"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

giovedì 4 maggio 2017

Non siamo i soli a essere preoccupati per il sistema bancario



di
Cesare Sacerdoti
e Francesco Zanotti

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In un articolo scritto per Micromega (“tentativo di fare il punto sulla situazione del sistema bancario italiano”), Marco Vitale ripercorre quelle che identifica come le principali cause delle attuali criticità, sottolineando la necessità di alzare gli occhi dalle singole crisi bancarie e tentare di ricostruire una visione d’insieme. Aggiungiamo un nostro contributo.

La sintesi delle opinioni del Prof. Vitale
Le prime due cause che Vitale identifica, la trasformazione da banca intermediaria a soggetto investitore in proprio e il gigantismo bancario, non sono originate in Italia, ma il sistema bancario italiano ha la responsabilità di essersi adeguato in maniera passiva in una sorta di resa incondizionata e servile. In particolare per la corsa alla crescita in dimensioni, Vitale ricorda come fossero già forti i segnali e i richiami alla pericolosità di un sistema too big to fail ma anche too big per essere governato e alla illusorietà degli effetti dell’economia di scala sulle banche. E qui Vitale non esita a sottolineare le responsabilità di una permissività eccessiva e acritica di Banca d’Italia, che, peraltro, ha continuato la deleteria prassi di stimolare e, in qualche caso, imporre delle fusioni come risposta impropria alle crisi bancarie, nel tentativo di manipolare e nascondere la crisi invece di affrontarla a viso aperto e con gli strumenti propri e tradizionali che hanno sempre portato a buoni risultati.
Ma la crisi attuale, secondo Vitale, deriva anche dal pensiero dominante che vede nella patrimonializzazione la priorità delle banche (Vitale punta il dito contro l’affermazione di Salvatore Rossi: La stella polare è la forza patrimoniale delle banche che si oppone in maniera drammatica alle convinzioni dei grandi banchieri del secondo dopoguerra per i quali la stella polare del fare buona banca non sta nel livello del capitale ma nella fiducia di cui gode la banca, nella onestà degli amministratori, e in rapporti equilibrati tra le varie forme di attività e passività. Vitale, sconsolato, rileva che non esiste capitale sufficientemente alto per evitare gli effetti della “mala gestio”). E anche qui Banca d’Italia, non solo non si è opposta a tale visione, ma ci si è adeguata, anzi, se ne è fatta semplice portavoce, con la pretesa di cercare di applicare acriticamente da noi impostazioni, approcci e livelli patrimoniali, dettati da paesi da noi molto diversi, in funzione dei loro interessi specifici.
 E questo in forte contrasto con le caratteristiche tipiche del nostro Paese, con la nostra economia di piccole e medie imprese, con un ordinamento che stimola le medie imprese a non crescere, con un mercato dei capitali asfittico, con una classe imprenditoriale brava a fare ma non a governare, con un familismo impressionante, con una dipendenza dall’intermediazione bancaria esagerata, con delle condizioni del credito bancario che presentano livelli di diversità inaccettabili a seconda delle dimensioni delle imprese, con un livello di occupazione molto basso, con differenze territoriali drammatiche.
Vitale infatti sottolinea che Se ci mettiamo sulla strada delle grandi dimensioni e del grande capitale siamo, per definizione, perdenti. Noi dobbiamo concentrarci sulle cose che sappiamo fare e sulle dimensioni che riusciamo a dominare e non scimmiottare gli altri, o farci imporre da altri soluzioni a noi dannose.
L’ultimo aspetto che Vitale prende in considerazione è quello che definisce La guerra contro le banche territoriali e il tentativo di cancellare le Banche Popolari. E’ questa una conseguenza diretta delle cause (Vitale le definisce malattie) sopra descritte, ma è una malattia tutta italiana. Per Vitale, e condivido il suo pensiero, le banche territoriali e il credito cooperativo sono una fortuna per i paesi che li hanno. Sono gli unici strumenti che possono contrastare ulteriori concentrazioni del potere finanziario.
Ora, sia a causa della crisi economica che ha colpito il sistema produttivo italiano, sia per le scelte compiute dal sistema bancario nel suo complesso e dalla politica, ci troviamo di fronte al problema della grave crescita dei crediti deteriorati la cui soluzione richiederà tempo e attenzione costruttiva A questo si aggiunge poi il collasso di alcune banche che si sono trasformati in casi sociali di interi territori. E questi, per Vitale, sono casi plateali di “mala gestio” e, conseguentemente di “mala vigilanza” causata da una debolezza politica e culturale dei vertici di Banca d’Italia.
A tutto ciò si aggiunge l’effetto del “bail in” che in sostanza è una forma di procedura concorsuale, ma che è stata dai nostri rappresentanti subita e recepita con totale e silente passività, ignorando gli effetti sulle operazioni in corso, dando al pubblico una informativa prossima allo zero, non predisponendo strumenti per attenuarne gli effetti in sede di prima applicazione, senza valutare gli effetti a cascata sul sistema, creando una grave perdita nel rapporto di fiducia tra banche e risparmiatori.
L’ultimo aspetto che Vitale prende in considerazione per i suoi effetti sul nostro sistema bancario è l’entrata in vigore della Vigilanza europea che, alla lunga, sarà un passaggio positivo, ma che per ora è portatrice di complicazioni burocratiche enormi, di ritardi dannosissimi nelle operazioni di risanamenti bancari, di manifestazioni di arroganza inaccettabili da parte dei responsabili della Vigilanza europea, di imposizioni spesso estremamente arbitrarie e dannose per il singolo istituto in ristrutturazione.
Vitale quindi punta il dito sulla guida di Banca d’Italia nei 10 anni di crisi, sottolineandone le mancanza sia nel ruolo di guida economica, per non aver saputo leggere correttamente la situazione economico finanziaria, sia come ente vigilante, incapace di anticipare e prevenire le maggiori crisi bancarie per cui, conclude Vitale, il vertice di Banca d’Italia dovrebbe presentarsi alla propria assemblea dimissionario per favorire quell’indispensabile ricambio culturale e operativo, che non può non ripartire dal vertice della Banca d’Italia.

La nostra proposta

Condividendo quasi integralmente le opinioni del prof. Vitale, non possiamo esimerci dal dovere di un passo avanti: quindi cosa è possibile fare?
E’ possibile, doveroso fare almeno tre cose. E tutte queste cose riguardano la conoscenza come risorsa chiave.
La prima: occorre che le banche sviluppino nuove competenze di valutazione del merito del credito, fondate su “ragionamenti” strategici, che sono gli unici che riguardano il futuro. La seconda è che devono offrire servizi di progettualità strategica per rilanciare la nostra imprenditorialità. Così facendo aggiungono alla intermediazione finanziaria una “intermediazione cognitiva” riducendo così i rischi del “prestare” e, contemporaneamente, aggiungendo ricavi da nuovi servizi.
Come scrivevamo questi obiettivi sono raggiungibili se le banche si dotano di conoscenze e metodologie avanzate di strategia d’impresa di cui sono totalmente prive.

Vi è una terza cosa da fare: evitare di innescare drammatici processi di cambiamento che generano solo resistenze e frustrazioni. Li innescano ancora una volta per mancanza di conoscenza. Sono legate a miti manageriali (leadership, motivazione, talenti et similia) che le scienze umane a naturali hanno abbondantemente sbugiardato.

Purtroppo le banche non ci sentono. Se date una occhiata ai loro Piani strategici non si dice nulla di nuove competenze valutative, di nuovi sistemi di servizi di progettazione strategica, di diversi processi di cambiamento.
E non ci sentono perché non sanno sentire: non riescono a rendersi conto che il loro futuro sarà costruito più con risorse di conoscenza che di capitale finanziario.
Ovviamente questo discorso vale anche per la Banca d’Italia che non può esimersi anch’essa dall’acquisire le nuove conoscenze che servino per fare emergere il sistema bancario del futuro.

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