"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

lunedì 30 gennaio 2017

Crediti deteriorati: colpa del destino?

di
Francesco Zanotti

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La situazione alla fine potrebbe essere ridicola se non fosse tragica …

Ma da dove vengono i crediti deteriorati? La risposta delle banche è chiara, anche se nessuno ha il coraggio di dirla ad alta voce.  La loro riposta/convinzione è: noi abbiamo prestato ad imprese sane. Poi è venuta la crisi che ha colpito le imprese sane …

Sciocchezze. Il vero problema è che le banche sanno riconoscere solo le imprese che sono state sane nel passato. Ed a quelle prestano. Il problema è che in un mondo in cambiamento occorre prestare a quelle che vogliono essere sane nel futuro. Cioè a quelle che hanno progetti di futuro alti e forti perché il futuro non accade, ma lo si costruisce. Purtroppo le banche non sanno valutare i progetti di futuro. Non sanno neanche come devono essere fatti. E, quello che è peggio, non  vogliono imparare a valutarli. Auguri a tutti noi per i prossimi aumenti di capitale, visto che saranno fatti coi nostri (di cittadini o risparmiatori) soldi.

venerdì 27 gennaio 2017

Bonus e robot: pessima accoppiata

di
Francesco Zanotti

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Sole 24 Ore di oggi. La pagina dell’inserto Imprese&Territori titola in prima pagina: L’attesa dei Bonus frena i robot. E tutti giù a esortare parlamento e Governo a “chiarire al più presto le norme applicative” (articolo di Lello Naso) perché le imprese attendono l’iper ammortamento per comprare robot … Povero noi …

Perché poveri noi?
Ma non sentite che la debolezza imprenditoriale … non brilla per nulla nell’aria. Anzi, la rende uggiosa, nebbiosa.
Se un imprenditore ha un progetto sviluppo alto e forte, che gli farà aumentare di molto la sua capacità di generare cassa, e per realizzarlo ha bisogno di qualcosa, trova il modo di comprarla e subito. Anche a costo di impegnarsi la nonna. Poi se ci saranno i bonus .. arriveranno quando non ci penserà più…

Se, invece tutti aspettano l’iper ammortamento tanto che sta calando la domanda interne di Robot, allora significa che i progetti alti e forti non ci sono. Sono banali progetti di sopravvivenza che hanno bisogni di aiuti esterni per realizzarli ... Un'aria economica uggiosa e nebbiosa.

martedì 24 gennaio 2017

Intesa/Generali: siamo tornati agli anni ’80 …

di
Francesco Zanotti

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Oggi tuti i giornali parlano di IntesaSanPaolo e Generali come due giganti che, con la corte dei loro azionisti, stanno combattendo battaglie epocali. Ma queste cose si facevano negli anni ’80 e non sono state certamente foriere di sviluppo. Sono state vere e proprie armi di “distrazione di massa”

Per approfondire prendo come riferimento l’articolo di Alessandro Graziani sul Sole 24 Ore di oggi. Il dott. Graziani sostiene che ogni operazione societaria (IntesaSanPaolo che compra le Generali) deve avere soprattutto un significato industriale. Salvo poi dichiarare che se la soluzione della battaglia appena accennata fosse che se uno dei due contendenti (o tutt’e due) finiscono in mani straniere questo si ripercuoterà sulla gestione de debito pubblico perché il Governo non avrà più potere di “moral (e anche molto più forte di Moral) suasion". E, quindi, auto contraddicendosi  perché introduce un criterio non certo societario per giudicare una operazione finanziaria.
Ma lasciamo stare questo dettaglio. La domanda che mi pongo e pongo socialmente è: ma cosa si intende per Piano industriale? Diamine, mi si risponderà: lo sanno tutti. Bene a tutti coloro che dicono “lo sanno tutti” chiedo: provate a darmi almeno l’indice dei temi che dovrebbe trattare un Piano industriale. E, poi, provate a trovare un criterio per valutare la qualità di un Piano industriale. Credo che nessuno di quelli che discutono sui media di Piani industriali sappia rispondere a questa domanda.

Ed allora tutto perde di senso. Le operazioni finanziarie non sono altro che la riedizione delle scalate degli anni ’80 che sono finite con l’essere vere e proprie armi di distrazione di massa del management e degli azionisti dal loro compito primario di costruire lo sviluppo strategico ed organizzativo delle società ad essi affidate.

sabato 21 gennaio 2017

Un dibattito sul futuro delle aziende: il caso inglese

di
Luciano Martinoli


La richiesta di contributi sulla Corporate Governance è l'occasione, per il Governo Inglese, di stimolare un dibattito sull'economia. Cosa si fa invece da noi?

Qualche mese fa il Governo Inglese ha emesso un Green Paper sulla riforma della Corporate Governance. Non si tratta solo di una richiesta di suggerimenti su dettagli tecnico-burocratico sul funzionamento delle Corporate, ma l'apertura di un vero e proprio dibattito per "una economia che lavori per tutti e non solo per pochi privilegiati",  come lo stesso Primo Ministro May chiarisce nell'introduzione. Si tratta, già in queste parole di un'importante cambio di prospettiva, mai considerata da parte di un Governo e un ente sovranazionale, ovvero che l'economia non va affrontata solo dall'alto ma è la somma dei comportamenti delle singole aziende e che da lì bisogna ripartire.

Vi è inoltre la volontà di dare supporto a "...business forti che si focalizzino sulla creazione di valore a lungo termine e suscitino sicurezza e pubblico rispetto"  oltre a ripristinare "fiducia e sicurezza dei clienti, dipendenti e del più ampio pubblico" delle Corporate.

Intendimenti di ampio respiro, articolati in un questionario, aperto a commenti e divagazioni sui temi, al quale risponderemo proponendo come unica nuova regola l'adozione obbligatoria di un linguaggio per progettare e render pubblico lo sviluppo della Corporate (come rendiamo noto da anni da questo blog).

Vi sono iniziative nostrane analoghe?
All'orizzonte non se ne vedono. I governi italiani sembrano essere capaci di accogliere e promuovere istanze esterne certamente importanti, come l'Industry 4.0, ma appaiono totalmente inetti nello stimolare un dibattito su "un progetto di lungo periodo sul destino del Paese", come invocava un articolo del sole24ore di qualche giorno fa che indicava in tale mancanza una delle radici della difficile simbiosi banca-impresa, così vitale per lo sviluppo di qualsiasi economia.

Anche in questo caso, forse, è un problema di linguaggio. Come esprimere, infatti, il desiderio di un dibattito su un progetto se manca il linguaggio progettuale?

venerdì 20 gennaio 2017

Rifondare rapporto banca-impresa… Ma come?

di
Francesco Zanotti

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Il riferimento è ad un articolo apparso oggi sul Sole 24 Ore a firma Paolo Bricco e Marco Ferrando.
Pregevole, ma si cita il problema (l’esigenza di costruire un nuovo rapporto tra banca ed impresa), non si propone una soluzione …

Credo che nessuno contesti l’esigenza di costruire un nuovo rapporto tra banca ed impresa. Credo che tutti condividano le conclusioni, certamente espresse con chiarezza, a cui giungono gli Autori.
Ne riporto i tratti essenziali …
“In un contesto tanto contraddittorio e privo di un baricentro, ecco che il completarsi della parabola della fine della grande impresa … e la perdita di identità e di efficienza del sistema bancario .. disegnano il profilo di un paesaggio industriale e finanziario che nel suo insieme non ha una direzione strategica e non ha un progetto sistemico …”.
Bene. Condividiamo tutti tutto. Anche se qualche domanda ce la facciamo: se il sistema bancario ha perso di identità ed efficienza perché lo affidiamo sempre agli stessi manager che hanno generato questa perdita di identità ed efficacia?
Ma lasciamo perdere. E poniamoci una domanda più importante. Dobbiamo recuperare capacità e spessore progettuale a tutti i livelli, ma come si fa? Solo dichiarando che è necessario farlo?
A noi sembra di avere una proposta: occorre fornire a manager ed imprenditori nuove risorse cognitive. Esse sono costituite dalla conoscenze e dalla metodologie di strategia d’impresa che oggi sono del tutto ignote. Ma anche, almeno, i rudimenti delle scienze umane perché si possano realizzare i progetti che vengono sviluppati.
Sarà possibile discutere di questa proposta che, tra l’altro, se non mi sbaglio, è l’unica in campo per risolvere la crisi così lucidamente descritta da Bricco e Ferrando?


lunedì 16 gennaio 2017

Il lavoro: un primo passo al di là delle regole

di
Francesco Zanotti
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Il riferimento è ad un articolo apparso oggi su Corriere Economia di Daniele Manca. Egli sostiene che le regole (dal Job Act a qualunque altra regola) sono certamente utili (necessarie), ma non bastano (non sono sufficienti). Nel dire cosa manca, però, non arriva fino in fondo …

Certamente è un bel passo avanti ammettere esplicitamente che le regole da sole non bastano. Ad esempio porta a chiedersi: quali altre azioni può fare un governo per costruire sviluppo economico al di là del fare riforme o, aggiungo io, fornire incentivi fiscali?
La proposta del Dott. Manca è che occorrono “ … grandi aziende in grado di trainare con sé in termini di prodotto, di innovazione e di competitività, la filiera del valore delle piccole e medie imprese.”.
Ma credo non basti. Innanzitutto, se le grandi imprese non ci sono, o non sono sufficienti, siamo nei guai. E, poi, se tutto un sistema di imprese vive solo del successo di poche imprese-guida cosa accade se queste vanno in crisi?
Io credo che il discorso centrale debba essere quello della progettualità strategica. Il problema di fondo è che, mediamente (e quando si fa un discorso complessivo è la media che conta) sono i sistemi d’offerta delle imprese a perdere di senso. La madre di tutte le soluzioni è allora una nuova stagione di progettualità strategica. Per attivarle è necessario fornire sia il top manager delle grandi imprese sia agli imprenditori il patrimonio di conoscenze che servono a questo scopo: le conoscenze e le metodologie di strategia d’impresa che sono loro del tutto sconosciute. Lo dimostra il continuo ed ossessivo richiamo alla competitività che è stato la metafora centrale della strategia d’impresa negli anni ’80, ma oggi è completamente superata.

Ora la questione è: chi fornisce alle grandi e piccole imprese e, aggiungo, al mondo della finanza che potrebbe e dovrebbe finanziarie i progetti di ristrutturazione strategica, le più avanzate conoscenze e metodologie di strategia d’impresa? 

venerdì 13 gennaio 2017

Grandi debitori: Scorretti o Sfortunati?

di
Luciano Martinoli


Continua la caccia alle streghe per individuare i responsabili della crisi bancaria nel nostro paese. Stavolta è il turno di chi ha preso i soldi e non li ha restituiti. Ma dove erano, e che facevano, quelli che glieli hanno dati?

Il "mostro" di turno sull'argomento banche, da sbattere in prima pagina, stavolta è il grande debitore insolvente. Dopo la crisi economica, quella è come il prezzemolo: ci sta sempre bene e dappertutto, la BCE che ce l'ha con noi, i vertici bancari truffaldini, adesso è caccia agli insolventi.
Il ministro Padoan getta acqua sul fuoco e ha recentemente dichiarato che "occorre fare un ragionamento più ampio per distinguere i comportamenti scorretti da quelli sfortunati nell’accumulazione del debito".
Traduco, prendendomene tutte le responsabilità: fare business, per il quale servono notoriamente soldi, è attività (anche) truffaldina o legata al caso.
Ci può stare, ma possibile che 300 miliardi di euro lordi di sofferenze siano da imputare solo a gente ispirata da disegni fraudolenti o colpiti da sfiga? 
E se pure così fosse, chi, nelle banche, gli ha dato quei soldi? Seguendo quali criteri? 
E nei  "piani di cambiamento", recentemente presentati da tutte le banche, vi è un accenno alla modifica di tali criteri per evitare di riparlare tra qualche anno di debitori "scorretti e sfortunati"?

Purtroppo il cuore centrale del problema, l'acclarata ed endemica incapacità delle banche di comprendere e stimolare l'economia reale, non viene considerata e, al di là dei comportamenti con rilevanze penali di alcuni manager bancari, si continua ad ignorare la colpa più grande del sistema bancario: il peccato di omissione!
Omissione nel voler accogliere nuove conoscenze, quelle strategiche, che consentirebbero di riconoscere per tempo i furfanti e gli sfigati.
Omissione nell'affrontare seriamente il problema della redditività delle banche, sul quale forse sono incapaci preferendo occuparsi solo di quello patrimoniale (seppur necessario).
Omissione nel mettere al centro della loro attenzione i clienti aziendali, ridisegnando l'offerta per loro dalla testa ai piedi grazie alle conoscenze di cui prima.

Allora forse è opportuno lanciare un appello al ministro Padoan. Oltre ad "avviare un programma di educazione finanziaria" a beneficio dei risparmiatori, con risultati importanti (tutelare il loro patrimonio) ma modesti (di certo non si rilancerà l'economia), sarebbe più opportuno, oltre che urgente, avviare un programma di educazione strategica  a beneficio di tutto il settore bancario.
Solo così riusciremo non solo ad evitare gli scorretti o sfortunati ma addirittura a redimere i primi (forse) e indirizzare (di sicuro) i secondi verso sorti migliori.
Con benefici per tutti.

martedì 10 gennaio 2017

L’ignavia delle riforme

di
Francesco Zanotti

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E’ un commento ad un articolo di Federico Fubini sul Corriere di oggi. Propone una equazione che a me sembra carica di ignavia: une seria riforma nel nostro sistema giuridico come strumento chiave per costruire sviluppo.
Ma mettevi nei panni di un piccolo imprenditore o di una grande banca …

Innanzitutto il dott. Fubini applaude al Governo che ha affrontato con decisione e senza piazzate con la Germania o l’Europa, l’urgenza del Monte dei Paschi.
Poi, però, dice che non basta certo buttare soldi in una banca per risolvere tutti i problemi …
Io mi aspettavo concludesse: occorre che il Monte dei Paschi si doti di una Piano di ricostruzione della sua capacità reddituale alto e forte: offrire un nuovo sistema di servizi per immaginare un nuovo ruolo sociale del fare banca. Esattamente come dovrebbero fare i piccoli imprenditori che soffrono della perdita si senso delle cose che producono. Mi aspettavo un invito ad una nuova progettualità strategica alta e forte.
Invece la sua proposta riguarda sostanzialmente le leggi fallimentari. Secondo lui un grande progresso potrebbe venire dal cambiare le norme fallimentari perché le imprese in crisi possano rimanere operative e le banche possano gestire meglio i loro problemi.
Dove sta l’ignavia?
Sta nel fatto che non si vuole affrontare il problema di fondo. Ci si gira intorno.
E’ dannoso creare le condizioni per le quali banche ed imprese possano non affrontare il loro problema di fondo: il riprogettare la loro identità strategica ed il loro ruolo sociale. E’ dannoso affastellare palliativi su palliativi che costeranno sempre di più alla collettività. Certo anche una migliore procedura fallimentare è utili, ma il vero problema da affrontare è che le imprese non devono andare un crisi. Detto diversamente: che senso ha aiutarle quando sono in crisi, ma non far nulla perché non ci vadano?
Mi si può obiettare che non è ignavia: banalmente il problema di fondo non lo si vede perché non si hanno gli strumenti cognitivi per farlo. Ma allora è anche peggio …



domenica 8 gennaio 2017

Alitalia: se non si conosce come si fa ad investire?

di
Francesco Zanotti

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Mi riferisco ad una notizia dentro la notizia. La notizia “madre” è che Alitalia deve essere salvata un’altra volta. La notizia “figlia” è che Unicredit e Intesa San Paolo stanno valutando se convertire i crediti in azioni. Della notizia figlia voglio parlare: come fanno queste banche a valutare se mancano le informazioni strategiche essenziali?

Quando si decide di investire (non fa grande differenza tra debito e capitale) lo si fa valutando la capacità futura di generare economics dell’impresa in cui si investe.
Cosa permette di capire se una impresa genererà economics nel futuro? Beh le si chiede cosa vuol fare e se ne valuta l’impatto sui conti. Bene e come si fa a capire che impatto sui conti hanno le cose che vuole fare una impresa?
Servono due “informazioni strategiche”.

La prima è la definizione precisa delle unità di business nelle quali è impegnata l’impresa. Nel caso dell’Alitalia vi dovrà essere un cambiamento nella definizione delle Unità di Business. Se questo cambiamento non c’è sarà difficile che, continuando a fare le stesse cose, cambiano i risultati. Ora andate sul sito dell’Alitalia e cercate: modello di business. Ah “Modello di business” è l’espressione di moda con cui si indica la definizione del Business. Ovviamente non trovate nulla. Il sito dell’Alitalia “capisce” solo la voce “modello” e parla dei diversi “modelli” nel senso di “moduli”. Più esplicitamente se cercate il/i modello/i di Business di Alitalia trovare tanti moduli. “Richiesta di rimborso dei bagagli è il primo”. Mi si dirà che non pubblicano la loro definizione del Business per riservatezza. Bene, banalmente non ci credo. Penso che non sappiano neanche cosa sia la definizione del Business.

Ma la descrizione precisa delle unità di business è solo necessaria, ma non è sufficiente. Va completata con il posizionamento strategico di ogni unità di Business. E’ il posizionamento strategico che permetterà di capire se, attraverso quella Unità di Business con quello specifico posizionamento strategico l’impresa riuscirà a generare economics. Sarà anche il posizionamento strategico nelle segrete carte? Oppure, come penso, il posizionamento strategico è un “carneade economico” avvolto dal mistero, anche se indispensabile.
Arrivando alle nostre due banche più importanti, la domanda è lecita: ma se non hanno la futura definizione del/delle Unità di Business di Alitalia, e il conseguente/i posizionamento/i strategico/i, in base a cosa valutano. Spero che la risposta non sia: valutano la modalità tecnica della conversione dei crediti in capitale …

martedì 3 gennaio 2017

Creare valore: Brembo e le banche

di
Francesco Zanotti

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Brembo è approdata al FTSE Mib di Borsa Italiana. La sua capitalizzazione è aumentata del 770 % in 5 anni. La stessa cosa non è accaduta per le banche. Perché?

La risposta è semplice. Brembo si è occupata di rinnovare continuamente il suo mestiere tipico. Le banche si sono occupate di farsi mantenere a spese della collettività perché avrebbero dovuto anch’esse occuparsi del rinnovamento profondo del fare banca.

Detto diversamente, Brembo ha avuto come riferimento il conto economico mentre le banche continuano ad avere occhio solo per lo stato patrimoniale.