"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

mercoledì 21 gennaio 2015

Il pasticciaccio delle Banche Popolari

di
Francesco Zanotti


Un bell'articolo di fondo di Marco Onado sul Sole 24 Ore di oggi descrive con equilibrio pregi e difetti del decreto che impone il cambiamento della logica del voto capitario nelle grandi Popolari.
Dice che certamente il decreto aiuta il superamento di tutte le strumentalizzazioni del voto capitario. Ma propone una serie documentata di dubbi che vale la pena di leggere direttamente sul giornale proprio per apprezzarne la significatività.
In questo post vorrei rincarare la dose ed avanzare altri due “dubbi strategici” che  giustificano appieno il titolo di questo post.

Nella terza pagina dello stesso giornale Luca Davi evidenzia la conseguenza di questo decreto: ora partono le aggregazioni.
Ecco le aggregazioni, appunto. Già nell'articolo di Onado vi sono dubbi sui benefici che possono produrre i processi aggregativi.  Forse qualcuno ricorderà che alla fine del secolo scorso le dieci Banche Centrali più significative commissionarono un rapporto, il Rapporto Fergusson, dove si dichiarava, già allora ed apertamente, che non vi era alcuna evidenza empirica dei vantaggio dei processi di aggregazione. Mentre erano evidenti i rischi del “too big too fail”.
Condivido queste riserve, ma sostengo che oggi sono più rilevanti i rischi che non sono stati evidenziati e che definisco, appunto, “strategici”.

Quali sono?
I rischi sono che il management si concentrerà in operazioni societarie e si dimenticherà della improrogabile esigenza di una rilevante innovazione strategia ed organizzativa.

Innovazione strategica. E’ indispensabile riprogettare il ruolo della banca nello sviluppo dell’economia. La banca non può più limitarsi a fornire denaro e servizi che riguardano il denaro. Non può limitarsi a decidere se una impresa è buona o no.
La banca deve stimolare e saper valutare la progettualità imprenditoriale. Per fare questo deve acquisire conoscenze e metodologie di cui non dispone: le conoscenze e le metodologie di strategia d’impresa. Così facendo potrà, da un lato, avviare una nuova area di business (la consulenza strategico-imprenditoriale) e, dall'altro, potrà consolidare il suo stato patrimoniale aumentando la qualità del credito.
Detto diversamente: non ha più senso parlare di imprese buone (a cui prestare i soldi) e imprese “cattive” (a cui non darli). Le imprese attuali (tutte) devono cambiare radicalmente la loro identità strategica. Devono avere progetti su come fare questa rivoluzione. Allora il ruolo della banca non può che essere quello di fornire alle imprese le risorse cognitive per attuare questa rivoluzione.
In sintesi, il ruolo della banca non può che essere quello di far diventare buone le imprese nel futuro.
Evidenziata questa esigenza, ecco pensate a come reagisce il top management se gli si proponete di riflettere su questi temi. Vi dirà: sì, interessante (perché i top manager delle banche sono persone squisite), ma ora sono in altre faccende affaccendato. I processi di aggregazione appunto.
Potreste rispondere: ma che senso ha aggregare debolezze che se non si fa qualcosa diventeranno ancora più deboli? Ma la vostra obiezione ve la fareste da soli perché il top management è squisito sì, ma più di tanto non si lascia distrarre dalle sue priorità …

Innovazione organizzativa.
La banca (il management e gli azionisti) deve ricordarsi che la strategia efficace (quella che genera il conto economico) è data dai comportamenti delle persone, all'interno ed all'esterno.
Ora l’attuale cultura manageriale non offre né alcuna idea, né alcuno strumento per poter governare i comportamenti delle persone. La banca, accanto, insieme e sinergicamente ad una nuova cultura strategica, deve acquisire anche una nuova cultura organizzativa.
Evidenziata questa esigenza, tornate dal top manager di prima e ditegli che, mettendo insieme due organizzazioni, ne genera, ovviamente, una terza più grande. In essa il problema di non saper governare i comportamenti diventa, altrettanto ovviamente più grave.
Forse su questo tema non riuscite neanche a parlarci.

Concludendo, se le aggregazioni guidano l’agenda del top management delle banche, attendiamoci che l’innovazione che le banche sapranno fare sarà, al massimo, quella di cercare di trasformare la filiale in un supermercato. E le imprese saranno lasciate sole a ... fallire. Con evidenti effetti devastanti sulle grandi banche che nasceranno dai processi di aggregazione. A quel punto “grande banca” significherà solo grandi costi perché gli asset (crediti alle imprese) diminuiranno proporzionalmente a quanto le banche rifiuteranno di fornire alle imprese stesse conoscenze strategico organizzative per avviare le rivoluzione strategiche che permetterebbero loro di non fallire..

Se questo discorso ha valenze generali, esso è, però, particolarmente significativo per le Banche Popolari. Esse erano le migliori candidate ad avviare la rivoluzione strategica del sistema bancario.
Se le concentriamo sulle aggregazioni blocchiamo completamente le speranze di rivoluzione strategica (dalla finanza alla conoscenza) del sistema bancario.


Un bel pasticciaccio.

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