"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

mercoledì 27 novembre 2013

I "Minibond": tra occasione strategica e banalizzazione finanziaria

di
Luciano Martinoli


I "Minibond" sono obbligazioni (titoli di debito) che, grazie alla disciplina della legge 134 del 2012, anche le aziende piccole  e medie, e non quotate in borsa, possono emettere. Per una descrizione più dettagliata ci si può riferire ai numerosi articoli che appaiono ormai quasi quotidianamente anche in rete.
Come tutti gli strumenti il minibond si presta sia a banalizzazioni, e pericolosi usi impropri, che a realizzare importanti opportunità. Purtroppo tutta la stampa, e anche molti operatori (banche, investitori e aziende), si sono appiattiti sull'interpretazione più semplice: un altro modo di accedere a finanziamenti erogati da soggetti non bancari.
Non è proprio così, o almeno non dovrebbe, e vediamo perchè.
Il profilo della emittente ideale (l'azienda che emetterà i titoli di debito) oltre a corrispondere ai requisiti di legge, deve esprimere una caratteristica che la normativa non specifica (e non potrebbe farlo): la volontà di una trasformazione strategica, che la porti a migliorare sensibilmente i sui flussi di cassa, descritta da un accurato e professionale piano (il business plan).
Dunque non un piano che giustifichi qualche attività in più (acquisto beni strumentali, aperture di nuove filiali, internazionalizzazioni, ecc.) a supporto dell'assetto strategico corrente, ma una vera e propria coraggiosa rivoluzione che consenta all'azienda di essere, alla fine del periodo di esecuzione del piano (che coincide con la scadenza dei minibond), una "altra cosa" rispetto al momento iniziale: una abbondante produttrice di cassa.
Se infatti si confonde questo aspetto, che è centrale per l'uso proprio dello strumento, con altro (fonte di finanziamento aggiuntiva allo status quo dell'azienda) l'impresa perde l'occasione per migliorare la sua posizione sul mercato e l'investitore o perderà i suoi soldi o procrastinerà artificiosamente, peggiorandola, la vita di quell'impresa.

Oggi esistono molte aziende eccellenti nel nostro paese, ma non abbastanza. La colpa non è di agenti esterni o condizioni ambientali sfavorevoli. Le aziende in affanno hanno perso di senso e hanno necessità di una profonda ristrutturazione strategica, se hanno capacità e voglia di farlo. A queste condizioni, capacità e voglia, poichè una tale riprogettazione ha un costo, il minibond è lo strumento ideale per finanziarla e trova la disponibilità degli investitori, come dimostrano le prime operazioni concluse e la vitalità degli investitori stessi nel rendere disponibili strumenti (fondi) per dare loro supporto e sostanza.

Manca però ancora qualcosa, una catalizzatore che consenta di generare progetti "alti e forti", che scongiuri il rischio di produrre una "foto ritoccata" allo scopo di scroccare un altro po' di ossigeno per una situazione aziendale compromessa o in via di compromissione.
Vi è bisogno di strumenti adeguati, basati su nuove risorse cognitive che mettano i capi azienda, e le loro persone, di fronte ai nodi strategici di fondo dell'attività d'impresa e liberino le capacità imprenditoriali che certamente posseggono. Strumenti che li aiutino a guardare altrove, a definire traiettorie di cambiamento percorribili e, in fine, a tradurre in modo adeguato questi percorsi in future produzioni di cassa, credibili e abbondanti.
Tutto il resto (rating di credito, certificazione di bilancio, determinazione tasso cedolare, ecc.) sono adempimenti di legge routinari,  che decine di ottimi professionisti sono in grado di espletare.

In assenza di tali progetti, prodotti con queste modalità grazie all'ausilio di tali strumenti, produrremo altri disastri e, in un futuro non troppo lontano, malediremo l'uso improprio fatto dei minibond rimpiangendone le opportunità non perseguite.
Sono convinto che non ne abbiamo proprio bisogno.

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