"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

martedì 4 ottobre 2016

A quando un dibattito su come dovranno cambiare le banche?

di
Luciano Martinoli


Tutti invocano un cambiamento del modo di fare banca ma nessuno si espone per affrontare il tema. Perché i media su questo terreno, che è il loro, sono latitanti?

Sull'inserto Affari e Finanza de la Repubblica di ieri è apparso un bell'articolo di rassegna e sintesi dello stato attuale del nostro sistema bancario.
Già il titolo indica il sempre più evidente nodo da sciogliere "Aumentare i ricavi e ridurre i costi non è più sufficiente", ma è il finale che sottolinea l'urgenza della impellente sfida che le banche devono affrontare:

"...lasciare il ventesimo secolo ed entrare nel ventunesimo, cambiando molto, anzi quasi tutto, struttura, organizzazione, cultura. Il loro mestiere di raccogliere il denaro dei risparmiatori e investirlo con prudenza e intelligenza rimarrà quello di sempre... , il loro ruolo di favorire lo sviluppo economico resterà fondamentale. Ma il modo, quello lo dobbiamo ancora scoprire."

Chi è che deve "scoprire" questo "modo"?
Le banche, nei loro documenti programmatici (quei Business Plan che dovrebbero illustrare in modo specifico e articolato i "modi" di fare Business, e solo dopo i risultati che tali modi generano) laddove e allorquando lo rendono pubblico, spacciano piccoli aggiustamenti come cambiamenti epocali. Al loro interno i manager cercano il consenso degli analisti. Gli analisti, in assenza di proposte da chi conosce il mestiere (i banchieri), si limitano a suggerire l'ovvio (smaltimento NPL, riduzione costi, aumentare ricavi). Gli azionisti, interessati solo al loro ritorno a breve, sono incapaci di esprimere una coraggiosa classe di manager imprenditoriali. I regolatori si limitano a tiepide raccomandazioni o a rendere irta di ostacoli le strade che non dovrebbero essere più percorse. La politica è preoccupata, come sempre, solo del sempre più precario equilibrio tra l'interventismo e i sui costi e come venga percepito in termini di consenso. 
E i media?

Il loro mestiere dovrebbe esser quello di far emergere quel "modo", inaugurando una stagione di dibattito sull'argomento e sollecitando le parti affinché prendano la responsabilità delle loro affermazioni così come dei loro silenzi, esprimendo giudizi sia sul primo atteggiamento che sul secondo. Ad oggi invece la narrazione si è concentrata prevalentemente sui tecnicismi per trovare rimedio ai danni provocati dal vecchio modo di fare banca, non per parlare del nuovo modo e, in assenza, è evidente che tali danni si riproporranno. Il risultato è che tutti si sono convinti che, essendo questo il tema all'ordine del giorno (perché sono i media che dettano l'agenda), basta affrontarlo e risolverlo che tutto volgerà di nuovo al meglio.

Auspichiamo allora che qualche testata e giornalisti "coraggiosi" raccolgano questo appello. Nel caso avvenga osiamo alzare prontamente la mano per sottoporre una prima proposta, che parte da un punto di vista nuovo (e che potrebbe costituire la scaletta del dibattito). Siamo sicuri che altre mani si alzeranno dando un contributo decisivo a individuare il "modo di fare banca" del nuovo secolo.

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