"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

venerdì 14 novembre 2014

Più tecnologia = meno occupazione? Il problema è da un'altra parte

di
Luciano Martinoli


Un articolo apparso su un inserto del sole24ore di qualche giorno fa ripropone un tema che appare frequentemente nel dibattito sociale ed economico: l'aumento della tecnologia riduce l'occupazione e i prezzi dei beni.
E' un'affermazione senz'altro vera i cui effetti sono già stati visti in passato ma, sostenendo questa tesi, si denuncia una visione miope sul fenomeno: la tecnologia crea anche nuove opportunità, di prodotti e di lavoro.

Qualche mese fa un articolo di Harvard Business Review riportava il risultato di un lavoro di ricerca a tal proposito, ovvero sull'uso della tecnologia e innovazione e sulle conseguenze che può avere nelle aziende.
la Performance-improving innovation mira a rimpiazzare vecchi prodotti con nuovi modelli. La Efficiency innovations è utile, in quanto mira a fare e vendere prodotti maturi agli stessi clienti ma ad un prezzo più basso. Entrambe però producono come effetto "secondario" la diminuzione dell'occupazione.
Ciò che consente un aumento di occupazione, non sostituibile con le macchine, è la Market-creating innovation che trasforma prodotti complicati e costosi in modo così radicale che creano una nuova classe di consumatori o un nuovo mercato (a noi piace chiamarlo un «nuovo mondo»).

Questa elegante, e senz'altro fondata, sintesi è compresa in una nostra più profonda e articolata tassonomia degli intenti strategici delle aziende e della loro inevitabile degenerazione illustrata nella figura seguente.



Appare allora evidente che senza riproporre una nuova genesi imprenditoriale, o "re-start-upping" per usare un termine oggi in voga, il senso dell'impresa degrada naturalmente, con impatto ovviamente sui risultati economico-finanziari e patrimoniali, fino a spegnersi del tutto. E con il degrado delle prestazioni economiche diminuisce anche l'occupazione.
L'uso delle tecnologie, in ogni fase, accelera il passaggio alla fase successiva.

E' allora chiara la lettura di un certo uso della tecnologia: se applicata solo per realizzare efficacia ed efficienza essa accelera la diminuzione di occupazione. Invece ne crea se utilizzata per creare quel "nuovo" che non è insito nella tecnologia, ma va costruito in termini di "significato".

Come fare a creare nuovi significati per le tecnologie più avanzate che oggi abbondano intorno a noi ed evitare che esse si limitino a farci fare  meglio e a meno ciò che già facciamo?
Cioè, in termini della figura precedente, come risalire la deriva di significato strategico?

E' una domanda la cui risposta è nella nostra testa, o meglio nelle qualità ed abbondanza di "risorse cognitive" disponibili a chi fa impresa, e non solo. Solo con nuove risorse cognitive ci sarà la possibilità di dare significato originale alle tecnologie.
Il dibattito intorno a questo tema chiave, allora, è ancora povero. Le affermazioni "+ tecnologia = -occupazione" sono la misura della povertà delle risorse cognitive che ci obbligano a guardare solo il passato (il termine "ripresa" è paradigmatico in tal senso) gettandoci in un triste presente e allontanandoci la possibilità di un futuro migliore perché diverso.
Istituzioni, aziende, attori sociali, attori politici, e tutti coloro che hanno a cuore il bene della nostra comunità dovrebbero con ansia andare alla ricerca di esse, e non di piccole trovate dal respiro corto per nostalgici ritorni ad un passato che, come tale, non potrà tornare mai più.
E ci costringe alla triste, e apparentemente irrisolvibile, equazione che mette in relazione negativa la tecnologia e l'occupazione.


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