilmente, le abbandonano e migrano verso sud. Da anni questo è il loro destino: fuggire da primavere che non riescono più a sciogliere gli inverni. Fino a che arrivano all'ultima valle. La valle nella quale i ghiacci appaiono anche sui monti che la delimitano a sud. Chiudendo ogni speranza che esista un sud dove il ghiaccio non è ancora arrivato e dove la primavera vince ancora l’inverno.
Oggi ci sentiamo tutti in quella valle, orfani della possibilità di fuggire più a sud.

Continuo la storia a modo mio … I capi e gli stregoni di quella popolazione cercarono tutti gli strumenti possibili per combattere il freddo che stava per attagliare inesorabilmente quella valle. Ma il freddo sembrava più forte di loro.
Fino a che … Il solito giovane che sa gridare “Il re è nudo” rivelò il problema: ma perché guardiamo solo la terra? Proviamo guardare verso l’alto. Così facendo scoprirono una realtà incredibile: un universo infinito dove miriadi di pianeti che ospitano infinite primavere. Per non soccombere in valli dove i ghiacci della crisi congelano ogni sviluppo, dobbiamo immaginare nuovi mondi.
Anche noi dobbiamo guardare da altre parti.
La terra che ci sta uccidendo di freddo è una visione banale del fare impresa che spinge ad una progettualità altrettanto banale: si cerca solo di competere sulle cose che si fanno oggi. O su piccoli miglioramenti tecnologici e funzionali. O sulla speranza di trovare altrove clienti che in patria non si trovano più.
Occorre ripensare a cosa si produce e come lo si produce. Lo si può fare solo usando nuove risorse cognitive: le conoscenze e le metodologie di strategia d’impresa. Sono i telescopi dentro il quale gli aristotelici dell’economia si rifiutano di guardare, ma che ci possono fare vedere nuovi mondi.


lunedì 15 luglio 2013

Finanza o conoscenza?

di
Francesco Zanotti


Tutti parlano di come far arrivare risorse finanziarie alle Imprese. Intendendo le famose PMI.
E se fosse un obiettivo fuorviante?
Innanzitutto vi è dietro l’ipotesi che si tratti di finanziamenti di sopravvivenza o finalizzati a generiche innovazioni tecnologiche o internazionalizzazioni da venditori di spazzole. Con tutto il rispetto per i venditori di spazzole, se queste sono belle ... Ma per funzionare questo tipo di finanziamenti deve continuare all’infinito perché il nostro sistema di PMI (salvo eccezioni) non produce qualcosa che ha una sua autonomia di mercato.
Cosa servirebbe? Banalmente conoscenze  e metodologie di strategia d’impresa.
Praticamente. Se date una occhiata ai Business Plan delle imprese quotate scoprire che sono banali budget di continuità. Come se fossero budget di Istituzioni. Perché chi le dirige è incapace? No, certo. Perché usa, per progettare il futuro strategico dell’impresa, schemi cognitivi poveri. Generando progetti di banale continuità.
La soluzione alla crisi sta nel fornire schemi cognitivi più ricchi alle grandi imprese, banche etc.. In questo modo potranno avviare processi di sviluppo realmente innovativi che creeranno un Business Ecosystem all'interno del quale si potranno sviluppare popolazioni di PMI.

Oppure, fornire le stesse conoscenze a reti di PMI che non potranno mai funzionare senza nuovi schemi cognitivi comuni che le guidino non a cercare di fare meglio quello che hanno sempre fatto. Ma a cambiare il mondo.

martedì 9 luglio 2013

Sbloccare … ma cosa?

di
Francesco Zanotti


Oggi tutti parlano di sbloccare … E vi sono certamente sblocchi utili: ad esempio dei pagamenti della PA alle imprese. Squinzi parla di uno status quo complessivo da sbloccare …
Ma nessuno parla della vera origine del blocco che stiamo vivendo: il blocco delle risorse cognitive. Stiamo usando risorse cognitive (modi di pensare, modelli, metafore) che impediscono un vero rinascimento imprenditoriale complessivo e, anche, ma non solo industriale.
Lo sblocco delle risorse cognitive in uso è il vero sblocco da fare.
Un esempio di nuova risorsa cognitiva che sarebbe decisiva. Se andate a leggere il  nostro Rapporto sui Rating di Business Plan delle società quotate alla Borsa Italiana e inserite negli indici FTSE MIB e STAR, vedete che essi sono poveri perché usano un modello di Business Plan povero. Date alle imprese un modello di Business Plan più ricco e vedrete rifiorire la capacità progettuale. Per permetter ad ogni attore umano (personale o organizzativo che sia) una progettualità più intensa è necessario fornirgli un linguaggio più intenso. Per migliore la progettualità imprenditoriale è necessario fornire un linguaggio strategico più intenso: un modello di Business Plan molto più ricco di quelli in uso ed una nuova metodologia per usarlo.
Questo ovviamente se una nuova progettualità imprenditoriale interessa a qualcuno.
Perché io credo che l’unica e vera cosa che interessa ad una classe dirigente sia quella di conservare (e non cambiare) le risorse cognitive in uso. Se esse cambiano, una classe dirigente si sente persa, delegittimata. Poi, se le risorse cognitive in uso portano a formulare progetti conservativi per le imprese, e quindi, a difendere lo status quo imprenditoriale, manco se ne accorgono.


venerdì 5 luglio 2013

Che tipo di "Business" vogliamo fare?

di
Luciano Martinoli

Sul Sole24ore è stato pubblicato un articolo sulle borse "più forti" dall'inizio dell'anno. Sono tutte piazze minori dove, come giustamente sottolinea l'autore dell'articolo, si sono concentrate le attenzioni degli speculatori. In ogni caso chi ha investito in quelle borse ha fatto del "business", come comunemente si usa dire, e ha portato a casa bei guadagni rispetto agli asfittici listini del vecchio continente e del Nord America.

La Banca Mondiale sin dal 2002 ha lanciato l'iniziativa "Doing Business" che misura alcuni parametri facilitatori del business: accesso al credito, permessi per costruire, tempi per risolvere una controversia, ecc.
Ho confrontato allora la classifica pubblicata dal Sole24ore, in realtà stilata da Bloomberg, e la posizione degli stessi paesi nella classifica DoingBusiness.
Ecco il risultato

giovedì 4 luglio 2013

Quale è la voglia di futuro delle imprese italiane?

di
Luciano Martinoli



Più generalmente, quale è la voglia di futuro delle classi dirigenti della società italiana? Dal nostro secondo Rapporto sul "Rating dei Business Plan" delle aziende FTSE MIB e STAR, il risultante più appariscente è che appare poca voglia di futuro e molta voglia che qualcun altro generi una ripresa che possa conservare il passato. Salvo qualche importante eccezione.
Noi crediamo che questa poca voglia di futuro sia la causa profonda della crisi che stiamo vivendo.
Abbiamo sviluppato ed applicato una metodologia di Rating dei Business Plan che ci ha rivelato questa situazione e che fornisce gli strumenti per costruire, come è indispensabile fare, una nuova voglia di futuro. 

Un futuro da costruire, diversissimo dal passato.
Oggi tutti invocano la crescita. E si riferiscono a quella del sistema industriale attuale; ma questo è impossibile, soprattutto in Italia.
Dobbiamo riconoscere, infatti, che la vera e propria ecologia di crisi che ci sta soffocando nasce dal fatto che l’attuale sistema economico-finanziario, e la società che lo ospita e lo sostiene, la società industriale, stanno perdendo di significato e di funzionalità. La crisi finanziaria è solo una manifestazione di questa complessiva ecologia di crisi anche se, ovviamente, ha contribuito a complicarla.

mercoledì 3 luglio 2013

Che ne sa De Gennaro?

di
Francesco Zanotti


Ovviamente il riferimento è a Finmeccanica. Sembra che, alla fine, si nominerà Presidente il Prefetto De Gennaro. L’alternativa era un Ambasciatore, a quanto dicono i giornali.
Ma la mia domanda è: che ne sa De Gennaro della scienza della strategia d’impresa? E che è la “scienza della strategia d’impresa”? E’ l’insieme di conoscenze che servono a definire progetti d’impresa. I progetti d’impresa sono tanto migliori quanto più è profonda la conoscenza di questa scienza in chi li redige.

La risposta è che presumibilmente, il Prefetto De Gennaro non ne sa nulla. Ma non è neanche importante che ne sappia. Finmeccanica è una istituzione che deve solo essere gestita correttamente (il Prefetto) e intrattenere le relazioni giuste (l’Ambasciatore). Peccato, però, che Finmeccanica non sia una istituzione. Ma una impresa che deve costruirsi un futuro ed abbia bisogno di un Progetto d’impresa alto e forte. Che senza la scienza della strategia d’impresa non si può sviluppare.