"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

venerdì 31 gennaio 2014

Caso Electrolux: lettera aperta al Ministro Zanonato

di 
Luciano Martinoli
e
Francesco Zanotti


Egregio Signor Ministro
Non abbiamo bisogno di ridurre i costi, abbiamo bisogno di aumentare la conoscenza disponibile!
Leggiamo con apprensione le recenti vicende legate all’ultimo, temiamo solo in ordine di tempo, caso di volontà di dismissione industriale della “Electrolux”.
L’apprensione è però accompagnata anche da una punta di indignazione, causata dal continuo ed esclusivo confrontarsi con il “modello polacco”. Il perdersi in questo confronto obnubila la mente. Significa affermare che la nostra speranza non sta nella “competenza industriale”, nella conoscenza, passione e tradizione, implicite ed esplicite, delle nostre maestranze e nei dirigenti che li guidano. Ma può consistere solo nel “muovere più velocemente le mani”. E nel far sì che il disporre di mani che si muovono sempre più velocemente costi il meno possibile.
Bene allora la richiesta, forte e più volte dichiarata, di un confronto sulle “strategie e sul modello industriale”, come riporta ilsole24ore del 30 gennaio, unico ambito nel quale si possa non solo comprendere le intenzioni dell’azienda ma anche se le richieste che oggi vengono avanzate siano una soluzione definitiva ad un problema strategico di oggi o solo un rinvio ad analoghe ulteriori richieste future.
Ma con quali conoscenze e strumenti, Signor Ministro, Ella e i Suoi collaboratori giudicherete e valuterete il piano proposto dall’azienda?

giovedì 30 gennaio 2014

Così siamo morti

di
Francesco Zanotti


E’ importante azzeccare investimenti, strategie e management. Ma resta decisiva la componente fiscale.
Purtroppo così un autorevole commentatore sul Sole24Ore di oggi. Così l’intera tradizione industriale di un Paese, l’intera (e gloriosa) capacità progettuale di un Paese viene umiliata. Alla fine non conta nulla: vincerà chi fa pagare meno tasse …

Per fortuna ha torto marcio …

lunedì 27 gennaio 2014

Parole, parole …

di
Francesco Zanotti


Come si fa a sperare che accada qualcosa quando si usano le parole a caso? Come al solito: il peccato, ma non il peccatore. E neanche dove ho letto la notizia ..
Si parla della banca X. Se saprà farcela da sola o no. Il giornalista cita la mission: generare valore praticamente per tutti. Ed uno intende: si salverà se genererà questo valore …
Ma poi nell'articolo si esplicita che saprà fare da sola solo se genererà redditività …
Ma che rapporto c’è tra redditività e valore? Non lo si dice. E si lascia la parola valore alla genericità di mission che vengono scritte perché di moda. E, poi, si bada al sodo ..

Purtroppo non si percepisce, per mancanza di conoscenze di strategia d’impresa, che una mission alta e forte e non generica è il fondamento di ogni redditività. E la mission non può essere uno slogan. Deve essere la storia del futuro che immagina la banca per sé e per la società.

venerdì 24 gennaio 2014

Quanto è bello indebitarsi (con i minibond)... ma perchè?

di
Luciano Martinoli


Anche ItaliaOggi dello scorso lunedì si occupa dei "minibond". Un inserto che descrive, anche in maniera dettagliata, il processo e gli adempimenti per l'emissione. Preceduto da una serie di articoli che espongono considerazioni di opportunità e giudizi di merito, quali il beneficio della disintermediazione bancaria.
Rimane però il quesito di fondo: perchè l'azienda ha bisogno di indebitarsi, ovvero ricorrere a finanza esterna in modo apparentemente strutturale? (fino all'assurdo, come citava un articolo: anche le aziende sane rischiano di chiudere per mancanza di credito. Ma se hanno continuo bisogno di credito per campare non sono sane!)

mercoledì 22 gennaio 2014

Il modello di internazionalizzazione di … Cimabue e Leonardo

di
Francesco Zanotti


Oggi sembra che se non ci internazionalizza si muore. Ma, cosa si intende per internazionalizzare? Andare a produrre all'esterno. O almeno andare a vendere all'estero.
Come tutti i miti, però, anche quello della internazionalizzazione genera sequele imitative che, proprio perché imitative, rischiano di non essere utili.
Quando una internazionalizzazione è massimamente utile? Quando io costruisco prodotti (o erogo servizi) desideratissimi ed unici. In questo caso, però, l’internazionalizzazione è automatica: vengono a cercarmi. Mi invitano ad esportare. Mi invitano a lavorare da loro, direttamente o indirettamente …

Diciamo diversamente, l’internazionalizzazione è massimamente utile quando costruiscono prodotti o servizi opere d’arte. Quando la mia impresa è come la Scuola di Cimabue che produce opere d’arte … Quando io sono come Leonardo che produce gioconde che tutto il mondo desidera. Fino al furto.

domenica 19 gennaio 2014

Finanziare la noia?

di
Francesco Zanotti


Oggi il Sole 24 Ore parla delle “Le nuove linee guida di Bruxelles per superare il credit crunch”. E siamo alle solite. Mi spiego
Va certamente bene aumentare le vie attraverso le quali far affluire risorse finanziarie alle imprese, ma occorre stabile anche a quali imprese aprire queste vie. L’unico criterio significativo è quello di valutare i Progetti di futuro delle imprese che devono essere scritti in un business plan.

Il problema non è il credit crunch. Il problema è lo spegnersi dell’imprenditorialità nella noia. Il rischio è che si finisca per finanziare la noia con i soldi dei risparmiatori (se finanziano le banche) o dei cittadini (se finanzia lo Stato). O come si dice popolarmente: finisce che finanzia Pantalone. Che sembra essere il nuovo nome dei cittadini/risparmiatori che dovranno mantenere chi si annoia a produrre noia.

venerdì 17 gennaio 2014

Ricerca importante con un titolo ingenuo

di
Francesco Zanotti


Mi riferisco ad un articolo apparso sul Sole 24 Ore di oggi a firma Ilaria Vesentini. Tratta di una ricerca (illuminante) condotta dal Prof Stefano Marasca dell’Università Politecnica delle Marche.
Prima l’ingenuità del titolo: Le PMI innovatrici migliorano anche i conti.
Ma, gentile dott.ssa Vesentini, ha senso una innovazione che non migliori i conti? Quel “anche” è la misura di quanto il sistema cognitivo prevalente non riesce a cogliere le origini profonde dei buoni conti. Quasi come se i buoni conti fossero solo un by-product, scoperto per caso, dell’innovazione.
Arriviamo alla ricerca. Il prof. Marasca fa vedere con chiarezza (per i dettagli rimando all'articolo) che non esiste una crisi globale che colpisce tutti inesorabilmente. E’ in crisi chi cerca di vendere sempre le stesse cose. Non è in crisi chi sviluppa nuovi sistemi d’offerta. Insomma, la crisi è auto generata dal cercare di conservare il passato.
Se questo è vero, allora, chi fornisce risorse ad una impresa per finanziare innovazione deve poter giudicare se una innovazione genererà un miglioramento dei conti o no. Occorre un metodo per farlo. Noi l’abbiamo sviluppato: si chiama “Rating Progettuale dei Business Plan”.

In sintesi, occorre che le imprese abbiamo un Business Plan che descriva in dettaglio come, perché quando e quanto una innovazione migliorerà i conti. Chi fornisce risorse finanziarie deve valutare questo Business Plan. Il rating progettuale è lo strumento per farlo.

martedì 14 gennaio 2014

Credit Crunch e l’imprenditorialità del copiare

di
Francesco Zanotti


La notizia è sui giornali di oggi: arriva il sesto gestore di car sharing.
Certo, si tratta di una nuova impresa, ma che copia il business di altri. Si pone un obiettivo di 50.000 abbonati. Ma le ragioni per cui tanta gente dovrebbe preferire questo nuovo gestore sono deboli.

Purtroppo ci stiamo abituando alla imprenditorialità del copiare. Se poi le banche non finanziano imprenditori che copiano, continuiamo a chiamarlo “Credit Crunch” (sottintendendo che è immotivato) oppure doverosa rispetto verso i depositanti?

lunedì 13 gennaio 2014

Puntiamo su noi stessi, ma come?

di
Francesco Zanotti


Leggo stamattina il Punto di Severino Salvemini su CorriereEconomia.
Egli esorta a puntare su noi stessi. Anche con toni appassionati.
Ma poi non dice come. Oppure lo dice un po’.
Manca sempre una proposta forte. La nostra è: perché noi si possa contare su noi stessi, rischiare e concretizzare tutta la litania che ne consegue, è necessario cambiare le nostre risorse cognitive di riferimento.
Un esempio: il professore sostiene che sta tornando in auge la pianificazione di lungo temine. Ma perché questa non sia concretizzata solo in miriadi di fogli Excel è necessario che chi “pianifica” usi nuove risorse cognitive. Innanzitutto cambi la visione riduzionistica del mondo (tipica della fisica classica) ed adotti la visione del mondo, tipica della fisica quantistica, degli imprenditori creatori di non mondi e non ereditieri di imprese. E poi utilizzi le conoscenze e la metodologie di strategia d’impresa. Altrimenti non si riuscirà mai a vedere ... quale sogno pianificare. Cioè concretizzare nell'insieme delle azioni che lo realizzano.
Un contro esempio: se non si usano nuove risorse cognitive, invece della strada della costruzione di nuovi mondi (nuovi prodotti e servizi che siano ologrammi di una nuova società) , si imbocca quella della competizione. O dello sfruttamento dei guai degli altri, come comprare aziende nei guai. Salvo poi farsi assorbire da questi guai.


sabato 11 gennaio 2014

Credit Crunch: finanziare risorse cognitive

di
Francesco Zanotti


Bankitalia ha annunciato che nel mese di novembre (2013, ovviamente) le banche hanno ridotto i finanziamenti alle imprese del 6%.
Sul Sole 24 Ore non ho trovato accenno alla vera natura del problema. Proviamo a riproporlo con una domanda: ma che se fanno le imprese dei prestiti?
Li usano per sopravvivere fino a quando finirà la crisi? Bene, per loro la crisi non finirà mai. Le imprese che stanno aspettando la fine della crisi non sono imprese, ma burocrazie produttive che vogliono continuare a fare le cose che hanno sempre fatto. Non è possibile mantenere burocrazie produttive: troppo costose. Si dia lo stipendio a tutti perché nessuno deve essere messo nei guai, ma almeno non accolliamoci come collettività anche il costo del continuare a produrre cose inutili. Servono invece a internazionalizzarsi, a migliorare i processi a fare innovazione tecnologica, a costruire imprese reti? Bene, in questo caso gli diamo i soldi? La mia riposta è: boh? Dipende. Queste strategie così osannate (a rischio di retorica) permetteranno alle imprese di aumentare nel futuro la loro capacità di produrre cassa o no? Questa strategie non sono magiche: basta adottarne una e ne seguiranno le “magnifiche sorti e progressive” di leopardiana memoria.
Arriviamo al dunque: per decidere se dare soldi alle imprese occorre valutare il loro Business Plan, fino ad assegnare un rating non alle imprese, ma ai loro Business Plan. Questi Business Plan devono illustrare come si vuole cambiare l’identità strategica delle imprese (definizione del business e posizionamento strategico), se e come questo cambiamento permetterà loro di generare cassa, in un modo che oggi non sono in grado di fare, e quali sono le probabilità che riescano a realizzare i cambiamenti descritti.
Leggo (sempre sul Sole 24 Ore) “le famiglie imprenditoriali hanno esaurito la loro capacità di investire”. Ecco questa è una delle più chiare evidenze che non si è capita la natura del problema. Se si è investito, ma questo investimento non ha generato una nuova capacità di generare cassa, tale da permettere un costante autofinanziamento, allora si è trattato di un investimento sbagliato. Quando si investe, si possono anche fare gli investimenti sbagliati. Vorrei vedere i Business Plan che hanno giustificano questi investimenti … probabilmente non sono stati redatti. E l’investimento è finito in qualche capannone destinato a rimanere sotto utilizzato o in qualche macchina che avrebbe dovuto sostenere un aumento di produzione che non c’è stato e che, probabilmente, non avrebbe potuto esserci.

Ma se le imprese non hanno Business Plan che spiegano a cosa servono i soldi e dimostrano che quello che vogliono fare genererà un aumento significativo della capacità di produrre casa? Allora aiutiamole a farlo.
Forniamo loro le conoscenze e le metodologie per farlo. Le migliori conoscenze e metodologie al mondo per farlo. Chiediamo alle banche di finanziare Business Plan, piuttosto che chiedere di finanziare strategie di moda o, peggio, sopravvivenze impossibili. E con un Business Plan alto e forte chiediamo loro di investire nel realizzarlo. Chiediamo alle banche ed usiamo tutte le altre potenzialità di investimento.


martedì 7 gennaio 2014

Una tesi sulle banche: una sfida di sviluppo "locale"

di
Francesco Zanotti


Morya Longo, in un articolo sul Sole 24 Ore di oggi, propone un’analisi chiara ed incisiva sullo stato di salute del sistema bancario.
Partendo da questa analisi, svilupperò la mia tesi.

Cito i temi/frasi più rilevanti.
A causa dei massicci acquisti di titoli di stato (180 miliardi dal novembre 2011), i bilanci delle banche dipendono dalle fluttuazioni del mercato finanziario. Cosicché: “ … utili, perdite e performances borsistiche sono oramai qualcosa di indipendente dall'attività delle banche o dalla capacità dei loro manager”.

Vi sono però altri problemi per le banche: “I crediti deteriorati hanno raggiunto i 300 miliardi di Euro”. “Alcune banche non hanno ancora svalutato completamente i crediti deteriorati”.

Aggiungo una ulteriore osservazione, prima delle tesi.

Non si manifesterà un toccasana come la ripresa che permetterà a tutto il sistema imprenditoriale di crescere. Lo sviluppo delle imprese sarà affare individuale. Se sapranno sviluppare progetti di cambiamento strategico alti e forti si svilupperanno. Soprattutto, produrranno più cassa. Altrimenti no!
Poiché una grande parte delle imprese italiane non è in grado, da sola, di sviluppare progetti di cambiamento strategico e il loro posizionamento strategico (Il posizionamento strategico è quello che determina la capacità di produrre cassa) è molto debole e sta peggiorando, la previsione non può che essere un ulteriore aumento di crediti deteriorati. Ben al di là dei crediti deteriorati dichiarati e di quelli conosciuti, ma non ancora non dichiarati.

Quale proposta in questa condizione? Le banche devono accettare la sfida dello sviluppo “locale”.
Ogni dipendenza deve diventare il luogo dove le imprese trovano, prima di tutto, risorse cognitive (conoscenze e metodologie di strategia d’impresa) che permettano loro di sviluppare progetti di cambiamento strategico alto e forte. Il luogo dove trovano la capacità di valutare Progetti Strategici.
Oggi le banche non dispongono delle conoscenze e delle metodologie di strategia d’impresa necessarie. Allora è necessario e propedeutico allo sviluppo delle imprese che le banche si dotino di queste conoscenze e metodologie.

Alla fine, insomma, la sfida dello sviluppo è, sostanzialmente, una sfida cognitiva. Questa sfida la devono vincere, prima di tutto, le banche. Poi, potranno vincerla le imprese. E così, riuscire a costruire sviluppo. I manager delle banche dimostreranno la loro “competenza” guidando le banche a vincere la loro sfida cognitiva.

sabato 4 gennaio 2014

E se avessero ragione (almeno un po’) le banche?

di
Francesco Zanotti


Nel mese di dicembre è diminuito ancora il credito alle imprese.
E tutti pensano che bisogna fare qualcosa perché aumenti. Ma se avessero una qualche ragione anche le banche a dare meno credito alle imprese?
Provate a mettervi dal punto di vista delle banche. Esse devono prestare i soldi a chi potrà restituirli nel futuro. Visto che non prestano soldi loro, ma quelli dei risparmiatori.
Ora, se le imprese chiedono soldi, è perché oggi non producono abbastanza cassa. Come fa una banca a capire se produrranno nel futuro una cassa sufficiente a restituire i prestiti?
Solo valutando il progetto di futuro delle imprese. Cioè il loro Progetto Strategico. Esso deve spiegare in modo convincente perché l’impresa produrrà cassa nel futuro.
Ma se le imprese non hanno un progetto strategico di questo tipo cosa può fare una banca?
Mi si può obiettare che tanto la banca non sa valutare Progetti Strategici. Ma questo non comporta che le imprese sono dispensati dal farlo.
Ma se le banche sono così pretenziose, allora rivolgiamoci altrove: vi è, ad esempio, lo strumento dei minibond. Ma per chi non vuole fare Progetti Strategici si cade dalla padella nella brace. Il criterio decisionale che seguono coloro che acquistano minibond è proprio il Progetto Strategico dell’impresa!
La conclusione è inevitabile: le imprese devono produrre Progetti Strategici che spieghino come riusciranno a produrre cassa nel futuro. Le banche e tutte le altre istituzioni finanziarie devono imparare a valutarli.

Per vincere questa sfida le banche, le imprese e le altre istituzioni finanziarie devono dotarsi delle più attuali conoscenze e metodologie di strategia d’impresa.

mercoledì 1 gennaio 2014

Care banche … tocca a voi fornire nuove risorse cognitive

di
Francesco Zanotti


Dopo tutto l’eroe del futuro, Steve Jobs, è riuscito a immaginare solo un pezzettino piccolissimo di futuro. Un strumento. Che è diventato l’icona della innovazione perché non c’era di meglio.
Però anche solo una innovazione strumentale ha saputo raggiungere l’obiettivo che tutte le imprese e tutti coloro che hanno interesse allo sviluppo delle imprese sperano di raggiungere: aumentare la loro capacità di produrre cassa.

Noi oggi. Rischiamo (salvo lodevoli eccezioni) di inseguire solo innovazioni ancora più banali di quelle di Steve Jobs. E, quello che è peggio, di percorrere la strada della conservazione. Innovazioni ancora più banali perché non sono neppure l’invenzione di prodotti nuovi, ma riguardano qualche piccolo miglioramento prestazionale delle cose che già produciamo. La strada della conservazione (la più seguita) perché cercare una competitività di costo è voler ostinatamente continuare a fare lo stesso mestiere che si sta facendo, in qualche caso, da generazioni.
Innovazioni banali riusciranno, forse, a garantirci una sopravvivenza stentata per qualche tempo. Nessuna competitività di prezzo ci porterà a sopravvivere: sarà immediatamente annullata dai concorrenti.
Certo, né innovazioni ancor più banali né anche le più dura ricerca di competitività di prezzo porterà le imprese ad aumentare la loro capacità di produrre cassa. E questo non permetterà di aumentare quantità e qualità dell’occupazione, non rilancerà, quindi gli acquisti, non permetterà di aumentare il gettito fiscale pur riducendo le aliquote.
Soprattutto aumenterà le problematicità dei bilanci del sistema bancario.

Se questo è vero, allora dobbiamo avere il coraggio di ammettere che la crisi che oggi stiamo vivendo ce la stiamo costruendo da soli. Infatti, in un mondo che sta chiedendo innovazioni profonde (nuove esigenze esistenziali, un nuovo rapporto tra l’Uomo e la Natura) noi continuiamo a proporre gli stessi prodotti, costruiti nello stesso modo, mettendone in discussione noi per primi il valore perché siamo convinti che li venderemo solo continuando ad abbassare il prezzo. Come possiamo pensare che questo modo di fare impresa possa generare cassa? Non può! E se è il nostro modo di fare impresa che ci impedisce di generare cassa, allora la crisi l’abbiamo costruita e continuiamo a peggiorarla noi.

Per superare la crisi tornando a produrre cassa, dobbiamo attivare una nuova stagione di progettualità imprenditoriale. Che vada ben al di là di quella di Steve Jobs. Dobbiamo immaginare prodotti e servizi radicalmente nuovi, modalità di produzione e servizio altrettanto nuove. Dobbiamo diventare nel mondo i profeti della nuova società prossima ventura. E questo l’unico modo per tornare a produrre cassa.

Ma ce la possiamo fare?
Sì perché la qualità della progettualità imprenditoriale non dipende da qualità innate. Dipende dalle risorse cognitive di cui si dispone. Per aumentare la qualità della progettualità imprenditoriale basta buttare nuove risorse cognitive nel sistema imprenditoriale. Queste nuove risorse cognitive sono costituite dalle conoscenze e dalle metodologie di strategia d’impresa. Attraverso di esse è possibile generare Business Plan che raccontano progetti di innovazione profonda. E’ possibile “misurare” quanta innovazione profonda sia presente nei business plan esistenti.

Chi può fornire queste nuove risorse cognitive agli imprenditori? Le banche. Dovranno distribuirle ed invitare gli imprenditori ad usarle. Dovranno usarle per prime per valutare la profondità della innovazione dei business plan che vengono loro proposti.