"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

giovedì 13 luglio 2017

Le banche, il dito e la luna

di
Luciano Martinoli


I recenti eventi che riguardano il mondo bancario sono delle chiare indicazioni di una urgenza di profondo cambiamento del modo di fare banca. Purtroppo ci si limita a guardare il dito...

Le vicende toscane (MPS) e venete (Pop Vicenza e Veneto Banca) se da un lato hanno abbassato le preoccupazioni di “sistema”, dall’altro ripropongono il tema di fondo: quale “sistema”?
I termini della questione sono ben sintetizzati dall’intervento del Governatore Visco alla recente assemblea dell’ABI e possono essere riassunti, come ha ben fatto un articolo del sole24ore, in tre punti.

Il primo è il cambiamento della domanda dei servizi finanziari. Le aziende hanno meno bisogno delle banche in quanto iniziano ad attingere il denaro di cui hanno bisogno da altri fornitori (mercato dei capitali) o producendo risorse proprie (che è il caso ideale). Si chiarisce bene a questo punto il senso di quell’Overbanking che la BCE ha indicato nei mesi passati come una delle cause dei problemi bancari. Dunque le banche devono necessariamente iniziare a ridefinire il loro “mestiere”, come d’altronde succede da sempre, e sta succedendo sempre più velocemente, in qualsiasi altro settore industriale.

Il secondo è la redditività. Fare banca, come si è fatto fino a ieri, è un’attività in perdita. Questo certamente per le perdite sui crediti che hanno azzerato gli utili, ma anche per cambiamenti strutturali avvenuti e che, come tali, resteranno (la dimostrazione di tali cambiamenti è l'ammontare mostruoso degli NPL: crediti offerti con criteri inadeguati ai cambiamenti in atto). Dunque un'altra chiara indicazione dell'urgenza di cambiare mestiere.

Il terzo, fortemente intrecciato con i precedenti, consiste nelle sempre maggiori e stringenti richieste di capitali per assorbire perdite in caso di crisi nonché nuove regole contabili sulla svalutazione dei prestiti. Quest’ultimo aspetto è alquanto peculiare, infatti è equivalente ad affermare che non si sa perché il credito diventa “marcio” ma invece di trovarne le cause, e dunque predisporre comportamenti preventivi,  ci si limita ad obbligare tutti a reagire a questa inevitabile evenienza. Insomma anche qui viene evidenziato, in modo nemmeno tanto indiretto, che fare banca nel modo classico non è un gran business.

In conclusione è come se tutti questi eventi, cambiamento richiesta servizi finanziari, redditività, normative più stringenti e altri ancora, indicassero una nuova direzione nella quale guardare (il “cambiamento” da tutti retoricamente invocato), ma tutti si limitano a guardare il dito concentrandosi solo su di esso.
E’ proprio il caso che l’intero sistema reinventi se stesso, argomento di cui non si parla mai sul serio se non per derubricarlo con banali interventi tecnologici per fare poi le stesse cose, solo più velocemente e a minor costo. In difetto, come afferma il governatore Visco, “Per le banche che non riusciranno a far fronte a queste pressioni bisognerà prevedere per tempo interventi che rendano il più semplice possibile, e senza costi per la clientela ordinaria, l’uscita dal mercato”.
Ma con questo andazzo, e la cronica incapacità del settore di cambiamenti profondi, temo che saranno tutte!


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