"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

venerdì 20 settembre 2013

Rating Bancario e "Notte dell'Imprenditorialità"

di
Luciano Martinoli


Il Sole 24 Ore di oggi riporta un articolo sul declassamento del rating, l’ennesimo, di alcune banche italiane da parte delle agenzie di rating. Questa volta è il turno della Popolare di Milano e di Carige.
Quali sono i criteri, almeno relativi alle ultime due “vittime”, con i quali si è proceduto a questo giudizio negativo? Parrebbe, a detta degli autori dell’articolo, semplicemente singoli eventi. Sarebbe certamente interessante saperne di più, ma non è dato conoscere se questa lacuna informativa sia dovuta alle agenzie, che non motivano nel dettaglio le loro decisioni, o della stampa, che non le riporta.
In ogni caso ce ne è a sufficienza per porsi una domanda di fondo: quali sono i convincimenti di base delle agenzie di rating rispetto ai quali elaborano i criteri di giudizio? 
Detto in altri termini: quale è la loro visione del mondo?

Azzardo una risposta, che poi tanto azzardata non è: secondo i signori delle agenzie il futuro delle banche, ma forse di tutte le aziende così come anche del sistema economico nel suo insieme, è GIA’ SCRITTO.  Per loro esiste un binario da percorrere, il cui contorno è chiarissimo, che è l’unico che porta al futuro gravido di sorti magnifiche e progressive e allo sviluppo e il benessere dell’umanità.
Uscire da tali binari significa cadere inesorabilmente in disgrazia, nel territorio dell’incertezza, e quindi della certa rovina. Figuriamoci immaginare di posare binari in direzioni diverse: esercizio futile da lasciare ad avventati e sprovveduti!
Considerato poi il credito che godono le agenzie di rating, mi sento di affermare, con ragionevole certezza di non essere smentito, che questo è il pensiero comune, oserei dire la fede, della stragrande maggioranza delle classi dirigenti mondiali.

Dunque le banche come istituzioni, il cui corso è rigidamente definito e la cui misura di “istituzionalità” è nel giudizio di rating inteso come distanza all’interno dei binari: quanto più ci si avvicina ad essi, per assetto generale e per singoli eventi giudicati come “sbandamento”, tanto più alto è il rischio di deragliare. Da qui il rating basso. 
Ma se la banca è una azienda, come amano spesso dichiarare banchieri e bancari, quale è lo spazio per la sua imprenditorialità? Come si “misura” questa presunta imprenditorialità e la sua qualità (e dunque anche la probabilità che si realizzi)?
Non certo con i rating delle agenzie che, al contrario, misurano evidentemente l’istituzionalità di una banca. 
Per chi ci segue sa che abbiamo predisposto una tale misura in termini di “Rating” del documento principe che descrive il processo della voglia e capacità di “futuro” di una banca (ovvero di una qualsivoglia azienda): il suo piano industriale.
Purtroppo quello che ne è venuto fuori, dalle banche che hanno pubblicato i loro piani, è la misura della loro voglia di considerarsi istituzioni non imprese.
Ecco dunque l’evidenza della notte dell’imprenditorialità: agenzie di rating che misurano l’istituzionalità delle banche, istituzioni centrali, la BCE, che prendono decisioni in base a tali misure, ma anche un governo di aziende(?) bancarie (il loro management) incapaci di una progettazione imprenditoriale coraggiosa, di sviluppo, che crei nuovi mondi come sempre fanno coloro che fanno le… Imprese, siano esse la scoperta dell’America o l’invenzione dell’Iphone. 

Quando un’azienda, nella sua ineludibile evoluzione, pensa di essere diventata una istituzione, sarà sempre meno riconosciuta utile dal contesto che pure ha provveduto a generare e, dunque, scomparirà. L’unico modo che ha per sopravvivere è la sua riprogettazione e, con essa, la creazione di nuovi contesti. E’ il destino, duro e faticoso ma anche pieno di soddisfazione e di successi, di ogni impresa. Non da oggi le banche, ma non solo loro, hanno rinunciato a perpetuare questo doveroso sforzo che non è scevro di rischi e fatiche ma che è l’unico che possa evitare la morte, per istituzionalità, delle loro aziende. 

Perché allora lamentarsi di una crisi che non ci è piovuta addosso per capricci del fato ma per svogliatezza e pigrizia (forse anche codardia?) nel rimboccarsi di continuo le maniche e accettare la fatica dell’impegno costante di costruire incessantemente nuovi futuri, piccoli o grandi che siano?

1 commento:

  1. Ben detto Luciano.
    Credo che questo accada perchè l'audience tipica di tali agenzie è abituata a occhiali che mettono a fuoco e misurano le banche come istituzioni.
    Il potenziale di progettualità delle banche (es. sfruttamento di device mobili e di social network per i nuovi clienti, dotati di iphone) lo leggono in pochi su powerpoint temporaneamente segreti.. Varato l'inizio del progetto allora il tam tam si propaga e si sa che nella tal banca stanno lanciando un programma o un progetto per ...

    Progetto nel quale c'è chi crede e c'è chi non crede, al di là del fatto che per quanto riguarda i tempi bisogna raddoppiare e aggiungere un pezzo al primo masterplan oppure il promo go live, se puntuale, riguarda l'inevitabile "quick win", overo un sottoinsieme piccolo a piacere della promessa/missione iniziale.

    Come nella realizzazione di nuovi ospedali, solitamente trascorsi gli anni che si pensava fossero necessari per aprirlo, ci sono i muri e neanche gli impianti.

    Difficile per imprenditori e venture capitalist capire cosa e quanto di credibile ci sia sotto ad un transformation plan, ma questo è il gioco.

    Certo il bilancio consolidato, lo stao patrimoniale non fanno intuire niente del futuro di una banca, se non la massa critica, ad oggi.

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