"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

giovedì 23 aprile 2015

La competizione e le battaglie di prezzo

di
Francesco Zanotti

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La competitività è il valore supremo? Diventare più competitivi è la strategia regina?
Stupidaggini.

Nessuna battaglia competitiva può essere vinta.
Infatti, sia la teoria che l’esperienza dimostrano che ogni (eventuale) acquisizione di vantaggio competitivo è sempre meno intenso e durevole e finisce sempre di più in una competizione di prezzo. E le battaglie di prezzo sono le più cruente: garantiscono che proprio nessuno, tra coloro che vi partecipano, riusciranno a sopravvivervi.
La ricerca di un vantaggio competitivo stabile è come la ricerca della presunta bacchetta magica che ci si illude possa risolvere ogni guaio, il Santo Graal che tutti cercano, ma nessuno trova, di qualche Deus ex machina misericordioso.

La competizione, quindi, non va combattuta, ma eliminata ritornando ad immaginare e proclamare nuovi prodotti e servizi, ologrammi di una nuova società che sia progresso e futuro della società industriale.

Possiamo e dobbiamo aggiungere anche altre osservazioni.

La prima è che la ricerca della competitività finisce per diventare un discorso di alibi referenziale.
Intendo dire che si finisce per cercare di diminuire i costi (in vista di un vantaggio di prezzo) solo rispetto al proprio passato. E questo è il massimo del “non sense” perché si tratta di una azione che rende l’impresa più competitiva solo rispetto a se stessa, ma non rispetto ai concorrenti.
A dimostrazione di quanto un discorso autoreferenziale sia diffuso vi sono i processi di ristrutturazione del debito. Essi (palesemente) non funzionano proprio perché sono fondati su progetti di riduzione dei costi che cercano di far diventare l’impresa competitiva solo rispetto al suo passato.

Per concludere, le strategie di competitività sono anche cognitivamente bloccanti perché sono orientate a far funzionare meglio il presente.
Mortificano l’innovazione perché finalizzano anch'essa alla conservazione. Uccidono anche la speranza perché l’immergersi nella conservazione obnubila la vista: impedisce di “vedere” le potenzialità e le richieste di futuro.
Sono, allora, strategie di conservazione in un mondo che chiede alle imprese rivoluzioni strategiche.

Per noi la competizione sarebbe una trappola mortale
Supponiamo per un attimo che la crescita della competizione sia inevitabile perché non vi sono spazi per nuovi prodotti e servizi ad alta intensità esistenziale ed innovatività funzionale. Se così fosse, la crisi delle nostre imprese sarebbe irresolubile.

Infatti è vero che la crescente competizione “colpisce” tutti i paesi industriali allo stesso modo. Ma dal punto di vista del competere sugli attuali prodotti e servizi (giocare soltanto sulla innovazione tecnologica e sull'efficienza e l’efficacia organizzativa), un’importante parte delle nostre PMI (la struttura portante del nostro sistema economico e, quindi, sociale) non ha alcuna possibilità di superare la sua attuale debolezza competitiva in tempi ragionevoli.
In sintesi, il cercare di aumentare la competitività delle nostre imprese per affrontare la competizione significa cercare di combattere una battaglia nella quale, strutturalmente, non vi possono essere vincitori. E noi si parte svantaggiatissimi.

Detto a mo’ di slogan, se cerchiamo di risolvere la crisi diventando più competitivi, riusciremo solo a vincere una competizione al contrario: saremo i primi a perdere. Cioè saremo i primi a buttarci, da soli, nella brace più calda che c’è.


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