"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

mercoledì 27 novembre 2013

I "Minibond": tra occasione strategica e banalizzazione finanziaria

di
Luciano Martinoli


I "Minibond" sono obbligazioni (titoli di debito) che, grazie alla disciplina della legge 134 del 2012, anche le aziende piccole  e medie, e non quotate in borsa, possono emettere. Per una descrizione più dettagliata ci si può riferire ai numerosi articoli che appaiono ormai quasi quotidianamente anche in rete.
Come tutti gli strumenti il minibond si presta sia a banalizzazioni, e pericolosi usi impropri, che a realizzare importanti opportunità. Purtroppo tutta la stampa, e anche molti operatori (banche, investitori e aziende), si sono appiattiti sull'interpretazione più semplice: un altro modo di accedere a finanziamenti erogati da soggetti non bancari.
Non è proprio così, o almeno non dovrebbe, e vediamo perchè.

domenica 24 novembre 2013

La conservazione impossibile e la conoscenza necessaria

di
Francesco Zanotti


Oggi sul Sole 24 Ore il Direttore chiede al Presidente del Consiglio di cambiare radicalmente la legge di stabilità. Ma in che direzione? Cercare di ridurre le tasse (il cuneo fiscale) per rilanciare l’economia.
Purtroppo si tratta di un tremendo errore di prospettiva.
Lo è anche tecnicamente perché non si riuscirebbe a ridurre il cuneo fiscale in misura sufficiente per rendere rilevantemente competitivi i prezzi dei nostri prodotti. Perché ovviamente, il riferimento è alla competizione di prezzo. Una sola osservazione: a troppe PMI, abituate ad essere terziste di un unico cliente, nessuna riduzione del carico fiscale  permetterebbe di sopravvivere.
E’ un errore “sistemicamente” perché non vi è alcuna possibilità che riprenda questa economia nella misura che ci serve per riprendere lo sviluppo della qualità della vita. Nessuna riduzione di nessun cuneo fiscale genererà ripresa, occupazione. E da ultimo, ma non per importanza, servirà ad invertire la drammatica trasformazione dei crediti delle banche in sofferenze.
Non si riprenderà l’economia attuale perché il tipo di prodotti di questa economia interessa sempre meno, perché l’utilizzo di energia e materie prime che comporta il produrli è insostenibile. Perché le organizzazioni di queste imprese tendono ad essere sempre più inumane. E per mille altre ragioni che non vengono mai neanche citate.
Mi si può obiettare: ma riducendo il cuneo fiscale si liberano le risorse che servono per costruire innovazione. No! Le ragioni che ho citato prima portano a pensare che la riduzione del cuneo fiscale non libererà alcuna risorsa. Coltiverà solo l’illusione di un paradosso: che la conservazione dell’attuale economia (cercare di vincere battaglie di prezzo è conservare) possa generare una nuova economia.

Esiste la via della conoscenza. Ma l’abbiamo ridotta a oggetto da esposizione … 

sabato 23 novembre 2013

Contro la SWOT Analysis

di
Francesco Zanotti

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La SWOT (Strengths, Weaknesses, Opportunity, Threats) Analysis è uno strumento, appunto, di analisi dell’ambiente esterno all'impresa che risale agli anni ’60-’70.
Esso è finalizzato a migliorare i processi decisionali di tipo strategici (che riguardano l’impresa nel suo complesso) e funziona nel seguente modo.
Innanzitutto, permette di individuare quali sono le minacce e le opportunità presenti nell'ambiente. E, verificare, da un lato, se i punti di forza dell’impresa sono in grado di sfruttare le opportunità e difendersi dalle minacce. E, dall'altro, fino a che punto gli elementi di debolezza impediscono di sfruttare le opportunità e rispondere alle minacce. Fatta questa analisi, in base ai suoi risultati, è possibile decidere le misure più opportune per sfruttare meglio le opportunità o per difendersi meglio dalle minacce.

Strumento utile? No! Anzi è sia troppo primitivo che, imprenditorialmente, dannoso.

Cominciamo dal dannoso.
La SWOT Analysis è uno strumento fondato su di una ipotesi epistemologica, una visione del mondo “rinunciataria” e non imprenditoriale. Mi spiego. In termini filosofici si direbbe che è fondato su di una epistemologia “realista”. Essa afferma, declinata al caso dell’impresa, che il mondo esterno può essere conosciuto, ma non può essere modificato. L’impresa dopo averlo conosciuto, ci si deve adattare.
Si tratta di un atteggiamento “epistemologico” opposto a quello che è indispensabile per uscire dalla crisi.
Come il lettore ricorda oggi è necessario un atteggiamento costruttivo: è necessario un ridisegno profondo delle identità strategiche delle imprese, tale da far precipitare i Segni del Tempo Futuro in qualche futuro concreto.
Più precisamente, nell'ambiente esterno all'impresa non esistono né minacce né opportunità. Esistono solo potenzialità di divenire tra le quali scegliere quali far precipitare in nuove realtà. Se sia sta solo a guardare qualcun altro li farà precipitare nella realtà che egli preferisce. Solo allora saranno concrete minacce o opportunità. E saranno sempre più minacce se il fare precipitare sarà stato generato da qualcun altro che non siamo noi. Detto ancora diversamente: a chi crede che ci si debba adattare al mondo là fuori, lo stesso mondo là fuori sembrerà sempre più popolato di minacce.

Questa negatività è particolarmente grave per le start-up per definire i cui business plan la SWOT Analysis viene spesso utilizzata. Infatti, se si parte dal punto di vista che il mondo è dato e non da costruire, si attiveranno solo start-up che propongono prodotti o servizi “interstiziali”. E, poi, prodotti e servizi che possono venire immediatamente copiati.

Ma, per un momento, immaginiamo di prescindere dal suo sottofondo epistemologico e proviamo ad immaginarne un utilizzo concreto. Emerge immediatamente la sua primitività e due altre incongruenze di fondo. Questa volta riguardano non l’epistemologia, ma il concetto di analisi e di interpretazione (cioè l’ermeneutica).

Cominciamo dalla primitività. Supponiamo che sia una grande impresa ad utilizzarlo, ad esempio, una compagnia di assicurazioni. Essa deve tener conto di una pluralità di attori e di processi di scambio che non possono essere classificati solo come minaccia o come opportunità. Gli attori possono essere, contemporaneamente, l’una e l’altra cosa. Oggi una cosa, domani un’altra. Una strategia relazionale opportuna può trasformarli tutti in alleati.  Una “sbagliata” può trasformarli tutti in avversari. Il dimenticarli li trasforma certamente in avversari perché significa non riconoscerne il ruolo sociale da parte dell’impresa. In sintesi, alle grandi imprese serve una griglia di lettura molto più complessa. Come quella che descriverò illustrando più avanti il modello di Business Plan che abbiamo predisposto.
Ho citato le grandi imprese per illustrare al primitività dello strumento, ma il problema non le riguarda perché nessuna di esse lo usa. Noi abbiamo fatto, per assegnare un rating, una analisi dei Business Plan delle aziende quotate della Borsa di Milano e inserite negli indici FTES e STAR. In nessuno di essi viene usata la SWOT Analysis.

Ma proviamo a immaginare che tutti i problemi prima citati non esistano. Che l’ambiente esterno all’impresa abbia una sua identità definita sulla quale l’impresa non ha influenza, che sia solo da scoprire e che la griglia “minacce ed opportunità” si sufficiente. Anche se ci mettiamo in quest’ottica, scopriamo i problemi che riguardano la scientificità e la interpretazione.

Cominciamo dalla scientificità.
Questo strumento ha pretese di scientificità che, però, non è in grado di sostenere. Diffonde una perniciosissima illusione di scientificità. Approfondiamo questa limitazione, avvertendo il lettore che il discorso che verrà fatto ha caratteristiche di generalità che trascendono lo specifico strumento. E varranno anche per tutti gli strumenti che illustreremo nel seguito.
Quando l’analisi di un sistema (nel nostro caso dell’ambiente eterno all'impresa) ha senso ed è utilizzabile per migliorare il processo decisionale a livello strategico?

Quando: si dispone di un modello completo dell’ambiente che permetta di rilevarne in modo preciso tutte le caratteristiche fondamentali. Ci siamo messi nell'ottica che il modello “minacce ed opportunità” lo sia. Poi serve un modello dell’impresa che permetta di descriverne, in modo altrettanto preciso, tutte le caratteristiche salienti dal punto di vista dell’ambiente. Stiamo ipotizzando che questo modello ci sia: l’impresa come somma di punti di forza e di debolezza. Tutto questo c’è ma non basta. Occorre anche disporre delle leggi che governano la relazione tra ambiente ed impresa. E’ solo l’esistenza delle leggi che mi supporta nel processo decisionale. Che mi fornisce l’algoritmo decisionale.

Mi si obietterà: ma il risultato della SWOT Analysis non è mai “preciso”. Cioè quantitativo. Dà indicazioni di carattere generale.
Bene, ma allora non possiamo ignorare, la dimensione interpretativa. Se le “caselle” (minacce e opportunità; punti di forza e di debolezza) non vengono riempite con risultati numerici, frutto di un processo oggettivo di misura, allora non vi è alcun processo di misura, ma solo di valutazione. Una valutazione soggettiva: se persone diverse analizzano la stessa impresa nello stesso ambiente trovano risultati diversi. Non solo, ma anche le stesse persone in diverse condizioni generano valutazioni diverse.

Allora non è possibile applicare nessun algoritmo per decidere quali punto di forza valorizzare, quali punti di debolezza cercare di eliminare, quali opportunità sfruttare, come eliminare le minacce, che risultati (di cassa ovviamente) ci si attende da queste azioni.

Siamo nel campo delle valutazioni personali che cambiano nel tempo. Materia prima non per processi decisionali, ma per una conflittualità permanente ed effettiva.

Ma esiste un’ultima osservazione che, se anche non valessero tutte le altre che abbiamo fatto, da sola suggerirebbe di abbandonare l’utilizzo analitico valutativo. Più avanti vedremo che sono possibili altre modalità di utilizzo, ma rimane la eccessiva semplicità dello strumento che lo rende inutile anche usato in questi altro modi di cui diremo.
Quale è questa osservazione?
Che oggi non c’è niente da decidere. La sfida fondamentale è quella di progettare nuove imprese, una nuova economia ed una nuova società. E per progettare non si possono usare strumenti progettati per decidere. Come cercare di aggiustare il televisore con il martello, pensando che sia il teatrino delle marionette. Immaginate il risultato …

Nonostante tutte queste osservazioni la Swot Analysis è molto di moda. Soprattutto tra gli uomini di finanza che sono diventati anche advisors strategici. Ma il suo utilizzo è solo ornamentale. E’ una delle mille descrizioni dell’impresa che si scrive per dovere e non si legge per noia. Si arriva subito ai numeri che, però, occorrerebbe ammettere che non si da dove vengono.

mercoledì 20 novembre 2013

Gli esperti di settore: generatori di competizione

di
Francesco Zanotti


Sono una istituzione finanziaria che devo valutare il Progetto Strategico di una impresa alla quale fare un finanziamento (lasciate stare la forma del finanziamento). Come faccio a giudicare se questo progetto ha la probabilità di realizzarsi o meno? Chiamo un esperto di settore e gli chiedo un parere. E che parere volete che mi dia … Userà come metro di misura la sua esperienza. Cioè quello che è già accaduto, il passato del settore. Sosterrà che il Progetto va bene se sarà simile al progetto che avrebbe fatto lui. Guarderà se l’imprenditore intende intraprendere la strada che ha intrapreso lui nel passato …
Ma un progetto di futuro si verificherà solo se sarà rivoluzionario, se cambierà le regole del settore nel modo in cui l’imprenditore desidera … Che il progetto sia diverso dal passato non è certo sufficiente, ma necessario sì …

Altrimenti, se si costringe l’imprenditore a percorrere le strade del passato, lo si inchioderà in una competizione che diverrà sempre più aspra.

domenica 17 novembre 2013

Minibond: una sfida progettuale, valutativa e, quindi, cognitiva.

di
Francesco Zanotti


Stamattina sul Sole24Ore, a firma Morya Longo, ho trovato un pregevole articolo sulla futura sfida dei minibond. Ma devo dire che in quel ragionamento manca un “pezzo”. Decisivo.
Il problema oggi è, forse, anche il credit crunch, ma alla origine ve ne è un altro ancora più profondo. E se non si risolve quello, potremo fornire tutto il credito che vogliamo, in tutte le forme che vogliamo, ma lo bruceremo sull'altare della conservazione.
Il problema è quello che abbiamo descritto nel post di qualche giorno fa nella lettera Aperta al Direttore generale della Banca d’Italia
In quel post si propone un nuovo scenario di rapporto tra le imprese e coloro che, a qualunque titolo forniscono loro risorse finanziarie: una sfida progettuale. La sfida è sulla qualità del progetto di sviluppo strategico che le imprese chiedono di finanziare. Un progetto che occorre aiutare le imprese a sviluppare e che i fornitori di risorse finanziarie devono imparare a valutare. Per far questo occorre buttare sul tavolo un insieme di nuove “risorse cognitive” che sono costituite dalle conoscenze e metodologie di valutazione strategica.

La nuova normativa sui minibond diverrà strumento di sviluppo reale solo se le imprese e le banche, insieme, riusciranno a vincere questa sfida progettuale, valutativa e cognitiva.

venerdì 15 novembre 2013

Crisi "ambientale"... oppure no?

di
Luciano Martinoli

Immaginate un capannone, chiuso, dove sono assiepate centinaia di persone a cui manca l’aria, lo spazio, le risorse per sopravvivere con decenza. 
C’è “crisi”.
E’ una “crisi” ambientale che dipende dalla mancanza di spazi: all’inizio per prosperare, ora addirittura per sopravvivere. Non è colpa di nessuno, sono troppi. Invocano aiuti, misure di “sistema”, attribuiscono colpe. Agli altri, ovviamente.
All’improvviso però, senza che nulla cambi, qualcuno mostra una insospettabile vitalità. Non è cianotico come gli altri, a lui l’ossigeno non sembra mancare, corre, si muove, lavora, è ben vestito, in una parola: prospera.
Allora la “crisi”, se c’è qualcuno che non è sofferente in quell’ambiente, non è dovuta ad un ecosistema in deficit di risorse. Forse non siamo in un capannone chiuso dove manca sempre di più per tutti, siamo semplicemente confinati in un angolo piccolissimo, quello che riusciamo a vedere, rispetto a spazi enormi di cui non abbiamo coscienza ma che sono lì vicino, a portata di mano, come quel pimpante signore ci dimostra. Perché non ci andiamo anche noi?  Perché non l’abbiamo visto prima?
E’ questa l’immagine che mi è balzata in mente quando ho visto questo annuncio di Google.
Vediamo di che si tratta

mercoledì 13 novembre 2013

Telecom: non ci siamo

di
Francesco Zanotti

Mi ritorna tra le mani il Sole24Ore di qualche giorno fa (6 novembre). In particolare, un articolo di Antonella Olivieri. E mi sembra sorprendente: non so se volutamente o meno, descrive una situazione che dire confusa è usare un eufemismo. Con buona pace di noi tutti stakeholder di Telecom.
Ecco una ricostruzione della confusione.
Esiste un Piano Strategico ed è quello di Patuano, come dice l’articolo. ll titolo dell’articolo è, invece, “Telecom, ecco il contropiano di Fossati”. Se poi se si legge l’articolo si scopre che il contropiano di Fossati è quello di affermare che è necessario un Piano Strategico. Per far questo si è affidato ad una società di consulenza della Florida (FTI Consulting) che non è esperta nel redigere Piani Strategici, ma nell'organizzare battaglie tra gli azionisti. Se poi guardate nel sito della società, l’ultimo aggiornamento della voce “strategia” è dell’8 agosto scorso. Ma  e il Piano di Patuano, dove è?
Vediamo come si potrebbe mettere ordine.
Telecom, come e più di altre società, ha bisogno di un innovativo progetto di Futuro. Un Piano Strategico alto e forte. Per farlo è necessario usare le migliori conoscenze e metodologie di strategia d’impresa. E questo non accade.  Gli Autori del Piano, perché abbia successo, devono essere tutti gli stakeholders in una ideale alleanza progettuale. E anche questo non accade. Accade, invece, una lite tra azionisti dove uno sostiene che vuole vincere per fare un Piano Strategico del quale non si sa assolutamente nulla perché il suo consulente è esperto in liti tra azionisti …

Davvero non ci siamo. 

lunedì 11 novembre 2013

Alitalia, gerontocrazia e scienze cognitive

di
Francesco Zanotti


Un articolo di Massimo Giannini su Affari &Finanza: l’Autore vuole la verità sul crack Alitalia.
E, poi, propone molte osservazioni ragionevoli per indicare che da questo crack non si vuole uscire.
Secondo me il problema andrebbe posto in questi termini. Abbiamo una classe manageriale che sa gestire (forse) quello che esiste, ma non ha la più pallida idea di come costruire progetti (Progetti Strategici, Piani strategici, Piani industriali, che dir si voglia) per nuovi futuri. Allora serve un’altra classe dirigente? No! Serve un’altra conoscenza. Poi è abbastanza irrilevante chi la userà. La nuova conoscenza che serve è costituita dalle conoscenze e metodologie di strategia d’impresa. Che sono del tutto sconosciute ai top manager. Ma anche ai politici ed ai giornalisti. I giornalisti, poi, sarebbe importante che disponessero di queste conoscenze e metodologie. Hanno verificato l’importanza della conoscenza quando hanno imparato i rudimenti della bilancistica. Li hanno imparati così bene che alcuni (Massimo Mucchetti, per tutti) sono diventati veri esperti. Ma i bilanci servono a capire il passato non a costruire il futuro. Se si vuole costruire un futuro (e giudicare, come è giusto fare, i futuri progettati dagli altri) sono necessarie conoscenze e metodologie di strategia d’impresa. Il discorso fatto per Alitalia vale anche per Telecom. I “Piani” alternativi di cui si parla riguardano o sono funzionali al cambio di proprietà, non al futuro.

Un articolo di Alberto Statera sempre su Affari & Finanza sulla gerontocrazia. La sua denuncia è corretta e certamente anche opportuna, ma mancano due riflessioni. La prima riguarda appunto la conoscenza. Se delle classi dirigenti non si controlla la conoscenza posseduta, ma solo le esperienze (e quelle di una classe dirigente che ci ha lasciato un mondo in crisi non saranno certo “vincenti”) e, soprattutto le relazioni, allora per forza si avrà una classe dirigente “vecchia”: sono coloro che hanno stretto la rete di relazioni più potenti. Allora, largo ai giovani? Un momento, ascoltiamo le scienze cognitive. La capacità del cervello di un giovane e di una persona matura sono complementari. Il giovane sa pensare ai dettagli, la persona più matura ai quadri di insieme. Allora una proposta: per ogni grande società un Presidente maturo con un CEO giovane. Ammesso che ambedue abbiano le conoscenze strategico-organizzative all'avanguardia. 

venerdì 8 novembre 2013

Non ci sarà mai una crescita uniforme

di
Francesco Zanotti


Donato Masciandaro sul Sole di oggi in prima pagina parla dell’abbassamento dei tassi operato dalla BCE. Egli sostiene che la BCE continuerà ad adottare politiche espansive fino a che non vi sarà evidenza di una robusta ed uniforme crescita economica.
Bene, una crescita uniforme non ci sarà mai. Vi sarà una crescita a macchia di leopardo. Molte imprese non potranno sopravvivere (molte di più di quelle che sono già scomparse). Altre si trasformeranno radicalmente. Ne nasceranno di nuove. La discriminante sarà un Progetto Strategico alto e forte. Avrà ”fortuna” chi se ne doterà. Non sopravvivrà chi non se ne doterà. La “somma” delle imprese che sopravvivranno formerà un sistema industriale ed economico radicalmente nuovo.
Il problema di fondo è che oggi domina ancora la cultura della stabilità che sta perdendo sempre più di senso. Vi sono solo processi di evoluzione continua che diventano sempre più veloci e intensi. Governare l’economia non significa cercare di generare stabilità, ma governare processi autonomi di evoluzione.


martedì 5 novembre 2013

Lettera aperta al Direttore Generale Banca d'Italia

(Dott. Salvatore Rossi dopo l'intervento a Genova al convegno 
"Chi ha rubato il futuro ai giovani"?)
di
Luciano Martinoli
e
Francesco Zanotti


                                                                                           

Egregio Direttore

Abbiamo letto con grande interesse le sue affermazioni circa l’esigenza di una più efficace valutazione del merito del credito come fondamento di un nuovo rapporto tra banca ed impresa. Ci permettiamo di farle pervenire, a questo proposito, una prospettiva inedita ed una proposta.

La prospettiva inedita: il ruolo delle risorse cognitive.
Si potrebbe immaginare che l’esigenza da Lei espressa possa essere soddisfatta usando le attuali metodologie di valutazione in modo più attento, con più competenza. Forse anche con più passione sociale e civile.
Ma noi crediamo che questa via, se pur necessaria, rischia di non essere in alcun modo soddisfacente. Per una ragione ed una meta ragione.

lunedì 4 novembre 2013

Non andiamo lontano a cercare le cause della crisi

di
Francesco Zanotti


Altro che crisi finanziaria. E’ una crisi da ignavia e ignoranza. Vi racconto come di prassi il peccato non il peccatore. Ma il peccatore è “grosso”. E rende il peccato (già grave di suo) paradossale.
Dunque immaginate una istituzione importante e il Responsabile di una certa modalità di finanziamento alle imprese. Sua osservazione: “Ah certo noi seguiamo le imprese nel cercare di ottenere questa modalità di finanziamento. Le aiutiamo a redigere il Business Plan, ma ovviamente non ci addentriamo nello sviluppare Piani Industriali … “.
Cosa? Ad una istituzione che deve finanziare una impresa proponete un Business Plan che non dice nulla della dimensione industriale dell’attività dell’impresa stessa? Ma non è questa attività industriale che genera soldi? E se un Business Plan non descrive l’attività industriale di una impresa ( .. ovviamente manifatturiera), cosa diavolo contiene il Business Plan?
Ve lo dico io! Contiene una descrizione general generica dell’impresa fondata su una strumentazione banale del tipo “SWOT Analysis”. E poi i numeri. Tutti saltano la parte di descrizione e guardano solo i numeri. Ovviamente parliamo dei numeri futuri perché chi finanzia una impresa è interessato ai numeri che produrrà l’impresa nel futuro. E come si fa a capire se i numeri sono probabili o sono sogni? Non certo dalla descrizione dell’impresa. Si prende un esperto di settore, che generalmente è un manager che ha lavorato in quel settore nel passato. E che ha dello stesso settore una visione del passato.
Risultato? Lo lascio immaginare nella speranza che i soldi che vengono veicolati in questo modo alle imprese non siano a rischio dei risparmiatori.
Non andiamo lontano a cercare le cause della crisi. Sono tra di noi.


sabato 2 novembre 2013

Abenomics e se …

di
Francesco Zanotti


Ma è giusta o no l’Abenomics? Sembra funzionare, ma non aumentano consumi ed investimenti. Ed allora?
Allora forse ne manca un pezzo: quello più importante. Il fatto che nonostante tutti gli incentivi non aumentino i consumi può anche significare che si sta perdendo interesse alle cose che vengono prodotte. Il fatto che nonostante gli incentivi non si investa può significare che le aziende non trovano progetti interessanti.
A me sembra davvero che l’economia riprenderà quando appariranno nuovi progetti per nuove imprese che producono cose completamente diverse in modo altrettanto diverso. Per riuscirci occorre diffondere conoscenze e metodologie di progettualità strategica. La conoscenza prima dei soldi, altrimenti non si sa a cosa possano servire.


venerdì 1 novembre 2013

Il Piano delle Poste per Alitalia

di
Francesco Zanotti


Noto sul Sole 24Ore di oggi: Le Poste varano il piano Alitalia. Bene, lo leggo. Ma non parla di nessun Piano per l’Alitalia. Si tratta del Piano che le Poste hanno su Alitalia. Ed è fatto di tre sole parole: entriamo nel capitale … Ovviamente senza che Alitalia disponga di un Progetto Strategico da valutare per decidere se entrare o meno. Si chiama nazionalizzazione selvaggia.