"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

giovedì 9 luglio 2015

Crediti deteriorati e scarti produttivi: considerazioni sulla relazione del Presidente ABI

di
Luciano Martinoli


All'inizio del mantra della "qualità totale", circolava una storiella sulla superiorità giapponese nel settore rispetto agli americani. Un'azienda statunitense, primi anni '70, ordinò 10.000 chip di memoria ad un fornitore giapponese, specificando che avrebbero accettato non più dello 0,5% di pezzi malfunzionanti. Alla consegna della fornitura un funzionario giapponese presenziò il controllo della qualità dei prodotti forniti. Con grande soddisfazione, ma anche con grande sorpresa, i manager americani constatarono che tutti i chip erano perfettamente funzionanti. Alla comunicazione dell'accettazione completa e di soddisfazione della fornitura al funzionario giapponese, questi diede ai colleghi americani una scatola. Sorpresi, chiesero del contenuto e il giapponese disse loro che conteneva "i 50 pezzi malfunzionanti richiesti".
Mentre per gli americani, all'epoca, gli scarti erano fisiologici, e per individuarli dispiegavano importanti e costose risorse per identificarli una volta che i prodotti erano già costruiti , i giapponesi avevano risolto il problema alla radice.
Sappiamo poi come è andata a finire: si è scoperto che la "Qualità totale" è un processo che parte dalle attività per costruire un manufatto e la sua diffusione, ormai su scala planetaria, ha consentito, tra i vari benefici, il miglioramento dei prodotti e la diminuzione dei costi attraverso l'eliminazione degli scarti.
Ma cosa centrano i crediti deteriorati?
Un dirigente di una banca regionale di recente costituzione, alla domanda di come stessero andando le cose ci rispose: "bene, molto bene. Certo iniziamo ad avere qualche sofferenza ma si sa, prima o poi quelle arrivano sempre."
L'affermazione di quel dirigente deve essere convinzione comune tra i bancari e banchieri. Infatti sul sole24ore di oggi viene riportato l'intervento del Presidente dell'ABI Patuelli che a proposito di questo tema interpreta le "ipotesi di aumentare gli assorbimenti patrimoniali a soglie addirittura superiori al 20% per le banche sistemiche, così come la proposta di rendere ancora più stringenti i criteri per considerare deteriorato un credito" come una minaccia al mestiere della banca.
Evidentemente fa riferimento a voci su prossime decisioni della BCE.
Più avanti cita il dato delle sofferenze bancarie italiane ad aprile, arrivato a 191 miliardi, e manifesta l'apprezzamento per "il ruolo lungimirante della Banca d'Italia e l'impegno del Governo di trovare nuovi strumenti per favorire lo smaltimento della massa dei crediti deteriorati."

Sembra che sia i regolatori (BCE, Banca d'Italia, Governo) che gli operatori (le banche) siano profondamente convinti che le sofferenze sono assolutamente inevitabili e dunque bisogna preoccuparsi di come considerarne preventivamente i costi una volta che saranno (certamente) individuati, ma non si sa in quale quantità (proposta BCE), e di come smaltirli nel modo più efficace ed efficiente possibile una volta identificati. L'ipotesi che si possano evitare, e dunque la ricerca di strumenti per poterlo fare, sembra non essere tema in agenda a nessuno.
E' come se, tornando alla nostra storiella iniziale, tutti quanti ragionassero come i manager americani degli anni '70.

E se invece qualcosa di simile alla Qualità Totale dei prodotti esistesse anche per le attività creditizie per evitare la produzione degli scarti, che in ambito bancario sono le sofferenze? 
Perchè non cercarle, non portare il dibattito, ma anche lo sforzo di "ricerche di conoscenza", in quella direzione?
O, addirittura, se tali conoscenze esistessero già, la Corporate  Strategy, ed esistessero anche strumenti che la utilizzano (Rating dei Business Plan), perchè non verificarli per considerare l'obiettivo "zero incagli " alla stessa stregua di "zero difetti" dei manufatti?

Penso che le risposte a queste domande passino da una presa di coscienza reale, e non solo retorica, di una profonda rivisitazione del modo di fare banca, cercando e valutando "risorse cognitive", spunti e stimoli fuori dal perimetro strettamente bancario come fu definito, e rimasto immutato, ormai alcuni secoli fa. Tale ripensamento deve essere certamente un invito dagli stakeholder a fare meglio (BCE, Banca d'Italia, Governo, aziende, ecc.: cosa fate voi banche per evitare le sofferenze bancarie pur continuando a fare il vostro lavoro? Detto in altri termini: cosa fate per migliorare il modo effettivo di fare banca?). Ma, sopratutto, dovrebbe essere una motivazione di business dei singoli istituti per rimanere sul mercato, se sono davvero aziende come amano a volte ricordare, per scongiurare l'arrivo dei "giapponesi bancari" capaci di ottenere "zero scarti" (nessuna azienda produttiva ha mai chiesto, nè mai si sognerebbe di chiedere, tutele "di sistema" per l'inefficienza del proprio processo produttivo). E, prioritariamente, dovrebbe essere una precisa responsabilità (sociale?) delle banche nazionali se vogliono continuare ad avere un ruolo attivo di sviluppo per questo paese come hanno sempre fatto da quando noi italiani abbiamo inventato il concetto di "banca".

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