"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

venerdì 31 marzo 2017

Il punto cieco del dibattito sui robot (e con quali strumenti superarlo)

di
Luciano Martinoli

Il dibattito sull'impatto dell'uso dei robot sul mondo del lavoro e sull'economia in generale, si sta allargando, sollevando molti interrogativi che non trovano risposta. A meno che non si usino conoscenze diverse.

Sul sole24ore del 31 marzo è apparso un ulteriore commento sull'argomento in questione. Stavolta è redatto da di Robert J. Shiller vincitore del premio nobel per l'economia nel 2013. Il suo è uno sguardo pacato e rigoroso sull'intreccio economia-produttività-lavoro-fiscalità che solleva il tema.
Ad un certo punto afferma:

"Gli ottimisti sottolineano che ci sono sempre stati nuovi posti di lavoro destinati alle persone
sostituite dalla tecnologia; ma, poiché la rivoluzione dei robot è in accelerazione, continuano
ad aumentare i dubbi su come questa potrà funzionare."

Verissimo ma, per dare sostegno agli ottimisti, cosa non è in corrispondente accelerazione nel caso dei robot che invece permise ad altre tecnologie di creare nuovi posti di lavoro?

Claire Cain Miller sul New York Times riporta i dati di una ricerca del MIT sugli effetti negativi sul lavoro per l'introduzione dei robot nelle aziende manifatturiere americane. I dati sono molto negativi: a fronte di una decisa diminuzione degli occupati, prevalentemente operai, il timido aumento di altre posizioni lavorative non compensa la perdita. E' come se l'utilizzo della tecnologia, aumentando la produttività per una singola impresa, non contribuisca ad una crescita globale dell'economia.

Qualche spunto di riflessione più preciso lo fornisce un'altra ricerca pubblicata da Harvard Business Review . L'autrice, Anne Marie Knott, ha scoperto che il ritorno per le aziende della loro spesa in R&D è sceso del 65% nei passati 30 anni. E' la ricerca che è diventata più dura o le aziende che stanno peggiorando la loro capacità di utilizzarla?
La Knott, in maniera abbastanza convincente, dimostra che è vera la seconda ipotesi e se ne rallegra perchè "Il problema delle aziende che stanno peggiorando è risolvibile laddove il problema della innovazione che diventa più dura non lo è".
Ecco allora il punto centrale di tutta la questione sui robot e sull'innovazione in generale: essendo strumenti, il loro utilizzo non porta automaticamente benefici. Quindi è alla capacità delle aziende di usarli per un ulteriore sviluppo e non limitarsi all'efficientamento (aumento della produttività) delle attività correnti. 
A tal proposito l'articolo si chiude con un'affermazione emblematica:
"La sfida, ovviamente, è che cosa mettere a posto e come".
La risposta evidentemente non la può dare l'economia, che si occupa delle condizioni "al contorno", come dimostra l'analisi di Shiller, nè chi produce tecnologia e innovazione. La risposta è nella capacità strategica delle imprese di usare le tecnologie innovative per inventare nuovi mercati perchè, come ci ricorda la stessa Knott, "i settori di mercato possono essere spacciati ma le singole aziende non devono necessariamente esserlo anche loro".
L'analisi, lo stimolo e la descrizione di tali capacità strategiche non sono oggetto delle discipline di cui sono esperti i vari commentatori sull'argomento, ma della Strategia d'Impresa. Grazie ad essa il problema strategico può essere descritto, affrontato e risolto, così come l'enorme equivoco sul merito dell'innovazione e il suo legame con lo sviluppo.

La Nutella e la Governance

di
Francesco Zanotti
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Che mestiere fa l’imprenditore? “Inventa” la Nutella … Che mestiere fanno gli eredi? Campano con la Governance …

I giornali (es. Il Sole 24Ore) riportano le ragioni per le quali Ferrero ha deciso un cambio di Governane. Guarda caso una Governane duale …
Le ragioni sono le seguenti: “Rafforzare la propria capacità competitiva sui mercati mondiali del cioccolato e del settore dolciario e accelerare il proprio percorso di crescita.”.
Sono ragioni “mainstream”. Mutatis mutandis, ogni impresa dice: voglio aumentare la mia capacità competitiva nei confronti dei fornitori (mercato del cioccolato … ma … perché non anche quello delle nocciole del Piemonte?) e dei miei clienti e distributori (il settore dolciario).
Anche il Cav. Michele si è messo a progettare una nuova Governance per essere più competitivo … o no? Meno male che il Cav Michele non sapeva nulla di “capacità competitiva”. Così è riuscito a costruire un “mondo” di Nutella. Io credo che invece di cambiare la Governance per competere sarebbe meglio si inventassero qualcosa di altrettanto straordinario della Nutella. Per il nostro palato e per il nostro sviluppo economico futuro.



mercoledì 29 marzo 2017

Una difesa “irragionevole” degli ulivi

di
Francesco Zanotti

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Ieri vi è stata una “rivolta” popolare contro l’estirpazione di qualche decina di ulivi per permettere la realizzazione del gasdotto TAP, anche se esso aveva ottenuto tutte le autorizzazioni necessarie.
La stampa e i commentatori mainstream hanno bollato come irragionevoli le proteste. Ma è veramente così? No! Il problema è che non puoi pretendere di essere considerato amico quando cerchi di rimanere estraneo …

Non accade mai che tra due litiganti ve ne sia uno che ha completamente ragione e l’altro completamente torto. Il segreto per superare i conflitti è mettere insieme le ragioni …

Iniziamo ad esaminare i torti dei più “forti”, del pensiero mainstream. E’ un buon punto di partenza …
Il fondamento del pensiero “mainstream” è la convinzione che i loro progetti infrastrutturali (come nel caso del TAP) sono socialmente ed economicamente indispensabili e tecnicamente i migliori possibili.
Tenendo presente questo fondamento, il loro primo torto è di non capire le ragioni del conflitto. Infatti, tutti parlano del fenomeno Nimby (Not In My Backyard): fate pure l’opera di pubblica utilità che vi pare, ma non a casa mia. Tutti parlano, insomma, sostengono che alla radice di ogni opposizione a nuove infrastrutture vi è un egoismo primitivo che, come tale, non ha legittimazione etica. Poi c’è chi vi aggiunge il peso dell’ideologia: chi si oppone lo fa in base ad ideologie irragionevoli di tipo “passatista”, anarchico o contro l’impresa. Una sorta di opposizione al progresso della società industriale. Infine, tutti si richiamano alla “legalità”. Il TAP ha ottenuto tutte le autorizzazioni necessarie, quindi non può essere fermato dai pochi che, per di più, hanno completamente torto visto che sono egoisti e ideologici. Se queste “ragioni” fossero assolute, la soluzione sarebbe solo l’uso della forza pubblica per mettere a tacere gli oppositori.

In realtà queste ragioni sono tutt’altro che assolute. Innanzitutto, le ragioni dell’opposizione non hanno nulla a che vedere con il fenomeno Nimby. Sono solo la conseguenza del fatto che i desideri di autorealizzazione stanno crescendo nelle persone e nei gruppi sociali mentre la nostra società non offre occasioni di autorealizzazione positive e, quindi, costringe ad autorealizzazioni conflittuali. Attraverso un opporsi che, proprio perché può essere solo opporsi, finisce con il prescindere dai contenuti. 
Detto diversamente: l’opporsi come forma di autorealizzazione zittisce la ragionevolezza.
Accanto a questo, occorre ricordare che non è così certo che i progetti infrastrutturali siano socialmente ed economicamente indispensabili. Lo dimostra il fatto che manca il loro riferimento fondamentali: progetti di sviluppo del territorio o del sistema paese a cui finalizzarli. Rischia che si sviluppano infrastrutture che sono funzionali al Progetto Paese inconscio di coloro che le progettano. Tecnicamente, poi, è noto che non si può parlare di ottimo assoluto. E’ ottimo da un certo punto di vista, ma non da altri.

Ovviamente con questo non voglio dire che “hanno del tutto ragione” gli oppositori. Anzi proprio la modalità attraverso la quale si formano le obiezioni, le costringe a diventare ideologie.
Quindi?
Quindi ritengo che la soluzione non possa che consistere in una alleanza progettuale tra i propositori di progetti infrastrutturali e il sociale.
Insieme possono sviluppare il contesto di riferimento (i progetti di sviluppo del territorio o del Sistema Paese) e il sistema infrastrutturale più adatto a quel contesto di riferimento.
In questo modo il sociale trova una modalità di autorealizzazione costruttiva perché ne viene riconosciuto il ruolo fondamentale. I propositori di infrastrutture possono vedersi valorizzare il loro ruolo e le loro competenze.
Come dicevo all’inizio, il segreto per superare i conflitti è mettere insieme le ragioni. Detto diversamente, non puoi pensare di essere considerato amico se ti presenti come estraneo.


giovedì 23 marzo 2017

Un Rating qualitativo del Business Plan 2016-2020 di Banca Carige

di
Francesco Zanotti

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Il Rating “numerico” che potremmo assegnare al Business Plan di Banca Carige è molto basso. Ma penso che non sia importante specificarne il valore perché sono molto più rilevanti alcune osservazioni “qualitative”.
In sintesi, i risultati di redditività che Carige si prefigge di raggiungere non sono strategicamente giustificati, quindi non vi è modo di valutarne le probabilità di conseguimento. Detto diversamente, il Business Plan di Carige è la descrizione di un insieme di sforzi e di risultati che si vogliono raggiungere. Ma non vi è modo di capire se davvero mettendo in atto quegli sforzi si raggiungeranno quei risultati. La ragione di questa “défaillance” non sta in una ipotetica “incertezza” manageriale. Sta nel fatto che il management non usa le più avanzate conoscenze e metodologie di strategia d’impresa che sono gli unici strumenti che permettono di redigere e rendere comprensibili a terzi Business Plan alti e forti. 


Prima di discutere del Business Plan di Carige è necessario riassumere i contenuti che dovrebbe esporre chi intende giustificare strategicamente i risultati che si impegna a raggiungere. I contenuti sono in estrema sintesi i seguenti. Essi sono suggeriti dalle più avanzate conoscenze e metodologie di strategia d’impresa.

Il contenuto chiave: il posizionamento strategico.
I risultati che una banca (come di ogni impresa) otterrà nel futuro dipendono dal posizionamento strategico futuro di ogni sua unità di business. Cioè di ognuno dei suoi “mestieri fondamentali”.
Infatti, il posizionamento strategico è l’intreccio tra:
  • la redditività potenziale (“attrattività”) del settore di riferimento di una certa unità di business;
  • la competitività che la stessa unità di business ha in quel settore e che specifica se di questa potenzialità beneficerà l’impresa in oggetto o i suoi concorrenti.
In un certo senso, il posizionamento strategico è contemporaneamente causa e misura della probabilità dei risultati futuri.

Ma prima è necessario definire le unità di business
Ovviamente, precondizione per definire il posizionamento strategico è descrivere esattamente le unità di business in cui è impegnata una banca.
Altrimenti la potenziale di redditività e posizione competitiva saranno “sfilacciati” e non porteranno a individuare un posizionamento strategico significativo.

Poi è necessario specificare i cambiamenti necessari.
Per raggiungere un certo posizionamento strategico nel futuro è necessario specificare il posizionamento strategico attuale. Per inciso, noto che lo “scoprire” qual è il posizionamento strategico attuale permette di capire il “perché profondo” dei guai attuali del sistema bancario.
E le azioni da intraprendere devono attuare i cambiamenti necessari a conseguire il posizionamento strategico futuro. I cambiamenti non possono che riguardare il valore delle variabili che permettono di descrivere una unità di business. Di queste azioni è necessario specificare tempi e costi e modalità di controllo del realizzarsi.

Solo alla fine si può parlare di obiettivi raggiungibili.
I risultati raggiungibili saranno una conseguenza del posizionamento strategico raggiunto, dei costi e dei tempi per raggiungerlo.

Riassumendo, per convincere intorno ai risultati che si vogliono raggiungere, una banca dovrebbe fornire:
  • una definizione precisa delle diverse unità di business;
  • l’attrattività dei settori in cui operano, la loro posizione competitiva in essi e il loro posizionamento strategico attuale;
  • il posizionamento strategico che si intende perseguire e i cambiamenti nelle variabili, le diverse definizioni dei business che permettono di raggiungerlo. E, poi, ovviamente, i tempi e i costi necessari con le relative aree di rischio.

Quindi, Carige?
Come dicevo, il suo Business Plan è un documento solo di sforzi e risultati (è disponibile QUI). Gli sforzi sono certamente cambiamenti, anche importanti, ma non vi è nessun modo di capire il loro legame con i risultati.
Su questo blog illustrerò questa affermazione solo attraverso alcuni esempi.

domenica 19 marzo 2017

Le banche venete: dalla ricerca e sviluppo (non tecnologica) al sistema dei media

di
Francesco Zanotti

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Siamo passati da fantomatici aumenti di capitale di mercato agli aiuti di Stato. E la storia non è finita qui.
Per descrivere una proposta per affrontare questa emergenza sociale ho preparato un post in due puntate.
La prima è di riassunto delle nostre proposte alle singole banche, previsioni e denunce fatte in questi anni. Così da evidenziare dove siano i reali problemi.
Il secondo post sarà una proposta sistemica per rilanciare non solo le banche venete ma tutto il sistema bancario. E riguarderà una ricerca e sviluppo non tecnologica e il sistema di media…

Denunce e proposte.
Nel maggio 2015 scrivevo …
“Intendo parlare della vicenda della Popolare di Vicenza.
Come si può pretendere di costruire un nuovo sviluppo della banca senza un progetto strategico alto e forte?
E' sbagliato dire: prima mi date i soldi e poi io vi dico cosa ne farò. E’ giusto che nessuno abbia sottoscritto una aumento di capitale a scatola (del futuro) chiusa.
Noi abbiamo cercato più volte di dare una mano alla Popolare di Vicenza perché si costruisse un Progetto strategico alto e forte. Ma siamo stai snobbati da presunzione manageriale: ci è stato risposto dai manager che oggi si trovano indagati che loro non avevano bisogno di nuove conoscenze: bastava la loro abilità personale che era eccelsa. Mentre le loro conoscenze di quella scienza chiave che era la strategia d’impresa erano praticamente zero. E siamo stati snobbati dalla connivenza del sistema dei media: guardate su RAI 2 come ancora ad aprile dell’anno scorso Aldo Cazzullo incensava Zonin. Il sistema dei media sa denunciare i potenti solo quando sono caduti.”.

Proposte.
Nel dicembre 2015 abbiamo illustrato ai Vertici di Veneto Banca una proposta (si veda il post di Luciano Martinoli http://imprenditorialitaumentata.blogspot.it/2017/03/e-se-si-provasse-riciclare-gli-npl.html ) che avrebbe potuto risolvere in tempi brevi (certamente dal 2015 ad oggi si sarebbe fatta molto strada), abbassando la drammaticità degli aumenti di capitale, il problema degli NPL.
Ma la risposta è stata “interessantissimo: ma aspettiamo tre mesi così facciamo la ricapitalizzazione e partiamo tranquilli”. Una riposta ossimoro: tu mi dici che è possibile rivalutare gli NPL per ridure le esigenze di capitalizzazione. Mi piace: lo faremo dopo la ricapitalizzazione.”.

Previsioni
Nel maggio del 2016, riferendomi al sistema bancario, scrivevo “ […] è difficile escludere il timore che altre crisi appaiano all’orizzonte. L’esperienza insegna che, all’inizio, i guai di un settore economico appaiono come problemi “locali” (apparentemente solo frutto di malversazioni o incompetenza), ma poi rivelano la loro natura strutturale.”.
Purtroppo la storia delle banche venete mi ha dato ragione.

Ultima previsione
Abbiamo appena concluso la valutazione dei Piani di redditività delle banche commerciali vigilate dalla BCE.
La nostra previsione è che stiamo avviandoci verso nuove ed intense esigenze di ricapitalizzazioni che sarebbero evitabilissime se le banche si occupassero dello loro redditività. Ma non lo fanno.

Ricerca e sviluppo e media
Racconteremo come la funzione chiave delle banche sarà di avviare una ricerca e sviluppo non tecnologica. E come solo un sistema dei media meno attento alle battaglie di potere che ritengono i soli fatti rilevanti potrà spingere le banche ad avviare questa nuova ricerca e sviluppo.




giovedì 16 marzo 2017

E se provassimo a "riciclare" gli NPL?

di
Luciano Martinoli


L'attuale "smaltimento" dei crediti non esigibili ricorda le più inefficienti pratiche adottate fino a qualche decennio fa nel caso dei rifiuti fisici. Si può fare di meglio?

Gli NPL (Non Performing Loans) sono quei crediti bancari, difficilmente esigibili per vari motivi, accumulatisi nel periodo della crisi.
Il loro “smaltimento” deriva dalla necessità di liberare la loro presenza dai bilanci delle banche perchè li “intossica”, impedendo erogazione di ulteriore credito. 
Dunque ci si trova davanti ad una vera e propria problematica di “gestione dei rifiuti” finanziari che al momento viene affrontata nel modo più banale possibile: la loro vendita ad operatori specializzati.

Se è così, ovvero consideriamo gli NPL come rifiuti finanziari, perché non cercare di imparare qualcosa dal settore dei rifiuti fisici per migliorarne il loro trattamento a beneficio della banca e dell’ambiente di business ovvero aziende, consumatori, economia in generale?

domenica 12 marzo 2017

Conviene pagare la gente per non lavorare?

di
Francesco Zanotti

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Oggi sul Corriere Dario Scannapieco, Vice Presidente della BEI, invita l’Italia ad una nuova stagione di progettualità … ad ogni livello, aggiungo io. Qualche pagina prima Gian Antonio Stella parla di un progetto, ma stupido, che è l’apoteosi di una storia di progetti stupidi ...
Purtroppo di progetti stupidi è pieno il nostro panorama economico …
Allora la vera priorità dell’Italia è quella di attivare una progettualità alta e forte. Noi con questo blog cerchiamo di dare il nostro contributo.

Il progetto stupido riguarda il Sulcis in Sardegna.
Cominciamo dai progetti stupidi dal passato che da sempre lanciano la stupidità verso il futuro. I dati che riporto sono quelli presentati da Stella.
Nel 1954 Ernesto Rossi aveva calcolato che se la Carbon Sarda non avesse mai funzionato e avesse pagato i dipendenti per stare a casa pagandoli 40.000 Lire al mese avrebbe perso tanto quanto ha perso lavorando e pagando i dipendenti solo poco più di 35.000.
Nel 2014 Sergio Rizzo ha calcolato che se la Carbonsulcis avesse pagato i suoi operai 7.300 Euro per tredici mensilità senza lavorare avrebbe perso tanto quanto ha perso facendo lavorare le persone.
Detto in sintesi: negli anni è diventato sempre più conveniente pagare la gente per non fare nulla. Nel tempo ci sarebbe stato un risparmio netto diretto e non si sarebbero creati i danni che le vecchie attività estrattive ed industriali hanno creato ad un territorio straordinario.
Detto diversamente, sta aumentando la stupidità dei progetti.
E arriviamo al progetto stupido attuale che è stato preparato per il Sulcise che è quello di una centrale a carbone … ma con il carbone importato. Il Suclis proprio la zona in cui sono falliti i progetti estrattivi industriali con crescenti danni ambientali da Mussolini ad oggi che hanno fatto lavorare le persone danneggiando l’ambiente.
Ecco la responsabilità dei fallimenti sardi non è solo nella Politica e nella Pubblica Amministrazione, ma anche in una classe imprenditoriale e manageriale strategicamente impreparata, assistenzialmente orientata e litigiosa.

Ma molti altri progetti sono … ecco … diciamo “non fecondi”. I progetti che genereranno più danni a causa della loro “non fecondità” sono quelli delle banche: stiamo investendo 20 Mld (e tutti sanno che non basteranno per salvarle) e loro non hanno uno straccio di progetto di futuro …

Davvero allora la progettualità è la vera emergenza italiana. La vera azione di sviluppo è il mettere in grado le classi dirigenti di sviluppare progetti di futuro altri e forti. E lo si può fare non con esortazioni teoriche, ma solo fornendo loro nuove risorse cognitive. Quello che cerchiamo di fare con questo blog.